Bockenforde. La Religione Nello Stato Secolare.

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ERNST-WOLFGANG BOCKENFORDE CRISTIANESIMO, LIBERTÀ, DEMOCRAZIA a cura di Michele Nicoletti

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ERNST-WOLFGANG BOCKENFORDE

CRISTIANESIMO, LIBERTÀ, DEMOCRAZIA

a cura di Michele Nicoletti

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Titoli originali: Einleitung (2004) - Religionsfreiheit als Aufgabe der Christen (1965) - Die Religionsfreiheit irti Spannungsfeld zwischen Kirche und Staat (1967/1979) -Autoritàt - Gewissen - Normfindung. Thesen zur weiteren Diskussion (1992) - Wahrheit und Freiheit. Zur Weltverantwortung der Kirche heute (2004) - Uber die Autoritàt pàpstli-cher Lehrenzykliken am Beispiel der Àufierungen zur Religionsfreiheit (2005) - Zum Verhaltnis von Kirche und moderner Welt. Aufriji eines Problems (1977) - Die Kirche und die Krise des modernen Bewujitseins (1986) - Religion im sàkulàrcn Staat (1996) - Das Ethos der modernen Demokratie und die Kirche (1957) - Kirchliches Naturrecht undpolitisches Handeln ( 1973) - Ethische undpolitische Grundsatzfragen zur Zeit. Ùberlegungen aus Anlaji von 90 Jahren "Rerum Novarum" (1981) -Gerechtigkeit in Gesellschaft, Wirtschaft und Politik (1992) - Kirchliches Naturrecht und politisches Handeln (1973) - Politisches Mandai der Kirche? (1969) - Das neue politische Engagement der Kirche. Zur "politischen Theologie" Johannes Pauls II (1980/84) - Politische Theoric und politische Theologie. Bemerkungen zu ihrem gegenseitigen Verhaltnis (1983)

© 2007 Editrice Morcelliana Via Gabriele Rosa 71 - 25121 Brescia

Traduzione di Corrado Bertani Traduzione del capitolo V della Parte prima di Sara Bignotti e Alberto Anelli

In copertina: Giovanni Baronzio, Cristo davanti a Pilato, 1325 circa, Berlino, Gemaldcgalerie

Prima edizione: settembre 2007

www.morcelliana.com

1 diritti di traduzione, di memorizzazione elettronica, di riproduzione e di adattamento totale o parziale, con qualsiasi mezzo (compresi i microfilm e le copie fotostatiche), sono riservati per tutti i Paesi. Fotocopie per uso personale del let­ture possono essere effettuate nei limiti del 15% di ciascun volume dietro pagamento alla S I A E del compenso previsto dall'art. 68, comma 4, della legge 22 aprile 1941 n. 633 ovvero dell'accordo stipulato tra S I A E , A I E . SNS, SLS1 e C N A , C O N F A R T I G I A N A T O , C A S A R T I G I A N I , C L A A I e L E O A C O O P il 17 novembre 2005. Le riproduzioni ad uso diffe­rente da quello personale potranno avvenire, per un numero di pagine non superiore al 15% del presente volume, solo a seguito di specifica autorizzazione rilasciata da A I D K O , via delle Erbe n. 2, 20121 Milano, telefax 02.809506, e-mail •[email protected]

ISBN 978-88-372-2187-4

Tipografia La Grafica s.n.c. - Vago di Lavagno (Vr)

M I C H E L E N I C O L E T T I

INTRODUZIONE

La traduzione italiana di alcuni tra i più significativi saggi di Ernst-Wolfgang Bòckenfòrde 1 sul rapporto tra cristianesimo, libertà e demo­crazia si propone un duplice obiettivo: in primo luogo, favorire la conoscenza del pensiero teologico-politico di uno tra i più significati­v i intellettuali tedeschi contemporanei; in secondo luogo, introdurre nel dibattito civile, che si è aperto nel nostro Paese sul rapporto tra reli­gione e politica, prospettive di pensiero e di azione di ampio respiro, fondate in modo serio e rigoroso su di una profonda cultura giuridica e teologica e nutrite costantemente da un'attenta analisi storica. Rispetto ai vari ideologismi che infestano la discussione pubblica su questi temi, i saggi di Bòckenfòrde rappresentano una ventata di aria fresca che ci auguriamo possa contribuire a collocare i l dialogo tra le

1 Ernst-Wolfgang Bòckenfòrde (Kassel, 1930) ha studiato diritto, storia e filosofia nelle uni­versità di Munster (1949-50; 1951-54) e di Monaco (1950-51; 1956-57). Nel 1956 ha consegui­to il dottorato in giurisprudenza con una dissertazione dal titolo Gesetz und Gesetzgebende Gewalt. Von den Anfdngen der deutschen Staatsrechtslehre bis zur Hóhe des staatsrechtlichen Positivismus e nel 1961 il dottorato in filosofia con una dissertazione dal titolo Zeitgebundene Fragestellungen und l.eitbilder in der deutschen verfassungsgeschichtlichen Forschung des 19. iahrhundert, poi confluita nel volume Die deutsche verfassungsgeschichtliche Forschung im 19. Jahrhundert. Zeitgebundene Fragestellungen und Leitbilder, 1961 (tr. it. a cura di Pierangelo Schiera, La storiografia costituzionale tedesca nel secolo decimonono: problematica e modelli dell'epoca, Giuffré, Milano, 1970). Nel 1964 ha conseguito VHabilitation presso l'Università di Munster dove ha cominciato il suo insegnamento, poi proseguito presso le Università di Heidelberg, Bielefeld e Freiburg i.B. Dal 1983 al 1996 è stato giudice del Tribunale Costituzionale tedesco. Nel 1999 gli è stato conferito il titolo di dottore in teologia honoris causa dall'Università di Bochum e nel 2004 il Premio Hannah Arendt. L'ampia bibliografia di Bòckenfòrde, aggiornata al 2000, si può trovare nel volume uscito in occasione del suo settante­simo compleanno: Bibliographie Ernst-Wolfgang Bòckenfòrde 1957-2000, a cura di M. Gries-baum e M. Friedner, in R. Wahl (Hrsg.), Das Recht des Menschen in der Welt. Kolloquium aus Anlaji des 70. Geburtstags von Ernst-Wolfgang Bòckenfòrde, Berlin, 2002, pp. 157-206. In lin­gua italiana, oltre alla tesi di abilitazione, sono state tradotte due importanti raccolte di saggi (la prima di teoria costituzionale Stato, Costituzione, Democrazia, a cura di Michele Nicoletti e

mar Brino, Giuffré, Milano 2006; la seconda di storia del diritto e filosofia politica Diritto e Hcolarizzazione. Dallo Stato moderno all'Europa unita, a cura di Geminello Preterossi, Laterza,

oma-Bari 2007) e il classico La formazione dello Stato moderno come processo di secolarizza-"one, a cura di Michele Nicoletti, Morcelliana, Brescia 2006.

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diverse posizioni al livello alto che è richiesto dalla posta in gioco non banale - ossia la convivenza civile pacifica, ordinata ai principi di libertà e giustizia.

Chi ama l'intreccio singolare tra cristianesimo, libertà e democra­zia che le tradizioni occidentali hanno saputo costruire e coltivare potrà trovare in queste pagine forti ragioni teoriche e concreti orienta­menti per rendere fecondo quest'intreccio nelle condizioni attuali del nostro vivere.

