A10 · Si può dipingere col pensiero? 50 Quale linea congiunge Raffaello ai Primitivi fiamminghi?...

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Edizione italiana riveduta e aggiornata di:

H. Schwaetzer, S. Hasler, E. Filippi, Raffaels Sixtinische Madonna. Eine Vision im Dialog, Aschendorff Verlag, Münster 2012© 2012 Harald Schwaetzer, Stefan Hasler, Elena Filippi

Traduzione di Nicola Curcio.

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Elena Filippi, Stefan Hasler, Harald Schwaetzer

La Madonna Sistina di RaffaelloUn dialogo nella visione

Edizione italiana a cura e con una nota di Elena Filippi Traduzione di Nicola Curcio

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I edizione: novembre 2013

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Prefazione alla edizione italiana Nota della curatrice (Elena Filippi) 9

Nota del Traduttore 19

CAPITOLO I “… come si fonda l’esser beato ne l’atto che vede”. A titolo d’introduzione (Elena Filippi) 23La struttura della “Madonna Sistina” e il suo ambiente storico-culturale 26Sull’unità programmatica della contemplazione 30La “Madonna Sistina” e i suoi molteplici aspetti 32I “pueri alati” 35La tenda o del sipario 41Le nuvole 44“Sacra Conversazione”? Sulla tipologia figurativa della “Madonna Sistina” 45

CAPITOLO IILa “Madonna Sistina”: immagine di una visione (Harald Schwaetzer) 49Si può dipingere col pensiero? 50Quale linea congiunge Raffaello ai Primitivi fiamminghi? Una prima ricognizione del contesto 51Visione o simbolo? La raffigurazione nella pittura fiamminga dell’ars nova 53La produttività della visione spirituale 54Visioni e immagini 55Le “visioni” di Raffaello 56La via mistica: purificazione, illuminazione, unificazione 59Lo specifico di questa modalità di contemplazione 60Epifania e “immagini vive” 62Il ruolo dell’osservatore 64Il “San Luca dipinge la Vergine” di Rogier van der Weyden 65Il dipingere, la visione e la conoscenza di sé 67La “Madonna Sistina” come immagine del riconoscimento di sé da parte dell’anima 68Punto di partenza: il “De pictura” di Alberti 70

CAPITOLO IIIUn’osservazione fenomenologica del dipinto (Stefan Hasler) 71Introduzione: come osservare? 71

Indice

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Punto e segno 72Linee rette e curve 73Linee rette 73Linee curve 76Linee dinamiche 78Ricapitolazione 79Le superfici e il differente punto di osservazione 80Il primo piano 81Il piano mediano 82Lo sfondo 83Mutamento di prospettiva – orizzonte 84Ricapitolazione 84Colori 85Ricapitolazione 87La luce 88Proporzione – confronto – Divina proportio 90Sezione aurea – Divina proportio 95Sulle dimensioni della cornice 105

CAPITOLO IVSulla composizione del dipinto (Stefan Hasler) 111Introduzione 111Forme geometriche, cristalline 115Bilateralità 115Triangoli 115Quadrilatero 116Pentagoni 118Forme sferiche 119Ellisse 120Cerchi 122Linee dinamiche e relazioni formali 124Ricapitolazione dei rapporti figurativi: Maria come centro compositivo del dipinto 126Introduzione 126L’immagine complessiva della composizione – Il riferimento allo homo signorum 127Il problema compositivo – ricapitolazione – I centri riferibili allo zodiaco 130Ariete – “Capo e volto” - Toro – “Collo-nuca” 130Gemelli – “Avambracci e spalle”; Cancro – “Petto, polmoni, stomaco e braccia” 131Leone – “Cuore, stomaco, fegato, parte inferiore della schiena e costole posteriori inferiori”Vergine – “Viscere e profondità/fondo dello stomaco”Bilancia – “Reni, fianchi e posteriore” 132Scorpione – “Genitali, vulva e utero”Sagittario – “Cosce e dintorni”; Capricorno – “Ginocchio” Acquario – “Parte inferiore delle gambe” 133Pesci – “Piedi” 133

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Maria come homo signorum qualitativamente caratterizzato 134Invenzione 136Tiara 136Il volto di Maria 139Croce 140

CAPITOLO VL’anima verso la visione spirituale (Harald Schwaetzer) 143Le immagini come itinerari dell’anima verso Dio 143Le tre potenze dell’anima nel platonismo 146“Anelli aurei”: L’idea di nobilitazione delle potenze dell’anima in Meister Eckhart 149Meister Eckhart in pittura: L’“Annunciazione” dell’Altare di Gand di Jan van Eyck 150Dalle Fiandre a Firenze 154La “Madonna Sistina”: Trasformazione da luce in luce 155Putti inoperosi? 155Sisto – aurea sobrietà 159Barbara – il mondo in pace 165Maria – l’epifania dell’anima a muovere dall’elemento spirituale 169Il Bambino – dall’anima nasce lo spirito 175Lo sfondo del cielo 182A mo’ di sipario 183