1. Libertà, coscienza, autorità

La prima parte del volume 2 si apre con alcuni saggi dedicati al tema della libertà religiosa e al modo in cui questo tema è stato affrontato da parte della Chiesa cattolica. Si tratta di un tema a cui l'autore ha dedi­cato un'attenzione costante nel corso della sua intera produzione e che svolge un ruolo centrale nella sua prospettiva teologica e politica, o forse si dovrebbe dire il ruolo centrale, dal momento che la libertà reli­giosa rappresenta i l luogo di convergenza di teologia, politica e diritto nel processo di costruzione della società moderna. Questi saggi teolo­gici sulla libertà religiosa vanno dunque letti accanto ai saggi storici e giuridici che Bòckenfòrde dedica allo stesso tema. Da un lato agli stes­si anni appartiene i l fondamentale saggio di ricostruzione storica La formazione dello Stato moderno come processo di secolarizzazione3 in cui la formazione dello Stato moderno viene ricondotta non solo a un processo di concentrazione del potere nelle mani di un'unica istanza monopolistica capace di imporsi come legittima, ma anche al proces­so di differenziazione del potere temporale dal potere spirituale attra­verso i l quale i l potere politico si è reso autonomo dal potere ecclesia­stico. In questo processo l'affermazione della libertà di religione e, più in generale, della libertà di coscienza ha svolto un ruolo centrale, tanto

2 II presente volume raccoglie la traduzione di alcuni saggi di Ernst-Wolfgang Bòckenfòrde apparsi nella raccolta Schrijnen zu Staat, Gesellschaft, Kirche, Herder, Freiburg i.B., 1988-1990 e poi ripresi nella edizione più aggiornata Kirche und christlicher Glauhe in den Heraus-forderungen der Zeit. Beitrdge zur polìtisch-theologische Verfassungsgeschichte 1957-2002, Ut, Munster 2004. A questi ne sono stati aggiunti alcuni altri per gentile concessione dell'autore. La premessa dell'autore che apre questa raccolta riprende con lievi modifiche la premessa all'edi­zione apparsa nel 2004. Le note premesse alle singole sezioni sono state utilizzate e spesso cita­te in questa presentazione.

3 Cfr. tr. it. a cura di Michele Nicoletti, Brescia, Morcelliana 2006.

Introduzione 7

che è «per amore di questa libertà» che lo Stato moderno ha posto a se stesso, all'esercizio della propria forza coercitiva nei confronti degli individui che si affidano alla sua protezione, dei l imi t i invalicabili. Nessuno può essere forzato con g l i strumenti del potere politico a tener per vero qualcosa in cui non crede. Con ciò lo Stato moderno ha posto se stesso, i propri fondamenti spirituali, nelle mani di questa libertà dell'uomo che esso si è impegnato a salvaguardare. D i qui i l «para­dosso» in cui lo Stato moderno della libertà si trova: non poter (né voler) garantire con gl i strumenti della forza di coercizione quei pre­supposti su cui esso pure si fonda. Da un altro punto di vista, anche i l Dio cristiano ha scelto di porre i l proprio annuncio - a partire da quel­lo incarnato nella persona del suo figlio Gesù - nelle mani della stes­sa libertà dell 'uomo, anticipando quel paradosso, che abbiamo visto in opera nello Stato liberale moderno, di una potenza che espone la sua forza salvifica al rischio della libertà. Questa dinamica della libertà, che l'autore descrive con rigore e forza di provocazione nei suoi saggi di storia del diritto e di teoria costituzionale, viene qui ripresa sul piano della analisi della storia della Chiesa e della riflessione teologica.

In questi saggi i l tema della libertà religiosa è considerato dal punto di vista della storia del cristianesimo e della sua dottrina. In questa pro­spettiva un ruolo fondamentale è svolto, secondo l'autore, dalla D i ­chiarazione del Concilio Vaticano l i sulla libertà religiosa, Dignitatis Humanae, la cui genesi egli segue attentamente negli anni della sua discussione4 e commenta ampiamente negli anni successivi5. Secondo Bòckenfòrde la Dichiarazione conciliare rappresenta una "rivoluzio­ne" nella storia della chiesa, una vera "svolta copernicana"6 che ha modificato la tradizionale posizione della Chiesa. Con essa si è passa­ti da una concezione della libertà religiosa in quanto libertà della veri­tà religiosa, e quindi come diritto rivendicabile esclusivamente dall 'u-

4 II primo saggio La libertà religiosa come compito dei cristiani è infatti precedente alla pro­mulgazione della Dichiarazione ed è stato pubblicato per la prima volta sotto il titolo Religionsfreiheit alsAufgabe der Christen. Gedanken eines Juristen zu den Diskussionen auf dem Zweiten Vatikanischen Konzil sulla rivista «Stimmen der Zeit» 176 (1965), pp. 199-213.

5 A partire dal secondo saggio qui pubblicato La Dichiarazione sulla libertà religiosa appar­so originariamente come Introduzione all'edizione in tedesco e in latino della Dichiarazione stes­sa: cfr. Einleitung zur Textausgabe der 'Erklàrung iiber die Religionsfreiheit', in: Erklàrung iiber die Religionsfreiheit (lateinisch und deutsch), Miinster/Westfalen 1968, pp. 5-21.

6 L'espressione è usata da Josef Isensee, Die katholische Kritik an den Menschenrechten, in Ernst-Wolfgang Bòckenfòrde-Robert Spaemann (Hrsg.), Menschenrechte und Menschenwurde, KiMt-Cotta, Stuttgart 1987, pp. 138-167.

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nica religione vera, ad una concezione della libertà religiosa come diritto della persona umana, legato alla natura stessa dell'essere umano e non alla sua disposizione soggettiva, e quindi come diritto alla pro­tezione giuridica della sfera delle convinzioni religiose da ogni forma di coercizione, rivendicabile da parte di ogni essere umano, indipen­dentemente dal tipo di convinzioni possedute e perfino dall'esercizio dell 'obbligo, pur ribadito, di ricercare la verità stessa7. I l carattere 'rivoluzionario' di tale svolta è ampiamente documentato dall'autore attraverso puntuali citazioni di documenti del magistero precedente e da giudizi espressi dagli stessi protagonisti. Tra questi viene più volte ricordato i l nome di Giovanni Paolo i l , i l suo giudizio sulla Dignitatis Humanae come «una r ivoluzione» 8 a cui egli stesso aveva contribuito sulla base dell'esperienza di persecuzioni religiose, la costante riaffer­mazione nel suo magistero del valore della libertà religiosa, come appare dalla Omelia tenuta a L'Avana i l 25 gennaio 1998 in cui disse: «uno Stato moderno non può fare dell'ateismo o della religione uno dei propri ordinamenti politici . Lo Stato, lontano da ogni fanatismo o secolarismo estremo, deve promuovere un clima sociale sereno e una legislazione adeguata, che permetta ad ogni persona e ad ogni confes­sione religiosa di vivere liberamente la propria fede, esprimerla negli ambiti della vita pubblica e poter contare su mezzi e spazi sufficienti

7 «Questo Concilio Vaticano dichiara che la persona umana ha il diritto alla libertà religiosa. Il contenuto di una tale libertà è che gli esseri umani devono essere immuni dalla coercizione da parte dei singoli individui, di gruppi sociali e di qualsivoglia potere umano, così che in materia religiosa nessuno sia forzato ad agire contro la sua coscienza né sia impedito, entro debiti limiti, di agire in conformità ad essa: privatamente o pubblicamente, in forma individuale o associata. Inoltre dichiara che il diritto alla libertà religiosa si fonda realmente sulla stessa dignità della per­sona umana quale l'hanno fatta conoscere la parola di Dio rivelata e la stessa ragione. Questo diritto della persona umana alla libertà religiosa deve essere riconosciuto e sancito come diritto civile nell'ordinamento giuridico della società. A motivo della loro dignità, tutti gli esseri umani, in quanto sono persone, dotate cioè di ragione e di libera volontà e perciò investiti di personale responsabilità, sono dalla loro stessa natura e per obbligo morale tenuti a cercare la verità, in primo luogo quella concernente la religione. E sono pure tenuti ad aderire alla verità una volta conosciuta e ad ordinare tutta la loro vita secondo le sue esigenze. Ad un tale obbligo, però, gli esseri umani non sono in grado di soddisfare, in modo rispondente alla loro natura, se non godo­no della libertà psicologica e nello stesso tempo dell'immunità dalla coercizione esterna. Il dirit­to alla libertà religiosa non si fonda quindi su una disposizione soggettiva della persona, ma sulla sua stessa natura. Per cui il diritto ad una tale immunità perdura anche in coloro che non soddi­sfano l'obbligo di cercare la verità e di aderire ad essa, e il suo esercizio, qualora sia rispettato l'ordine pubblico informato a giustizia, non può essere impedito» (Dichiarazione Dignitatis Humanae sulla libertà religiosa, cap. 2).

8 «Fu una rivoluzione!» così, secondo la testimonianza di Helmut Juros, Karol Wojtyla avrebbe detto al suo collega Prof. Myskow a proposito della Dichiarazione conciliare.

Introduzione 9 per offrire alla vita della Nazione le proprie ricchezze spirituali, mora­l i e c iviche» 9 .