Note 187

Bibliografia 235

Indice dei crediti fotografici 263

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Prefazione alla edizione italiana Nota della curatrice

Il monaco benedettino, fine verseggiatore ed emulo di Torquato Tasso, che alla fine del Cinquecento nel suo scritto Sito, lodi e prerogative del Reverendo Monasterio di San Sisto in Piacenza, volle ricordare l’impagabi-le visione della pala d’altare realizzata da Raffaello Sanzio nel 1513 su commissione di papa Giulio II, mette insieme prontamente quanto a noi, oggi, rimane a prima vista precluso, ottenebrati come siamo dalla troppa fama di quest’opera che ora compie i 500 anni di vita. Con gran-de sensibilità per il patrimonio di cultura che il capolavoro raffaellesco incarna, la Casa Editrice Aracne ha voluto accogliere il presente studio, che nella sua primigenia versione tedesca, ora disponibile in traduzio-ne italiana condotta con estremo rigore e competenza da Nicola Cur-cio, che gli Autori sentitamente ringraziano, leggermente modificata e integrata degli opportuni aggiornamenti critici a cura della scrivente, è uscito in occasione di un altro anniversario, vale a dire i cinquecento anni dell’incarico affidato al grande Maestro, che le Gallerie di Dresda, dal Settecento nuova patria di conservazione del quadro, hanno cele-brato con una importante mostra nella scorsa primavera del 2012.1 Per l’evento il dipinto ha visto montata una nuova cornice (Werner Mur-rer), rispettosamente in linea con la tradizione rinascimentale italiana. Chi abbia avuto fra le mani il catalogo di quella splendida esposizio-ne, avrà potuto godere di alcuni contributi agili, ma di assoluta soli-dità scientifica, offerti in primis dal conservatore di quelle collezioni, Andreas Henning, il quale si è assunto l’onere di tratteggiare gli ele-menti distintivi di questo dipinto, che Vasari prontamente definì “cosa veramente rarissima e singulare”; una staffetta di collaudati studiosi e restauratori ha quindi illustrato aspetti specifici inerenti le traversie oc-

1. “Die Sixtinische Madonna. Raffaels Kultbild wird 500”: Ausstellung der Staatlichen Kunst-sammlungen Dresden, Gemäldegalerie Alte Meister (26 maggio–26 agosto 2012). Il catalogo relativo è stato curato da Andreas Henning: Die Sixtinische Madonna. Raffaels Kultbild wird 500, München 2013.

“Spira l’imagin tua, Donna del Cielo / Fiamme di purità, raggi d’amore; / raccoglier veggio, e sotto un picciol velo, de la terra e del mar tutto l’honore: / Spira il Figliuol (benche’

bambin), quel zelo, / Che l’indusse a soffrir pena e dolore; / Se si miran le linee, assembran vive / Se i gesti lor son vere cose e dive”

(Felice Passero, 1593, fol. 34)

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corse alla pala,2 anche dal punto di vista conservativo,3 fino agli influssi sulle espressioni artistiche contemporanee,4 per non dire del doveroso spazio riservato alla sua ricezione letteraria,5 nonché alla voce della fi-losofia, che tocca un motivo essenziale delle vicende legate alla fortuna critica dell’opera.6 Di fatto i filosofi sono stati capaci di vivificare, specie a cavaliere fra Otto e Novecento, l’approccio a questo capolavoro sin-golare e per certi versi sfuggente.

L’impareggiabile storia della ricezione della Madonna Sistina, che in questa monografia non è tuttavia oggetto di attenzione peculiare, s’inizia con Winckelmann, coi suoi Pensieri sull’imitazione dell’arte gre-ca (1755, appena un anno dopo l’arrivo dell’acquisto piacentino alla collezione di opere d’arte di Augusto III di Sassonia a Dresda dunque)7 e trova la sua apoteosi nel Romanticismo, ma poi continua, talvolta trionfale, talaltra in approcci più intimi, ma non meno fecondi, fino ad appassionare e commuovere personalità tanto diverse fra loro, da Goethe a Dostoevskij, da Hegel a Schopenhauer e Freud, Nietzsche e Benjamin.8 Da allora, citando Hans Belting, dobbiamo fare i conti con l’affermazione del “capolavoro assoluto della storia dell’arte dopo l’Antichità”.9

2. Su ciò Paula, Doreen: Raffael in Dresden — vom kurfürstlichen Willen zur Kunstwissen-schaft: die Sixtinische Madonna im Spiegel der Kataloge und Inventare der Königlichen Gemäl-degalerie. Ivi, pp. 75–81.