L'analisi dello sviluppo della concezione ecclesiastica della libertà religiosa condotta negli anni '60 mette in luce, a detta dello stesso autore 1 0, due elementi fondamentali. I l primo elemento riguarda l'au-to-comprensione della fede cristiana: con i l pieno riconoscimento della libertà religiosa come diritto della persona umana - indipendentemen­te dal tipo di religione professata - , i l cristianesimo si comprende defi­nitivamente, per dirla con Hegel, come «religione della libertà» abban­donando ogni tentazione di concepirsi come «religione della polis», ossia come religione che, anche se non si identifica con una società temporale, tuttavia si appoggia alle leggi e agli ordinamenti mondani e agli strumenti della coercizione mondana. La «religione della libertà» non significa affatto una riduzione della religione alla mera dimensio­ne dell ' interiorità soggettiva: essa invece - proprio in base alla sua struttura incarnatoria - si esprime in azioni esteriori, in costumi e in istituti, ma fa ciò nella dinamica della libertà, affidando cioè tale com­pito alla coscienza credente che accogliendo liberamente in sé la vita dello spirito è in grado di agire creativamente nella storia e di produr­re condizioni di vita più umane.

I l secondo elemento riguarda la natura stessa dei pronunciamenti ecclesiastici e in specie delle encicliche papali. I l valore della libertà religiosa, riconosciuto come diritto naturale dal Concilio Vaticano i l , si trova invece negato da molti pronunciamenti papali nel corso del 19° secolo che, in piena polemica antiliberale successiva alla Rivoluzione Francese, considerano l'affermazione della libertà religiosa contraria al diritto naturale. Questo mutamento di posizioni è interpretato da Bòckenfòrde come una vera e propria "rivoluzione copernicana", che ha introdotto una netta discontinuità rispetto alla posizione preceden­te. La discontinuità emerge con chiarezza se si confrontano le affer­mazioni della Dignitatis Humanae con quelle dell'enciclica Libertas di Leone x m (1888) a proposito di libertà religiosa. Nell'enciclica leo­nina si legge: «Da quanto si è detto consegue che non è assolutamen­te lecito invocare, difendere, concedere una ibrida libertà di pensiero, di stampa, di parola, d'insegnamento o di culto, come fossero altret-

9 Giovanni Paolo 11, Omelia in Piazza «José Marti» di La Habana, 25 gennaio 1998. 1 0 Cfr. Vorbemerkung in E.-W. Bòckenfòrde, Kirche und christlicher Glaube, cit., pp. 194-

195,

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tanti dirit t i che la natura ha attribuito all'uomo (Itaque ex dictis conse-quitur, nequaquam licere petere, defendere, largiri cogitandi, scriben-di, docendi, itemque promiscuam religionum libertatem, veluti iura totidem, quae homini natura dederit)». Mentre nella Dichiarazione conciliare citata i l carattere di diritto naturale della libertà religiosa è esplicitamente affermato: «Il diritto alla libertà religiosa non si fonda quindi su una disposizione soggettiva della persona, ma sulla sua stes­sa natura. Per cui i l diritto ad una tale immunità perdura anche in colo­ro che non soddisfano l 'obbligo di cercare la verità e di aderire ad essa, e i l suo esercizio, qualora sia rispettato l'ordine pubblico informato a giustizia, non può essere impedito» (Cap. 2). Nonostante i molti tenta­t ivi di armonizzare le differenti posizioni 1 1 , secondo i l nostro autore, le due affermazioni dal punto di vista del contenuto stanno in un rappor­to di «A e non-A». Riconoscere una tale discontinuità ha ovviamente delle serie implicazioni posto che ciò che è oggetto di diversa inter­pretazione da parte dello stesso magistero ecclesiastico è materia di diritto naturale, un diritto che, seguendo talune affermazioni dello stes­so magistero, dovrebbe configurarsi come diritto immutabile e chiara­mente intelligibile. Se si vuole mantenere un' immutabil i tà sostanziale del diritto naturale, di fronte ad un tale mutamento di posizioni, si è costretti ad ammettere che la stessa comprensione magisteriale dei contenuti di tale diritto è una comprensione che si fa nella storia e che quindi è soggetta a sviluppo e maturazione e che le interpretazioni di tale diritto non possono pretendere di possedere un valore dogmatico assoluto, né possono essere utilizzare in chiave ideologica, ma vanno invece accolte come criteri di orientamento storicamente situati e quin­di rivedibili nella loro forma. Con ciò implicitamente si riconosce che le stesse encicliche papali, pur rappresentando espressioni del supremo magistero ecclesiale, sono fall ibil i in linea di principio. L'infallibilità del magistero pontificio è infatti riservata ai pronunciamenti del papa quando egli parla ex cathedra e quando in modo esplicito intende determinare in modo definitivamente vincolante dottrine relative alla fede o ai costumi. Si tratta in questo caso di una forma di magistero straordinario che i l pontefice esercita singolarmente e che si pone accanto al magistero ordinario esercitato dai vescovi in comunione reciproca e in comunione con i l papa, che gode dello stesso carattere

1 1 Bòckenfòrde cita in particolare le interpretazioni di teologi come Roger Aubert, Pietro Pavan, John Courtney Murray.

Introduzione 1 1

di infallibilità in materia dottrinale. A l di fuori di questi pronuncia­menti, i l requisito dell 'infallibilità non può essere esteso arbitraria­mente. Da ciò risulta chiaro che ogni altro intervento magisteriale, sia pure autorevolissimo come le lettere encicliche, può incorrere in valu­tazioni e in indicazioni suscettibili di errore. Ciò appare dimostrato non solo in linea teorica, ma anche sul piano storico, come dimostra l'analisi storica dei pronunciamenti in materia di libertà religiosa che Bòckenfòrde sviluppa ulteriormente nel saggio più recente Uber die Autoritàt pàpstlicher Lehrenzykliken am Beispiel der Aufierungen zur Religionsfreiheit12.

Si vede chiaramente come l'analisi del grande tema della libertà religiosa apra lo spazio ad una re-interpretazione del ruolo dell'autori­tà all'interno stesso della Chiesa, che viene approfonditamente analiz­zato nei tre ulteriori saggi che concludono la prima sezione. I l primo di questi Autorità, coscienza, individuazione della norma è un breve saggio, in forma di tesi, scritto in onore del moralista Bernhard Hà-r ing 1 3 . I l punto di partenza è la frattura che si è creata tra i l magistero e i l sensus fidelium con particolare riguardo all'individuazione e al­l'applicazione delle norme morali. Tale frattura costringe a interrogar­si da un lato sulla coerenza dei comportamenti dei singoli, dall'altro sul modo stesso di interpretare le competenze e le funzioni dell'auto­rità. I principi morali, infatti, così come le verità di fede, non possono prescindere da un lavoro di interpretazione dato che essi, sia che ven­gano dati nella forma di comandamenti divini positivi, sia che venga­no considerati elementi della legge naturale, rappresentano «principi-norma» che per poter essere positivamente applicati alle situazioni concrete devono essere recepiti dalla ragione umana all'interno del proprio universo di argomentazioni e trasformati in scelte fattive. I l ruolo dell 'autorità in materia morale si colloca così all'interno del deli­cato rapporto tra traditio e receptio che costituisce i l «principio vitale della Chiesa in quanto communio». Se da un lato, dunque, la coscien­za del singolo credente è certamente obbligata a orientarsi secondo le indicazioni ufficiali del magistero ecclesiastico, quest'ultimo non può prescindere dalla elaborazione di valide argomentazioni che giustifi-

1 2 Cfr. infra, pp. 99-120. Autorità! - Gewissen - Normfindung. Thesen zur weiteren Diskussion, in: Kurt Ròmelt-

Bruno Hidber (Hrsg.), In Christus zum Leben befreit. Fùr Bernhard Haring, Herder, Freiburg i. B 1992, pp. 131-138.

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chino le proprie indicazioni e che possano essere positivamente accol­te dalla ragione dei singoli credenti. Quando, in coscienza o non per altre manchevolezze, un alto numero di credenti non potesse accoglie­re tali indicazioni, la stessa autorità ecclesiastica dovrebbe ripensare alla propria interpretazione e verificare se essa non abbia bisogno di nuove formulazioni.

Questo rapporto vitale e comunionale tra traditio e receptio fa parte - come viene chiaramente alla luce nel saggio Verità e libertà14 - del­l'essenza del cristianesimo come "religione della libertà": se infatti la fede cristiana si dà solo nella libertà, nell'atto libero con cui i l creden­te accoglie la Rivelazione, allora la stessa struttura istituzionale che scaturisce da tale esperienza, ossia la Chiesa con la sua autorità e le sue norme, non può che coltivare e rispettare quella stessa dinamica. Per questo i l momento giuridico, pur presente come elemento costitutivo della realtà ecclesiale non può limitarsi a replicare la dinamica "auto­r i tà-comando" del diritto secolare, ma deve caratterizzarsi piuttosto per la dinamica "autorità-fiducia". In quest'ultima dinamica i l magi­stero dell 'autorità non implica la cieca sottomissione del fedele, ma si appella piuttosto alla sua autonoma capacità di giudizio: paradossal­mente proprio i l dogma dell'infallibilità, nel suo limitare tale caratte­ristica ad alcune specifiche ed eccezionali espressioni dell 'autorità ecclesiastica, riconosce, secondo Bòckenfòrde, la natura potenzial­mente fallibile degli altri pronunciamenti e apre lo spazio all'esercizio della ragione e della coscienza critica nella dinamica dell'obbedienza.

Non va però in questa direzione, secondo l'autore, i l Codice di D i ­ritto Canonico del 1983 che prescrive esplicitamente ai fedeli di presta­re «un religioso ossequio dell'intelletto e della volontà» «alla dottrina, che sia i l Sommo Pontefice sia i l Collegio dei Vescovi enunciano circa la fede e i costumi, esercitando i l magistero autentico, anche se non intendendo proclamarla con atto definitivo» (can. 752). Con ciò viene non solo vietato, come in passato, di attenersi a dottrine esplicitamente condannate, ma viene anche prescritto di aderire positivamente a tutti gli insegnamenti del magistero. Ma in questo modo, rileva Bòcken­fòrde, si nega ogni spazio all'esercizio della ragione autonoma che in­vece è necessario per l'elaborazione storica del magistero stesso e che

1 4 Si tratta della lezione tenuta in occasione del conferimento a Ernst-Wolfgang Bòckenfòrde del Guardini Preis 2004 da parte della Katholische Akademie in Bayern: Wahrheit und Freiheit. Zur Weltverantwortung der Kirche heute, in «Zur debatte» 6/2004.

Introduzione 13

consente alla stessa autorità di rivedere e riformulare le proprie posi­zioni, come è accaduto, ad esempio, a proposito della libertà religiosa.

2. Chiesa e Stato nell'età moderna e contemporanea

Un secondo nucleo di problemi affrontato in questi saggi è quello relativo al rapporto tra Chiesa e modernità. Dopo aver delineato le strutture portanti del mondo moderno (laicità dell'ordine politico, an­tropologia individualistica, libertà e uguaglianza dei cittadini, econo­mia di mercato, distinzione tra diritto ed ethos, razionalizzazione della vita sociale, visione progressiva della storia, potenziale totalitario) Bòckenfòrde esamina in modo analitico e convincente i l rapporto tra cristianesimo e mondo moderno, mettendo in luce su quali punti si può riconoscere nella modernità un effetto di alcune dinamiche tipiche del cristianesimo (ad esempio la desacralizzazione del potere politico o l'affermazione della dignità infinita di ciascun esser umano) e su quali punti invece la chiesa ha esercitato una funzione di freno (come si è visto nei saggi precedenti, ad esempio sul terreno della libertà religio­sa, ma anche sul piano economico, laddove essa ha cercato di opporsi ad una concezione radicalmente individualistica della proprietà priva­ta, tenendo fermo i l valore sociale della stessa).

Questo rapporto, con le sue tensioni e le sue conciliazioni, ha dato luogo nel mondo occidentale ai contemporanei ordinamenti della vita civile e religiosa che appaiono entrambi improntati allo spirito della libertà. Lo Stato e le Chiese si fronteggiano infatti come portatori l 'uno di un ordinamento della libertà, l 'altro di una religione della libertà.

E per «amore della l iber tà» 1 5 che lo Stato ha rinunciato ad utilizza­re gli strumenti della coercizione fisica in materia di coscienza e a pre­tendere una legittimazione religiosa del proprio potere, affidando la stessa propria esistenza al rischio che la libertà comporta, ed è per lo stesso amore che le Chiese hanno rinunciato ad utilizzare gli strumen­ti del potere statale per far prevalere la propria visione religiosa, rico­noscendo i l valore della libertà religiosa non solo per i propri fedeli, ma anche per ogni uomo.

1 5 Cfr. Michele Nicoletti, Per amore della libertà - Lo Stato moderno e la libertà di coscien-in Ernst-Wolfgang Bòckenfòrde, La formazione dello Stato come processo di secolarizzazio-

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Nel mondo contemporaneo questa distinzione tra Chiesa e Stato è stata declinata secondo due modelli diversi: quello dello Stato secola­re, incarnato ad esempio dalla Repubblica Federale Tedesca ma anche dal nostro paese, e quello dello Stato laicista, come la Repubblica fran­cese. Mentre quest'ultimo mira ad allontanare la religione dalla vita pubblica, i l primo, invece, pur mantenendosi neutrale in materia reli­giosa, tende ad assicurare con misure anche positive la libertà di svi­luppo della religione sia nello spazio privato che in quello pubblico.

Nello Stato secolare la libertà religiosa è riconosciuta come diritto fondamentale e dunque spetta indistintamente a tutti gli individui e a tutte le comunità religiose, come diritto a non subire violazioni da parte di altri o dello Stato nella sfera delle proprie convinzioni e dei propri atti di culto. Con ciò lo Stato accoglie implicitamente i l plurali­smo religioso e non può più considerare una specifica religione come i l terreno comune a cui tutti i cittadini fanno riferimento e su cui esso stesso può poggiare la propria legittimità o da cui può ricavare i l pro­prio programma politico. In questo senso esso è secolare perché lo scopo delle sue azioni e i l fondamento del suo potere non s'hanno da ritrovare in elementi spirituali, ma esclusivamente in elementi monda­ni come la sicurezza dei cittadini, la protezione delle loro libertà, l 'am­ministrazione della giustizia e così via.

È chiaro però che questa distinzione non risolve una volta per tutte i l problema dei rapporti tra comunità statale e comunità religiose. Permangono infatti vasti ambiti di res mixtae come i l diritto matrimo­niale o l'ordinamento delle festività in cui entrambe le istituzioni rivendicano una propria competenza. Non solo. Uscite dalla sfera pro­priamente statale, le comunità religiose si trovano tuttavia nella socie­tà civile e qui svolgono un ruolo fondamentale di integrazione sociale e spesso anzi di supporto alla stessa comunità politica, coltivando valo­ri quali la lealtà civica, l'obbedienza all 'autorità, lo spirito di sacrificio e la solidarietà umana. Bòckenfòrde parla di una funzione «integrati-vo-legittimante» delle comunità religiose, ma una tale funzione - egli ricorda - può solo essere liberamente scelta dalle comunità religiose e non certo imposta ad esse dallo Stato. Ciò che lo Stato può fare è certo garantire uno spazio istituzionale (ad esempio all'interno delle scuole) all'istruzione religiosa, necessaria non solo per conoscere i l patrimo­nio tradizionale ma anche quello delle tradizioni religiose di recente insediamento e alla formazione etica dei cittadini.

Introduzione

3 Etica, diritto naturale e giustizia

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Perché questo rapporto di cooperazione tra comunità religiosa e comunità politica possa svilupparsi in modo positivo è essenziale che le Chiese sviluppino un'adeguata comprensione della natura dello Stato moderno nella sua forma democratica, delle sue istituzioni e del suo ethos. E questo i l tema affrontato nella terza parte del volume in cui spiccano i saggi dedicati all'ethos democratico e al diritto naturale ecclesiastico. Si tratta di pagine di grande lucidità che fanno chiarezza su temi che oggi si trovano al centro della discussione, anche e soprat­tutto nel nostro paese. Bòckenfòrde anche in questo caso procede col metodo che gl i è proprio: offre inizialmente una ricostruzione storico-concettuale dei termini in questione, passa poi ad individuare gli aspet­ti problematici ed elabora infine delle strategie di possibile soluzione.