3. Cfr. Rudert, Thomas: Präsenz im Verborgenen: die Sixtinische Madonna zwischen 1939 und 1955. In: Raffaels Kultbild wird 500, cit., pp. 113–121; Schölzel, Christoph: Der besonde-re Umgang mit Raffaels Sixtinischer Madonna. Aspekte der Restaurierung des Bildes, in: Die Sixtinische Madonna. Raffaels Kultbild wird 500, pp. 129–134.

4. Dehmer, Andreas: Vom Himmel in die Gosse, zum Kosmos und zurück nach Dresden: Raffaels Sixtinische Madonna in der bildenden Kunst des 20. Jahrhunderts. Ivi, pp. 105–111.

5. Maaz, Bernhard: Raffaels Sixtinische Madonna zwischen Religion und Realität: Auf– und Abwertungen von Goethe bis Nietzsche. In: Raffaels Kultbild wird 500, cit., pp. 83–95.

6. Grave, Johannes: “Denkkräftiges Anschauen” — Martin Heideggers Blick auf die Sixtini-sche Madonna und seine Kritik an der Kunstgeschichte. Ivi, pp. 97–103.

7. Brink, Claudia: Der Ankauf der Sixtinischen Madonna: “un sì prezioso tesoro”. In: Raffa-els Kultbild wird 500, cit., pp. 68–73; più articolato il resoconto in Ead.: Der Name des Kün-stlers. Ein Raffael für Dresden, in: Brink, Claudia / Henning, Andreas (a cura di): Raffael. Die Sixtinische Madonna — Geschichte und Mythos eines Meisterwerks, in collaborazione con Christoph Schölzel per le Staatliche Kunstsammlungen Dresden, Gemäldegalerie Alte Meister, München 2005, pp. 53–92.

8. Da ultimo si veda Eugenio Gazzola: La Madonna Sistina di Raffaello. Storia e destino di un quadro, Macerata 2013.

9. Hans Belting: Das unsichtbare Meisterwerk. Die modernen Mythen der Kunst, München 1998, cap. 4: “Der Traum Raffaels”, pp. 83–100.

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Ma accantonando la sia pur avvincente storia di un’immagine che è diventata una sorta di indelebile icona nell’immaginario collettivo, per certi versi anzi fin troppo ingombrante, tale da inibire o rendere per lo meno arduo un approccio impregiudicato, che cosa altro resta possibile fare, se si vuole condurre una indagine su questo dipinto? Vi sono studi che si sono concentrati su quanto di “classico” (nel senso di confronto con l’Antico) si ritrova nell’opera raffaellesca; altri che hanno cercato di focalizzare l’attenzione su quanto di “mondano” e sugli elementi di umanità che si scorgono nella scena sacra; altri ancora hanno avuto l’obiettivo di analizzare le sue caratteristiche formali, fino a quei con-tributi, che per contro hanno voluto dar voce alla sostanza ineffabile, indicibile, non totalmente esprimibile di questa idea pittorica.

Pressapoco nel volgere dell’ultimo lustro si è accesa nella comunità scientifica nuova attenzione rivolta in specie al tema della “visione”, cioè di quale visione si tratta nel caso della Madonna Sistina. Non che in precedenza questo motivo non fosse stato toccato, ma ora più che mai appare centrale, soprattutto perché coinvolge direttamente il ruo-lo dell’osservatore.

Johannes Grave parla a tal proposito di un fine gioco intellettua-le di mise en abyme, cogliendo assonanze notevoli fra questa creazio-ne dell’Urbinate e le tele del pittore romantico per eccellenza, Caspar David Friedrich, in modo stringente con la sua Cattedrale (1816–1820, Schweinfurt).10 Questo avviene precisamente nella struttura del “Sehen im Glauben” — vedere con gli occhi della fede — come ebbe a scrivere l’artista tedesco. Il problema della visione di questa scena sacra è da sempre indotto dal modo in cui Giorgio Vasari, padre della storia dell’arte, si esprime sulle pale d’altare di Raffaello, tale da aver plasmato generazioni e generazioni di storici dell’arte.11 “Non appena però si cambia prospettiva [emancipandosi dunque da quella squisita-mente storico–artistica di matrice vasariana] e si sceglie come punto di partenza il luogo a cui le immagini sono di volta in volta destinate, cioè l’ambiente sociale per cui nascono e la (presunta) percezione che ne traggono i fruitori in un preciso momento, occorre sviluppare un modello diverso da quello orientato puramente alla dimensione stori-co–artistica”.12

10. Johannes Grave: Architektur ohne Grund und Raum. Caspar David Friedrichs Kathedrale, in Andreas Beyer, Ralf Simon, Martino Stierli (a cura di): Zwischen Architektur und literari-scher Imagination, München–Paderborn 2013, pp. 317–339, qui pp. 327–329.