I l primo focus è legato alla questione dell'ethos democratico. L'or­dinamento democratico moderno si fonda secondo l'autore, che ha dedicato saggi fondamentali di teoria costituzionale all'argomento 1 6, su alcuni principi cardine, quali l'autodeterminazione del singolo e l'uguaglianza dei cittadini, e si articola in procedure specifiche, tra cui, in particolare, quella basata sul principio di maggioranza. Tale princi­pio non è un mero espediente tecnico per assumere decisioni, ma è invece i l portato di una serie di principi fondamentali, tra cui appunto il diritto all'autodeterminazione e l'uguaglianza dei membri, che attra­verso l'esercizio di tale procedura si vogliono rendere efficacemente operativi nel momento della determinazione delle scelte collettive. In questo senso i l principio di maggioranza non può essere usato per tra­dire o vanificare i principi portanti da cui esso deriva, come avviene ad esempio là dove una maggioranza si rende tirannica o dove esso viene utilizzato in modo meramente strumentale. La democrazia moderna riposa su principi di natura etica e di essi deve continuare a nutrirsi. Per questo può vivere solo se accompagnata da un ethos adeguato. Tale ethos prevede che i soggetti, che entrano nel gioco democratico, accet­tino implicitamente l'uguale diritto di tutti i partecipanti a determina­re le scelte collettive, si dispongano ad accettare le decisioni assunte dalla maggioranza anche se contrarie alle proprie visioni e, nel mo­mento in cui giungono al potere, lascino intatte ai loro oppositori le

1 6 Ora raccolti in Ernst-Wolfgang Bòckenfòrde, Stato, Costituzione, Democrazia, a cura di Michele Nicoletti e Omar Brino, Giuffré, Milano 2006.

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stesse libertà e uguali possibilità di conquistare i l potere. Se è vero quindi che un tale ethos è essenzialmente legato ad alcuni valori for­mali e lascia aperta la determinazione dei contenuti della democrazia stessa, occorre però tenere presente che tali valori sono essenziali alla democrazia stessa e devono essere concretamente garantiti, pena i l suo stesso decadimento. L'ethos democratico prevede perciò non solo i l rispetto delle procedure democratiche, ma anche l'impegno a realizza­re o mantenere le condizioni storiche entro le quali la procedura demo­cratica può svolgersi. L'impegno a realizzare valori ritenuti superiori non può quindi mettere in discussione la tenuta dello stesso quadro democratico. L'ethos democratico è dunque un ethos che impegna i soggetti a verificare costantemente la compatibilità delle proprie istan­ze con i l mantenimento del quadro democratico che solo può assicura­re i l raggiungimento del bene comune da parte di individui liberi ed uguali. Diversamente può accadere che, privilegiando determinati con­tenuti e le forze politiche che - onestamente o strumentalmente - l i sostengono rispetto al quadro generale, si contribuisca a far tramonta­re lo stesso ordinamento democratico della vita collettiva.

Sul piano storico, secondo Bòckenfòrde, ciò è avvenuto negli anni drammatici dell'ascesa dei totalitarismi, quando, privilegiando deter­minati contenuti polit ici (ad esempio la difesa delle scuole confessio­nali, i l sostegno alla famiglia, eccetera), v i sono stati consistenti setto­ri del mondo cattolico e protestante che hanno sostenuto i l regime nazionalsocialista finendo così per contribuire alla liquidazione del regime politico parlamentare: «Nel l 'anno 1933, considerato retrospet­tivamente, si trattava di sostenere i l gruppo politico che, restando sul terreno di un ordinamento liberale, prometteva di opporre la più deci­sa resistenza al nazionalsocialismo, anche se non riconosceva la scuo­la confessionale e non rispettava del tutto la concezione giusnaturali-stica della proprietà. Ciò che l'interesse generale comandava, di fron­te al sorgere della dittatura dei nazisti, era prima di tutto di conserva­re, in generale, un ordinamento democrat ico-l iberale» 1 7 .

A l fine di far maturare in tutte le componenti della società un tale ethos democratico, è essenziale che gl i errori compiuti nel passato vadano ricordati e vada invece intensificato lo sforzo di comprensione del valore anche teologico della convivenza pacifica tra uomini di diverse opinioni. La secolarizzazione dello Stato moderno, ossia i l suo

t'ethos della democrazia moderna e la Chiesa, infra, p. 192.

produzione 17

essivo emanciparsi dall'essere uno strumento al servizio di un «rnoo religioso o morale, non devi

Ini

PrC^T0 S C opo religioso o morale, non deve essere visto solo come un • noverimento della politica, come una sua riduzione a mera proce­dura' al contrario, la capacità della politica moderna di far convivere

cificamente individui e gruppi diversi consentendo loro di persegui­re liberamente i loro disegni di felicità non è una diminuzione ma un incremento della sua importanza.

Tutto questo non dovrebbe essere ignorato non solo dai singoli cre­denti e dalle loro associazioni, ma anche dalle Chiese che vedono aprirsi con l'avvento delle democrazie nuove possibilità di azione rispetto al passato. Nei contesti democratici, le Chiese, come ogni altro soggetto, possono naturalmente utilizzare i meccanismi della vita democratica (i dibattiti, i partiti, i movimenti, le elezioni e i referen­dum) al fine di veicolare i propri valori o di realizzare le proprie fina­lità. Ma se decidono di entrare nel gioco democratico, devono essere consapevoli di divenire come tutti g l i altri un soggetto di "parte", che può vincere o perdere, che può essere sostenuto o può essere osteggia­to da altri soggetti con gl i strumenti della lotta politica. In nessun caso esse potrebbero, pena la perdita definitiva di credibilità, utilizzare i meccanismi democratici solo quando sono loro favorevoli.

Ma di fronte ad un tale utilizzo dei moderni mezzi politici demo­cratici, l 'Autore si chiede se davvero sia conveniente per la Chiesa fare uso di questi mezzi per svolgere la propria missione o se invece non le sia più confacente rinunciare al ricorso a tali mezzi e mantenersi indi­pendente da tutti i gruppi, così da poter essere per tutti interlocutrice sui valori ul t imi e davvero essenziale. Ciò naturalmente nelle situazio­ni della normale vita democratica, dove non sia messa in discussione la vita stessa delle persone e la loro dignità.

In questo quadro si inserisce anche l'analisi, puntuale e profonda, che Bòckenfòrde conduce sul tema del diritto naturale cristiano, un tema che spesso ricorre nelle discussioni attorno al rapporto tra cri­stianesimo e politica e ai vincoli dell'azione dei credenti in politica. Si tratta di un tema che, in questi saggi, l'autore affronta sia da un punto di vista generale attraverso un'acuta messa a punto teorica e una det­tagliata ricostruzione storica, sia dal punto di vista della questione spe­cifica della "giustizia sociale" 1 8.

1 8 Si vedano i saggi Diritto naturale ecclesiastico e agire politico (pubblicato originaria-m e n t e s o t t o il titolo Kirchliches Naturrecht und politisches Handeln nella raccolta di saggi cura-

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Sul piano generale le riflessioni di Bòckenfòrde sul tema del dirit­to naturale, si nutrono, da un lato dell'ampio dibattito che si è svilup­pato tra filosofi e giuristi nell'Europa del secondo dopoguerra attorno al cosiddetto «eterno ritorno del diritto naturale» e che ha accompa­gnato la nascita delle costituzioni contemporanee e l'interpretazione dei dir i t t i fondamentali, dall'altro del ripensamento teologico del tema che, dopo le forti ideologizzazioni di fine Ottocento e prima metà del Novecento, ha portato molti teologi a considerazioni più cri­tiche e prudenti 1 9 .