11. Come fa giustamente osservare Eva–Bettina Krems: “La qual novità piaceva molto ai po-poli”: a proposito della “novità” nelle pale di altare di Raffaello, in: “Atti e studi / Accademia Raffaello”, N.S., 1 (2007), pp. 9–54, qui pp. 14–19.

12. Ivi, p. 19.

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Due vie sono risultate più stimolanti, oltre che plausibili, e come tali sono state praticate nell’ultimo decennio dagli studiosi: quella di “ricontestualizzare” i lavori di committenza ecclesiastica realizzati dal Maestro, mettendo al centro dell’interesse il tessuto sociale, politico, devozionale e di cultura teologica, in cui le pale andavano a inserirsi; l’altro filone apriva al côté della speculazione filosofica in senso ampio, dunque da Alberti a Ficino alle diverse derive del platonismo, di cui l’Urbinate si poteva ragionevolmente nutrire, a partire da intellettuali, la cui frequentazione è dato di fatto incontrovertibile: mi riferisco all’a-mico Baldassarre Castiglione, all’acuto teologo Egidio da Viterbo, a Pietro Bembo, al Cardinale Bibiena, fra i nomi di spicco.

La nostra indagine s’inserisce in questo orizzonte di senso, con una sua prerogativa: prima di oggi non è stato prodotto uno studio concer-tante e dialogico — termine quest’ultimo assai caro alla cultura speri-mentale dell’Umanesimo, di cui Raffaello Sanzio è figlio — volto a met-tere in campo prospettive complanari su quest’opera. Conditio sine qua non della nostra avventura dello sguardo sul dipinto raffaellesco è stata fin da subito che l’oggetto primo della nostra ricognizione doveva essere la visione, insieme intesa come visione dell’opera da parte di coloro i quali ne fecero mirabile esperienza all’epoca della sua collocazione in situ (1513), ma al tempo stesso visione da considerarsi quale prodotto di un confronto serrato con le teorie artistiche rinascimentali dominanti, e non da ultimo una visione che muovendo dall’evento sacro che si mani-festa, “the Thriumph of the Physical Visionary”13 è in grado di istituire una relazione con il credente di allora come con l’uomo di oggi.

È tratto peculiare alla ricerca su Raffaello pittore degli ultimi anni l’allargamento dell’orizzonte, su una via che ha visto pionieri illustri (da Heinrich Pfeiffer a Giovanni Reale, rispettivamente sul versante teologico e su quello estetico–filosofico, a Matthias Winner, sullo specifico di que-stioni iconologiche legate al programma figurativo delle Stanze Vatica-ne), e che ha raccolto ulteriori consensi nel corso di un dibattito sviluppa-tosi recentemente.14 Il nucleo centrale del problema riguarda le modalità attraverso cui un artista al colmo della fama e del virtuosismo tecnico traduce i risultati della più moderna teoria rinascimentale in momento di conciliante sinergia con le tradizionali funzioni dell’immagine sacra15. Del

13. Cit. da Christian Kleinbub: Vision and the Visionary in Raphael, The Pennsylvania Univer-sity Press 2011, p. 40.

14. Con approcci piuttosto innovativi si veda John Shannon Hendrix (a cura di): Renaissance Theories of Vision, Farnham (2010), in particolare il saggio di Charles H. Carman: Meanings of perspective in the Renaissance: tensions and resolution, pp. 31–44.

15. Jörg Trager: Renaissance und Religion: die Kunst des Glaubens im Zeitalter Raphaels, München 1997.

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resto, non occorreva arrivare alla lapidaria affermazione di Jörg Traeger, per sapere che — come che sia — “die Renaissance war katholisch”,16 che dunque un discorso sugli sviluppi ultimi della stagione del Rinascimen-to non può prescindere dall’esame dei fenomeni legati alla devozione. Il paradosso di una stagione eroica, che rivendica l’eredità culturale degli Antichi, ma che non intende rinunciare per questo alle radici cristiane connaturate al suo processo di civiltà, veniva colto con icastico motto dallo storico tedesco Johannes Andreas Jolles, meglio noto con lo pseu-donimo di André Jolles, che nel 1921 corrispondendo con Johan Hui-zinga affermava per l’appunto che “il Rinascimento ebbe la sua culla in una tomba”, vale a dire nell’intenso studio dell’arte antica condotto dagli artisti sui sarcofagi romani.17

Il passaggio per dir così obbligato, dalla teoria alla pratica, per un pic-tor doctus del primo Cinquecento era la lettura del trattato sulla pittura di Leon Battista Alberti, nel tentativo di emulare e superare gli esiti dei modelli classici. Con un motivo di sollecitazione ulteriore da quando — erano gli anni Venti del Quattrocento — fu inventata la prospettiva cen-trale su basi matematiche, che da allora diventa principio del dipingere, che Alberti teorizza nel suddetto scritto parlando del quadro come “fine-stra aperta”18 attraverso cui guardare il mondo circostante e osservare le historie che ivi si consumano. Fino ad oggi un solo studio a nostra scienza si è occupato espressamente del rapporto — assai significativo e produt-tivo, ma non lineare — che si dà fra l’opera di Raffaello e quella teorica di Leon Battista Alberti. Si tratta di una tesi di dottorato uscita a stampa nel 2001. L’Autrice, Eva–Bettina Krems, ordinario di storia dell’arte pres-so l’Università di Münster, si è occupata delle pale d’altare del periodo romano di Raffaello,19 un tema che ha saputo contestualizzare in modo efficace, soprattutto mostrando per quali vie l’Urbinate ha ripensato e ulteriormente sviluppato i dettami albertiani circa la narrazione nei di-pinti. “Lassando vivo el paragone de li antichi, aguagliarli e superarli”: se questo fu lo sforzo che tenne occupati a vario titolo intellettuali e artisti dell’Umanesimo e del Rinascimento, sforzo ripetutamente suffragato in

16. Ivi, p. 37.

17. Cfr. Salvatore Settis: Ars moriendi. Cristo e Meleagro. In: Anna Coliva (a cura di): Raffaello da Firenze a Roma, (Roma, Galleria Borghese), Milano 2006, pp. 86–101, qui p. 86.

18. Leon Battista Alberti, Della Pittura, cap. 19. Per una sintesi circa tale l’idea albertiana, di-venuta nel tempo convenzione nella modalità occidentale di osservare la realtà tutta, si rinvia a Pietro Roccasecca: La finestra albertiana. In: Filippo Camerota, Cristina Acidini Luchinat (a cura di): Nel segno di Masaccio. L’invenzione della prospettiva, Comitato Nazionale per le Celebrazioni del VI Centenario della Nascita di Masaccio, Ministero per i Beni e le Attività Culturali, Firenze 2001, pp. 65–67.

19. Eva–Bettina Krems: Raffaels römische Altarbilder. Kontext — Ikonographie — Erzählkon-zept. Die Madonna del Pesce und Lo Spasimo di Sicilia, München 2002.

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diversi suoi scritti dallo stesso Alberti, ne va qui di scoprire in che misura e in quale direzione interpretò Raffaello tale sfida, spettacolare e insie-me gravida di conseguenze per l’immagine nella prima età moderna. Proprio a partire dall’urgenza di cogliere lo specifico di un dipinto qual è la celebrata e celeberrima Madonna Sistina per mesi alcuni docenti della Alanus University of Arts and Social Sciences di Alfter (Bonn), di diver-sa formazione – vuoi storico–artistica, vuoi filosofica e teologica, vuoi musicologica e in quanto esperti di euritmia –, si sono trovati a cadenza regolare per mettere a fuoco una sinergica osservazione di un quadro talmente noto, specie in Germania, da mettere a disagio chi si accinga a volerlo semplicemente “guardare”, senza l’aura quasi mistica o, per con-tro, senza quella patina di cliché e di scontato, che parimenti ha nuociuto all’opera.20

Diciamolo subito: non è un lavoro prettamente di taglio storico–arti-stico, piuttosto un dialogo serrato — con accenti diversificati, ma ispirati da una medesima idea di trasmissione del sapere — con quest’opera ce-lebrata ma invero assai complessa, dialogo che sceglie un approccio pa-ragonabile all’esperienza di un coetaneo amico colto di Raffaello, in cui vengono presi in considerazione anche gli ambienti d’oltralpe e quella cultura oltremontana che si attesta grazie ad alcune personalità chiave presso la curia pontificia a cavaliere del XVI secolo. Il volume è frutto di un progetto pluriennale e interdisciplinare,21 volto a smantellare modi vetusti e talora superficiali con cui questa pala continua a essere ogget-to di ammirazione, meno di osservazione. Ne va qui, dunque, nel suo complesso, di un approccio storico–artistico, filosofico–fenomeno lo gico, armonico–matematico — queste sono le diverse competenze degli Auto-ri — sempre e comunque orientato al lettore: non si è inteso infatti dare accoglienza in questo volume ad alcun tipo di specialismo fine a se stesso, casomai alla avveduta disamina di questo o quel problema, confinata però nell’apparato di note.

20. Questo vale specialmente per i due “angeli–putti”, appogiati alla base inferiore del dipinto. Su questo soggetto è fiorita una altrettanto florida letteratura.