ta dal teologo Franz Bòckle e dallo stesso Bòckenfòrde dal titolo Naturrecht in der Kritik, Griinewald, Mainz 1973, pp. 96-125) e Riflessioni per una teologia del diritto secolare moderno che contiene il testo della lezione dell'Autore in occasione del dottorato honoris causa in teolo­gia conferitogli dall'Università di Bochum nel 1999 (Ùberlegungen zu einer Theologie des modernen sàkularen Rechts. Vortrag anlàfilich der Ehrenpromotion am 12. Mai 1999, in Uni-versitdtsreden. Neue Serie Nr. 9 der Ruhr-Universitdt Bochum, pp. 27-50). Riguardo ai saggi sulla "giustizia sociale", il primo contributo, Questioni di principio, etiche e politiche, per il nostro tempo, riprende una relazione presentata in occasione del 90° anniversario della Rerum novarum al Comitato Centrale dei cattolici tedeschi (cfr. Ethische und politische Grundsatzfragen zur Zeit. Ùberlegungen aus Anlafi von 90 Jahre "Rerum novarum " in «Herder Korrespòndenz» 35 [1981], pp. 342-348). Dopo la relazione di Bòckenfòrde il padre Oswald von Nell-Breuning SJ disse: «L'intera dottrina sociale della Chiesa con il suo solidarismo è una conferma unica delle Sue affermazioni, ma essa parla per i muri; gli uomini, anche coloro che si riconoscono in essa o perfino quanti la presiedono, nel migliore dei casi stanno ad ascoltare ma non se ne servono» (citato in Vorbermerkung in Kirche und christlicher Glaube, cit., p. 331). Il secondo contributo, // contributo dell'agire politico alla realizzazione della giustizia, è stato pubblicato originaria­mente in: Wilhelm Ernst (Hrsg.), Gerechtigkeit in Gesellschaft, Wirtschaft und Politik, Universitat-Verlag, Freiburg (CH) 1992, pp. 149-172. Nella sua ampia produzione su tematiche di etica e diritto naturale, Bòckenfòrde ha affrontato anche altre questioni tra cui, in particolare, il tema della "guerra giusta" (cfr. Ernst-Wolfgang Bòckenfòrde-Robert Spaemann, Die Zerstórung der naturreehtlìchen Kriegslehre. Erwiderung an Pater G. Gundlach SJ in Atomare Kampfmittel und christlìche Ethik. Diskussionsbeitràge deutscher Katholiken, Miinchen 1960, pp. 161-196; Christliche Moral und atomare Kampfmittel in Militdrseelsorge. Zeitschrift des katholischen Mìlitàrbischofsamts 3 [1961], pp. 267-301) e dell'interruzione volontaria di gravi­danza nella legislazione tedesca che l'autore ha seguito da vicino anche come giudice costitu­zionale (cfr. Abschaffung des Paragraphen 218 StGB? Ùberlegungen zur gegenwdrtigen Diskus-sion um das strafrechtliche Abtreibungsverbot in «Stimmen der Zeit» 188 [1971], pp. 147-167).

1 9 Cfr. Franz Bòckle-Ernst-Wolfgang Bòckenfòrde (Hrsg.), Naturrecht in der Kritik, Griinewald, Mainz 1973. Sui rischi di un sovraccarico del diritto naturale in ambito politico ha attirato l'attenzione anche Joseph Ratzinger nel 1984, quando, a proposito della società medie­vale, scrisse: «La teologia cattolica aveva elaborato un concetto positivo dello Stato profano, non messianico. Però, con frequenza, l'idea del diritto naturale apparve in questa teologia così cari­cata di contenuti cristiani che andò perduta la necessaria capacità del compromesso e lo Stato non potè essere inteso nei limiti della profanità che gli sono essenziali. Questa teologia pretese trop­po, si ostruì in questo modo la strada verso il possibile e il necessario» (Joseph Ratzinger, Christliche Orientierung in der pluralistichen Demokratie? Uber die Unverzichtbarkeit des Christentums in der modernen Welt in Pro Fide et Justitia. Festschrift fur Agostino Kardìnal Casaroli zum 70. Geburtstag, hrsg. von Herbert Schambeck, Duncker & Humblot, Berlin 1984, pp. 747-761).

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Introduzione 19

L'analisi di Bòckenfòrde prende le mosse anche in questo caso da ina ricostruzione storica del problema. E significativo infatti notare

come la dottrina del diritto naturale venga assunta come dottrina uffi­ciale per l'insegnamento della Chiesa a partire dal 19° secolo e in par­ticolare da Leone x m , in una fase di più ampia ridefinizione del rap­porto tra Chiesa e cultura moderna. Essa da un lato si fonda sulla con­vinzione che la natura umana, con la sua essenza e con i suoi doveri, sia conoscibile dalla ragione umana posseduta da ogni uomo - e per questo quindi costituisca un vincolo normativo per ogni individuo e per ogni formazione sociale; dall'altro definisce questa stessa natura come una realtà immutabile sulla base del presupposto teologico che essa è stata creata da Dio all'interno di un ordine ontologico dato. Per questo essa deve essere fin dall ' inizio definita come dottrina del dirit­to naturale cristiano o ecclesiastico: se da un lato essa dichiara che la ragione umana, nonostante i l peccato originale, è in grado di cogliere gli elementi essenziali e normativi della natura umana, dall'altro essa non affida alla libera ricerca della ragione i l compito di definire che cosa sia la natura umana, ma ritiene, sul piano teorico e pratico, che la ricerca razionale vada comunque sorretta e illuminata dalla fede cri­stiana e dai contenuti della rivelazione interpretati dall 'autorità eccle­siastica. I l concetto di natura di cui essa si serve non è quindi un con­cetto universalmente condiviso 2 0 .

D'altra parte anche la concezione di diritto sottesa alla dottrina del diritto naturale è di tipo particolare: essa infatti tende a considerare i l diritto come parte dell'ordine etico del mondo e gli attribuisce i l com­pito di trattenere l 'uomo dal compiere i l peccato. Ma è proprio questa concezione del diritto che è superata dal pensiero moderno che distin­gue in modo radicale i l crimine dal peccato, limitando lo spazio del diritto all'ambito dei comportamenti esteriori e ponendogli come fine non i l contribuire al mantenimento dell ' integrità spirituale dell'uomo, ma i l consentire i l raggiungimento di una pacifica convivenza umana ordinata a principi di giustizia.

- Per questa ragione Joseph Ratzinger, nel suo famoso dialogo con Jiirgen Habermas, ha "conosciuto che nel contesto dell'odierno dialogo interculturale lo strumento del diritto naturale

«purtroppo divenuto spuntato» (Jiirgen Habermas-Joseph Ratzinger, Vorpolitische moralische rundlagen eines freiheitlichen Staates, in «Zur Debatte» 1 [2004], pp. [-VI; tr. it. Etica, religio-

e Stato liberale, in «Humanitas» 59 [2004], 2, pp. 232-260, poi come volumetto a sé stante, °'to lo stesso titolo, a cura di Michele Nicoletti, Morcelliana, Brescia 2005).

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Questa mancata avvertenza della distinzione tra etica e diritto è per Bòckenfòrde alla base della lenta maturazione da parte dell 'autorità ecclesiastica del valore della libertà religiosa, che, come si è visto nei saggi iniziali , solo con i l Concilio Vaticano II è stata riconosciuta come un diritto fondamentale della persona. Se infatti sul piano morale è indubbio che la verità non possa essere trattata sullo stesso piano di quello che si presume errore, sul piano giuridico invece, laddove si riconosca all ' individuo un inviolabile diritto alla libertà religiosa, qualsiasi credenza abbracciata dal singolo ha da essere rispettata da parte dei poteri pubblici e da parte degli altri individui. La mancata distinzione non ha effetti solo sul piano teorico ma anche sul piano pratico, come dimostrano ampiamente le vicende dei totalitarismi con­temporanei e dei comportamenti delle Chiese di fronte ad essi. Proprio una rigida interpretazione in senso ideologico del diritto naturale, portò troppo spesso la Chiesa cattolica a individuare un partner affida­bile in chi si proclamava difensore di alcuni valori irrinunciabili, senza guardare alla sua complessiva posizione politica e quindi al concreto storico bene comune che un tale partner perseguiva. Ciò avvenne, ricorda Bòckenfòrde, non solo in Germania nel caso del nazionalso­cialismo, ma anche in Croazia dove vennero appoggiati leader consi­derati "veri cattolici" senza riguardo alla politica di discriminazione etnica e religiosa ch'essi mettevano in atto.

Non si tratta allora di rigettare in toto la tradizione del diritto natu­rale cristiano. A l contrario essa è una tradizione ricchissima che giu­stamente e doverosamente richiama ogni ordinamento al rispetto di alcuni fondamentali principi e norme. Ma essa appunto è indicazione di principi e norme generali che devono essere sempre costantemente riscoperti e ricompresi nella storia presente e attualizzati in modo effi­cace in un quadro unitario nelle diverse situazioni contingenti. Ciò che appare discutibile è invece una concezione ideologica del diritto natu­rale che lo irrigidisce nella difesa di alcuni singoli beni per sé assolu-tizzati ed astratti da una considerazione globale. Se tali elementi si vogliono rigidamente vincolanti per l'azione politica dei credenti -non solo in quanto principi generali ma anche in quanto concrete diret­tive di azione - allora si rischia di dettare ai credenti delle regole di comportamento politico che ignorano la dimensione propria del pol i t i ­co stesso, ossia i l suo carattere di "sguardo sulla totalità" e di azione capace di farsi carico in modo concreto non solo della salvaguardia di

Introduzione 21

a istanze ma dell'insieme delle condizioni di vita di tutte le per-alcune isian^

sone appartenenti ad una comunità. Si tratta ancora di riscoprire i l valore teologico del diritto secolare

moderno, la sua tensione positiva alla costruzione di una pace secola-come condizione di vita autenticamente umana, rispettosa dei dirit­

t i delle persone e della loro libertà, i l diritto insomma come "ordine di conservazione" della vita umana. In questa direzione, Bòckenfòrde non rifiuta affatto la lezione dei grandi maestri del diritto naturale, ma, citando san Tommaso, ne riscopre - in ciò avvicinandosi all'interpre­tazione di Maritain - la capacità discreta di accostarsi alla reale storia dell'uomo, l'attenzione nei confronti della diversità delle situazioni, delle debolezze degli uni e degli altri e la costante preoccupazione che la doverosa testimonianza degli ideali non finisca per produrre, nel gioco non preordinato della storia, effetti indesiderati e situazioni peg­giori di quelle a cui si vorrebbe porre rimedio.