21. Sullo sfondo di questa esperienza è da segnalare il viatico di un Cluster internazionale e pluridisciplinare svoltosi a Bruxelles, su invito di Marc de Mey e del VLAC (Flemish Academic Centre for Science and the Arts) da lui diretto, che nel 2007 ha avuto come tema di riflessione comune: “Techniques of Visualisation and Theories of Vision in the First Half of the 15th Century”. Uno degli esiti a stampa, prima del presente volume, cui si rinvia per la densità di spunti e approcci circa il tema della “visio” a cavaliere delle Alpi tra Quattro e Cinquecento, è maturato sulla scia del suddetto progetto di ricerca: Schneider, Wolfgang — Schwaetzer, Harald et al. (a cura di): “videre et videri coincidunt”. Theorien des Sehens in der ersten Hälfte des 15. Jahrhunderts (Texte und Studien zur Europäischen Geistesgeschichte, Reihe B, Bd. 1), Münster 2011.

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Il percorso espositivo del volume

Consapevoli della lunga tradizione interpretativa di questa “icona” dell’arte europea e dei rischi connessi a ogni nuova lettura, gli Autori hanno inteso anzitutto dare fondamento scientifico alle diverse sezioni del volume, attraverso una ricognizione capillare di tutta la bibliografia su Raffaello e segnatamente sulla Madonna Sistina, avvalendosi in specie di soggiorni di studio a Monaco (Istituto centrale per la Storia dell’arte) e di lunghe conversazioni con il conservatore delle Gallerie di Dresda.

La prima sezione introduttiva a questo studio (Elena Filippi) si fa ca-rico di esporre i risultati del confronto con tale messe bibliografica, sul quale poggiano le tesi di fondo che innervano anche le altre parti, discus-se più agilmente nel testo, lasciando peraltro al lettore attrezzato di re-cuperare nelle note finali la complessità delle diverse posizioni sui singoli aspetti. Non solo: poiché di una introduzione a uno studio dialogico si tratta, vengono fin da subito illustrati alcuni concetti e temi che ispira-no l’opera raffaellesca nel suo contesto (in ordine al tema dell’armonia, della divina proporzione, eredità del pensiero platonico, pitagorico ed ermetico, fino appunto ad echi letterari e legati alla tradizione mistica medioevale).

La seconda sezione (Harald Schwaetzer) evidenzia per un verso il confronto insistito di Raffaello con la prospettiva albertiana e con gli studi del Pacioli, percorrendo d’altro canto anche una via meno nota, quella che lo mette in relazione con la mistica nordica e con Niccolò Cusano (attraverso la stessa committenza Della Rovere). La Madonna Sistina mostra di esprimere in egual misura le istanze della prospettiva italiana e della visione che muove invece dal dipinto, quale affiora con maestria dalle opere di van der Weyden, note del resto all’Urbinate. Si incontrano così la visione obiettiva e la visione mistica,22 che sostanzia-no il tema stesso del dipinto. Del resto la prospettiva, giusta Cassirer,

22. Come spesso accade, o anzi, è auspicabile che succeda, nel mentre si conduceva una rico-gnizione bibliografica sulle pubblicazioni uscite dopo la primavera 2012, in qualche misura at-tinenti il presente lavoro, ci si è imbattuti in una confortante affermazione di Lise Bek, da anni studiosa di questioni prospettiche primo rinascimentali, la quale ha sottolineato, fra l’altro, come nell’ambiente urbinate, patria del Sanzio, sia manifesti un “significato duplice della pro-spettiva […] non solo come concetto spaziale più avanzato e raffinato di quello fiorentino […], ma anche come mezzo della visualizzazione di un’idea spirituale”. Cit. da Ead.: La prospettiva nell’ambiente urbinate: un concetto spaziale ed il suo significato. In: “Analecta Romana Institu-ti Danici”, 25, 1997/1998, pp. 129–139, qui 135. Più oltre, ancora: “La prospettiva in ambiente urbinate acquista soprattutto un senso più approfondito e più esteso, sia come simbolo filoso-fico platonico, sia come codice di visualizzazione ideologica”. Cfr. ivi, p. 138.

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è una di quelle “forme simboliche”23 attraverso cui le singole epoche e le relative culture rendono patente la loro idea dello spazio. Tanto più incalzante si pone la questione della ricerca di espressione spaziale nel secondo decennio del Cinquecento, anche nel Sanzio. Ben lo sottolinea Marzia Faietti — e non è dato scontato! — quando afferma: “C’è un momento nell’intensa esperienza artistica di Raffaello in cui la prospet-tiva lineare, giunta all’apogeo della sua massima espressività, sembra non bastare più dietro l’incalzare delle nuove esigenze narrative”.24 E, di più, con riferimento al disegno Donna alla finestra, studio di figure per la volta della Stanza di Eliodoro (Firenze, Gabinetto Disegni e Stampe degli Uffizi, inv. 1973 F r), datato fra il 1513 e il 1515 — siamo, dun-que, in quella stessa temperie che vede la maturazione nel Maestro di idee come quella realizzata per i monaci di San Sisto — ebbene: “se il parapetto [nel foglio raffaellesco degli Uffizi] evoca la finestra aperta della pittura albertiana, il sonno della giovane che le impedisce la vi-sta […], sembra piuttosto suggerire una visione interiore della rappre-sentazione prospettica. La necessità di mettere a dura prova l’efficacia della prospettiva lineare non stupisce in un artista come Raffaello […] che investiva consapevolmente il suo tempo nello studio delle strategie della comunicazione visiva di contenuti complessi”.25 Per l’appunto: si trattava, in ultima istanza, di interrogarsi su come travalicare i confini, le possibilità ultime del sistema albertiano!26

Le sezioni terza e quarta (Stefan Hasler), scandagliano il dipinto mostrando in che misura le componenti formali contribuiscano a de-finire lo scenario della “visione”. Richiamandosi a quella trattatistica rinascimentale che fu senza alcun dubbio familiare a Raffaello (il De pictura di Alberti e il De divina proportione di Pacioli), Hasler ne fa il gri-maldello con cui dischiudere rigorosamente il segreto “metrico” della Madonna Sistina: sorprendente diventa così scoprire il suo uso della se-zione aurea, che da puro elemento formale diventa momento sostan-ziale e persino veicolo di una profonda riflessione teologica che il Ma-estro condusse per il tramite dell’arte, offrendo un esempio tangibile e originale dello studio sulla proporzione del Rinascimento.

23. Il riferimento obbligato è qui ovviamente il “classico” Erwin Panofsky: La prospettiva come forma simbolica, Milano 1961 e successive edizioni.

24. Cit. Da Marzia Faietti: Il sogno di Raffaello e la finestra di Leon Battista Alberti. in: Marzia Faietti / Gerhard Wolf (a cura di): Linea II. Giochi, metamorfosi, seduzioni della linea, Firenze 2012, pp. 15–29, qui p. 15.

25. Ivi, p. 26.

26. Del resto, la direzione è ben indicata nella Trasfigurazione, opera che, giusta Shearman (1967; ed. it. 1983), apre all’età della Maniera e al compulsivo nuovo sperimentalismo dell’e-poca successiva.

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Non deve dunque sembrare al lettore una sorta di accanimento sulle misure di tutti i possibili rapporti e distanze interne al dipinto, né un’improbabile caccia al tesoro armata di righello. Al contrario, l’esa-me dei punti e delle linee curve e rette, delle linee semantiche e di forza che si istituiscono al suo interno, cui non è estranea la partecipazione del colore e della luce, dischiudono una visione soltanto in apparenza intenta a cogliere i dettagli e la geometria del capolavoro raffaellesco. Attraverso l’indagine su queste trame, per contro, viene (ri)definita ad esempio la centralità di Maria — potente fulcro di irradiazione del di-pinto – rispetto al quale tutte le altre figure assumono vigore ed effi-cacia narrativa.

L’ultima sezione (Schwaetzer) ripercorre proprio le relazioni fra le figure, individuando diversi livelli di lettura e valorizzando la presenza della mistica nordica. Particolare valore di novità assumono la rilettura dei putti (come figure in assistenza) e del Gesù Bambino, di cui vengo-no rintracciate persuasive fonti non soltanto figurative.

Alla fin dei conti — lo si può anticipare in questa sede introduttiva — il tema principale del dipinto risulta essere a nostro avviso “la vi-sione come veicolo della relazione con Dio”. Tale visione del sacro è intesa sia in senso soggettivo (lo spettatore che osserva la scena), sia in senso oggettivo: dal dipinto promana una visualità diversamente arti-colata, che si accompagna ad altre linee di forza semantiche (come l’in-dicazione che procede dalle mani del papa Sisto). Anche il meccanismo scenico della tenda è studiato in funzione organica al duplice senso della visione. Siffatta novità costituisce a ben vedere il traguardo spetta-colare dell’evoluzione tipologica della pala d’altare, che Raffaello rime-dita da par suo, erede della sperimentazione dei padri della “Primavera del Rinascimento” fiorentino,27 nel senso di un suo decisivo oltrepassa-mento. Qui entrano in gioco i Fiamminghi: nel saggio di Schwaetzer viene istituito un confronto fra il dipingere del Sanzio e quello dei Po-nentini, come venivano chiamati all’epoca, maestri, fra l’altro, proprio nell’affrontare e ripensare il problema della visione come approccio alla problematica del sacro.