4. / / problema della teologia politica

L'ultima parte di questa raccolta è dedicata al tema della "teologia politica". E questo un tema che riveste un ruolo centrale nella produ­zione di Bòckenfòrde e la sua riflessione su questo argomento è dive­nuta ormai un punto di riferimento imprescindibile 2 1 nelle diverse trat­tazioni. A questo tema l'autore giunge sulla base attraverso l'intenso confronto, da un lato, con la riflessione di Cari Schmitt e di Hans Barion 2 2 , dall'altro con i l dibattito teologico degli anni '60, con le

2 1 Cfr. Luigi Sartori-Michele Nicoletti (eds.), Teologìa politica, EDB, Bologna 1991; Robert Hepp, Theologie, politische in Historisches Wòrterbuch der Philosophie, hrsg. von Joachim Ritter und Karl Griinder, Schwabe, Basel 1998, voi. 10, coli. 1105-1112; Merio Scattola, Teo­ria politica, Il Mulino, Bologna 2007.

2 2 Hans Barion (1899-1973) frequentò negli anni Venti, come giovane sacerdote cattolico, i seminari di Cari Schmitt a Bonn, dove nel 1928 si addottorò in teologia con una dissertazione in storia del diritto sotto la direzione di Albert Koeniger, che gli trasmise l'interesse per Rudolph

°nm. Nel 1930 conseguì il dottorato in diritto canonico presso l'Università Gregoriana di Roma e n e " ° stesso anno l'abilitazione nella stessa materia presso la Facoltà di teologia di Bonn. La sua lezione inaugurale fu dedicata al tema "Rudolph Sohm und die Grundlegung des

fchenrechts". Insegnò presso le università di Braunsberg e Bonn fino al 1933, anno in cui deci-i entrare nel partito nazionalsocialista. Dal 1934 al 1935 venne sospeso dall'autorità eccle-

Dall ""a 6 ^U c m a m a t 0 c o r n e ordinario di diritto canonico presso l'università di Monaco. a 1939 al 1945 prese il posto del suo maestro Koeniger all'università di Bonn. La fine della

fra segnò - come per Schmitt - anche la fine del suo insegnamento accademico a causa del

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nuove "teologie politiche" di Metz e Moltmann e le richieste di un impegno politico dei cristiani e delle Chiese sorte negli anni del Concilio Vaticano II.

Rispetto ai sostenitori di una lettura "politica" del messaggio cri­stiano, Bòckenfòrde ricorda con chiarezza come tale messaggio si ponga essenzialmente come annuncio di una salvezza che non si com­pie nell'orizzonte politico, né si realizza con mezzi politici, né contie­ne in sé un programma politico immediato. Mol t i passi espliciti dei Vangeli vanno piuttosto nella direzione di una decisa distinzione dei due ambiti e di un netto rifiuto da parte di Gesù di utilizzare i mezzi tipici del potere politico (coercizione fisica, imposizione tributi, ecce­tera) quali strumenti o veicoli della propria missione. Lo stesso con­flitto con i poteri del tempo che porta alla sua condanna a morte pare essenzialmente un conflitto di natura religiosa, benché poi si trasferi­sca sul piano politico.

Da questa natura essenzialmente salvifica del messaggio cristiano, non scaturisce per la Chiesa nessun compito politico istituzionale e ogni suo intervento sul piano politico appare radicalmente limitato a quegli ambiti in cui un determinato agire politico può rilevare negati­vamente in modo diretto ai f ini della salvezza, come, ad esempio, lad­dove una determinata legge dovesse obbligare un individuo al compi­mento di un'azione in sé malvagia. Non è perciò un compito istitu­zionale della Chiesa quello di entrare nel concreto delle discussioni e delle azioni relative ai mezzi e agli scopi politici che spettano invece alle valutazioni dei credenti, formati agli insegnamenti fondamentali

suo rapporto con il nazionalsocialismo. Continuò tuttavia la sua attività scientifica nella cerchia degli studiosi legati a Schmitt (che gli dedicherà nel 1970 lo scritto Politische Theologie il) con pubblicazione di articoli e saggi, tra cui alcuni contenenti accenti fortemente critici nei confron­ti delle dottrine del Concilio Vaticano II . I suoi saggi più significativi sono stati ripubblicati nella raccolta Kirche und Kirchenrecht: gesammelte Aufsàtze, hrsg. von W. Bòckenfòrde, Paderborn 1994. Sulla sua figura e sul suo pensiero, si vedano: Werner Bòckenfòrde, Der korrekte Kanonist. Einjùhrung in das kanonistìsche Denken Barions, in Hans Barion, Kirche und Kirchenrecht, cit., pp. 1 -23; M. KJeinwachter, Das System des gòttlichen Kirchenrechts: der Beitrag des Kanonisten Hans Barion (1899-1973) zur Diskussion uber Grundlegung und Grenzen des kanonischen Rechts, Wurzburg 1996; P. Kramer, Theologische Grundlegung des kirchlichen Rechts: die recht-stheologische Auseinandersetzung zwischen Hans Barion und Joseph Klein im Licht des 11. Vatikanischen Konzils, Trier 1977; Michele Nicoletti, Cari Schmitt e il diritto canonico. Tra Sohm, Kelsen e Barion in Carlo Fantappiè (ed.), Itinerari culturali del diritto canonico nel Novecento, Giappichelli, Torino 2003, pp. 123-149. A Hans Barion è dedicato il primo saggio di questa ultima sezione, Politisches Mandai der Kirche?, pubblicato originariamente sulla rivista «Stimmen der Zeit» 184 (1969), pp. 361-373 sulla base del testo di una conferenza tenuta dal­l'autore al circolo degli studenti cattolici in Heidelberg nell'«agitato» semestre estivo del 1969.

Introduzione 23

1 cristianesimo. La richiesta di un impegno politico della Chiesa tro le generiche situazioni di oppressione, che si levava in partico­

lare negli anni '60, non pare quindi teologicamente fondata e, sul pia-storico, nemmeno opportuna. Come spiega retrospettivamente i l

nostro autore con riferimento al dibattito di quegli anni: «un Ottaviani di sinistra non mi sembrava affatto meglio di un Ottaviani di des t ra» 2 3 .

Ciò, ovviamente, non significa affatto negare la capacità della fede cristiana, incarnata nella vita dei credenti, di dare frutto in opere di cul­tura e di politica in grado di trasformare la realtà ed anche di rinnovarla radicalmente sulla base dei principi evangelici. A l contrario, proprio la convinzione della necessità che la fede del credente ha da farsi testi­monianza operosa trasformatrice della storia, può consentire alla Chiesa nella sua dimensione istituzionale di limitare i l proprio manda­to all'ambito che le è proprio.

Quanto poi all'argomento di chi obietta che comunque la Chiesa in quanto collocata nella storia ha una rilevanza politica anche quando si dedica a compiti di natura solo spirituale o addirittura quando tace di fronte agli eventi della storia, Bòckenfòrde ricorda come questo argo­mento sia certamente ben fondato. E precisamente lo stesso argomen­to che Cari Schmitt nella Prefazione alla seconda edizione della sua Teologia politica avanzava nei confronti delle pretese della teologia "pura" che si voleva come mera speculazione intorno al "totalmente altro". Ogni discorso teologico, in quanto discorso, come ogni istitu­zione storica, in quanto istituzione, è una presa di posizione, è un'oc­cupazione di uno spazio concreto e dunque ha certamente effetti anche politici. Chi volesse liquidare la natura "politica" del teologico dimo­strerebbe di non sapere che i l "politico" per sua natura è in grado di coinvolgere nella sua dialettica tutti g l i ambiti della vita umana. È dun­que illusorio pensare ad una teologia "pura" o ad una Chiesa astratta­mente neutrale. Ma la consapevolezza della rilevanza politica dei di­scorsi e degli atti della Chiesa, di volta in volta e nelle diverse situa­zioni storiche, non può e non deve significare che l'annuncio del mes­saggio vada «(sovra)determinato» politicamente. L'effetto politico di un azione non può essere i l criterio di giudizio per la Chiesa. Agendo nella storia essa deve però accettare che gl i effetti politici delle sue Posizioni siano giudicate sul piano della storia e come ogni altra poten­za storica sa che tali effetti sono consegnati al dramma della contin-

v°rbermerkung in Kirche und christlicher Glaube, cit., p. 249.