Quanto detto sin qui aiuta a capire il titolo scelto per la nuova edi-zione italiana, Un dialogo nella visione: per un verso esso illustra la ge-nesi del presente studio, per l’altro ne riassume efficacemente le tesi. Il lavoro nasce infatti, come s’è anticipato, da un fitto scambio di vedute fra competenze diverse ma in buona parte sovrapposte. Il dialogo è poi il comun denominatore che permea di sé la multiforme esperienza

27. Piace qui evocare il lavoro scientifico per l’utile e bella esposizione “La Primavera del Ri-nascimento. La scultura e le arti a Firenze 1400–1460”, mostra e catalogo a cura di Beatrice Paolozzi Strozzi e Marc Bormand, Firenze 2013.

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dell’ambiente culturale in cui si formò Raffaello: un dialogo fra mo-derni e antichi, fra pittori, teologi, filosofi, trattatisti, principi e poeti, fra norma e “inventione”, fra esperienza italiana e nordica, fra amici che amano farsi ritrarre insieme, e magari parlare di amore sacro e profano; fra uomo e Dio, anche. E proprio l’ambivalenza della formula già cusaniana De visione Dei — dove il genitivo interseca le due opposte direzioni della visio — potrebbe aprire uno spiraglio per cogliere nella Madonna Sistina appunto un dialogo nella visione.

Ma in sede conclusiva si preferisce lasciare la parola a quell’amico colto di Raffaello, nei cui occhi il dipinto doveva sortire effetti come quelli qui descritti:

… chiuso nel core si porterà sempre seco il suo precioso tesoro ed ancora per virtù della imaginazione si formerà dentro in se stesso quella bellezza molto più bella che in effetto non sarà […] tra questi beni egli vorrà servirsi di questo amore come d’un grado per ascendere ad un altro molto più sublime […]. Quando dunque il nostro cortegiano sarà giunto a questo termine […] non però voglio che si contenti, ma arditamente passi più avanti, seguendo per la sublime strada dietro alla guida che lo conduce al termine della vera felicità […], si rivolga così in se stesso con gli occhi della mente, li quali allora cominciano ad essere acuti e perspicaci, quando quelli del corpo perdono il fior della loro vaghezza; però l’anima, aliena dai vicii, purgata dai suoi studi della vera filosofia, versata nella vita spirituale ed esercitata nelle cose dell’in-telletto, rivolgendosi alla contemplazione della sua propria sostanza […] apre quegli occhi che tutti hanno e che pochi adoprano…28.

Vicetiae, in die Assumptionis Beatae Mariae Virginis MMXIII

Elena Filippi

28. Baldassarre Castiglione: Il libro del Cortegiano, presentazione di Ettore Bonora, commen-to di Paolo Zoccola, Milano 1972, pp. 344–346. Sulla vena platonizzante che a tratti connota in modo decisivo le affermazioni contenute in questo scritto e soprattutto per quanto attiene la natura dell’amore quale forza in grado di purgare l’animo umano e di fargli ascendere gradi di nobilitazione si veda Wietse de Boer: Spirits of Love: Castiglione and Neoplatonic Discourses of Vision, in Christine Göttler e Wolfgang Neuber (a cura di): Spirits unseen. The Representa-tion of Subtle Bodies in Early Modern European Culture, Leiden 2008, pp. 121–140.

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Nota del traduttore

Come ha sottolineato la Curatrice, questo libro è un dialogo fra competenze differenti, che hanno interpellato l’opera raffaellesca sot-to angolature diverse: storico–artistica, filosofica, fenomenologica, eu-ritmica. Ciò riguarda anche i diversi linguaggi disciplinari con cui il traduttore ha dovuto confrontarsi, entrando lui pure in colloquio con ciascuno di essi, rispettandone anzitutto il peculiare incedere, il modo di volta in volta difforme di ricorrere alle note di chiusura e di struttu-rarle. Anche per questo si è preferito, in accordo con la Curatrice, non omologare, ma lasciare quelle specificità che ci avvicinano la persona dell’Autore, le sue intenzioni, la sua forma mentale. Ed è quanto già arricchisce l’edizione tedesca del presente volume.

Alcuni studi citati nelle note e in Bibliografia sono tradotti anche in italiano. Se ne è data notizia nell’apparato bibliografico in fondo al volume. I singoli passi di autori stranieri, via via citati, sono stati qui ritradotti in italiano.

Un caso a parte riguarda la versione del testo di Elena Filippi, poi aggiornato dall’Autrice, per la quale mi permetto di concludere con una citazione: “Se ogni traduzione è un tradimento, nel caso inedito della traduzione in italiano di uno scrittore italiano i rischi rischiano d’essere infiniti” (da Antonio Tabucchi, Requiem, Milano 1992. Nota del Traduttore Sergio Vecchio, p. 138).

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