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genza e anche del peccato. Per questo essa deve serenamente accetta­re che si possa discutere della rilevanza politica dei suoi interventi e dei suoi silenzi e che si possa fare un bilancio storico ed una revisione critica di tali scelte. I l riferimento concreto che l 'Autore ha in mente è chiaramente l'atteggiamento del Papa e dei vescovi tedeschi di fronte alla Seconda guerra mondiale: «Dovevano invitare i soldati tedeschi cattolici a rifiutare di prestare servizio di guerra, o determinati servizi di guerra, e quindi prevedibilmente consegnarne un gran numero alla morte, mentre i l Papa stesso e in parte anche i vescovi sarebbero rima­sti intoccabili? All 'ostinato silenzio della Chiesa su questa domanda non è possibile negare né preoccupazione pastorale, né onestà civile. Ma questa logica terrena del riuscire a sopravvivere e del voler soprav­vivere è anche quella propria dell'ufficio di custodia e protezione del messaggio cristiano, proprio della Chiesa?» 2 4 .

Proprio l'analisi del caso della Seconda guerra mondiale consente a Bòckenfòrde di mostrare come proprio una maggiore fedeltà al proprio compito - quello di custodire e proteggere i l messaggio cristiano di sal­vezza - rispetto ad ogni considerazione terrena, potrebbe consentire alla Chiesa una maggiore incidenza anche sul piano politico. In questa direzione egli cerca di interpretare anche la "teologia politica" di Gio­vanni Paolo i l , i cui interventi a favore dei diritti umani egli vede lega­ti da un lato ad una prospettiva fortemente cristologica, dall'altro ad un recupero della funzione "profetica" della Chiesa istituzionale, in quan­to partecipe dell'ufficio profetico di Cristo. L'esercizio di una tale fun­zione profetica può certo comportare in casi concretamente delimitati anche la denuncia di particolari situazioni storiche di ingiustizia e non solo i l richiamo all'osservanza dei principi evangelici, ma tale denun­cia profetica non si traduce mai in indicazione normativa di modelli po­li t ici da applicare o di concrete misure da adottare. Essa rappresenta perciò certamente una presa di posizione storico-politica, ma non tale da sottrarre ai laici i l loro compito specifico di costruire in positivo situazioni storiche alternative in cui i diritti umani vengano promossi anziché violati. L'ufficio profetico non si traduce perciò nella ripropo­sizione di un nuovo integralismo, ma si esercita in un quadro di rispet­to del pluralismo e della libertà di coscienza di credenti e non credenti.

Sulla base di questi esempi Bòckenfòrde può avanzare la sua com­plessiva interpretazione della questione della "teologia politica", che

2 4 Mandato politico della Chiesa?, infra, pp. 312-313.

Introduzione 25

egli vede articolarsi in tre diverse forme: la teologia politica giuridica, istituzionale, appellativa. La prima forma è quella individuata da Cari Schmitt e da lui definita come parte di una sociologia dei concetti giu­ridici, volta a ricercare le analogie storiche e sistematiche esistenti tra i concetti della dottrina teologica e quelli della moderna dottrina dello Stato nella tradizione occidentale. Esempio tipico di una tale analogia è i l concetto di sovranità con i suoi diversi attributi (onnipotenza, forza creatrice, capacità di sospendere le leggi, assolutezza, eccetera) che dalla realtà del potere divino viene applicato a quella del potere polit i­co. La seconda forma è quella di tipo istituzionale, che riguarda l ' i n ­sieme delle affermazioni contenute in una dottrina o in una rivelazio­ne religiosa relative all'ordine politico. Si tratta di una "teologia della politica" che dalla dogmatica si estende alla morale e all'insieme dei rapporti tra comunità religiosa e istituzioni mondane. D i essa può far parte anche una teologia politica che voglia giustificare un certo asset­to politico, come nel caso della teologia politica di Eusebio di Cesarea criticata da Erik Peterson. Ma quest'ultima forma è solo una concreta espressione storica di teologia politica e non esaurisce certo ogni pos­sibile forma di essa, per cui la sua "liquidazione" non comporta la dimostrazione dell ' impossibil i tà di ogni "teologia politica" in ambito cristiano. La terza forma, infine, è quella forma di teologia politica che è sorta negli anni '60 e che interpreta i l messaggio cristiano come un messaggio volto anche direttamente alla trasformazione della società. A questa interpretazione si rifanno le "nuove teologie politiche" tede­sche degli anni '60 e '70, come le diverse teologie della liberazione.

Molte critiche sono state avanzate nei confronti di queste forme di "teologia politica" e molte sono condivise dall'Autore. Ma i l problema che la "teologia politica" pone resta però del tutto aperto e inelimina­bile, per almeno due ragioni: da un lato per i l fatto che le dottrine e le esperienze religiose, e tanto più i l cristianesimo, contengono afferma­zioni e norme rilevanti sul piano politico e le rispettive teologie pos­sono quindi sempre di nuovo dare vita a nuove interpretazioni del fenomeno politico e a nuove pratiche sociali. Dall'altro lato, ogni espe­rienza e dottrina religiosa si colloca nell'ambito dell'umano e in tale ambito nessun settore può essere a priori escluso dalla dialettica poli­sca che - come ricorda Cari Schmitt - può coinvolgere l'intero spet­to dell'esistenza associata. Teologia e politica rimandano così inevi-

ilmente l'una all'altra, da due versanti diversi, dando vita a un cam­po di tensione che pur esprimendosi in forme diverse rimanda sempre

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a questo intreccio di teologico e politico. Anche la separazione tra reli­gione e politica di cui vive lo Stato liberale secolarizzato non nega la teologia politica, ma ne è una sua forma. Non solo perché lo Stato libe­rale si nutre di premesse che esso non può garantire, giacché esso rifiu­ta di usare i mezzi della coercizione fisica per imporre i principi spiri­tuali su cui pur si fonda. Ma anche perché i l regime di separazione comunque non elimina la tensione che sempre può prodursi tra istan­ze politiche e istanze religiose su materie miste, laddove entrambe le istanze pretendano di disciplinare una stessa materia. Con ciò anche nel regime di separazione i l problema teologico-politico si ripropone, appunto come campo di tensione. I l far cooperare in modo non distrut­tivo queste istanze in perenne tensione dialettica è ciò che, attraverso innumerevoli conflitti e discussioni, è riuscito all'Occidente, aprendo all 'uomo orizzonti straordinari di libertà.

Per quanti vogliono proseguire quest'opera miracolosa - la libertà e la dignità di ogni uomo e donna 2 5 come ordinamento civile dell'intera umanità, reso possibile e fortificato dall'ingresso di Dio nel mondo - i saggi di Bòckenfòrde costituiscono una straordinaria lezione di grande attualità.

2 5 Sulla necessità di riaffermare il valore della dignità umana di fronte alle sfide poste dalle nuove tecnologie genetiche, si vedano i recenti contributi dell'autore: Das Tor zur Selektion ist geòffneì, in «Siiddeutsche Zeitung», 16.5.2001; Die Frucht einer verbotenen Tat. Wie weit reicht der Achtungsanspruch der Menschenwiirde? in «Siiddeutsche Zeitung», 28.1.2002; Mensehen-wiirde als normatives Prinzip. Die Grundrechte in der bìoetischen Debalte in «Juristenzeitun» 2003, pp. 809-815.

E R N S T - W O L F G A N G B Ò C K E N F Ò R D E

Cristianesimo, libertà, democrazia

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C A P I T O L O T E R Z O

LA RELIGIONE NELLO STATO SECOLARE

I l tema di cui ci vogliamo occupare qui, vale a dire la religione nello Stato secolare, presenta due aspetti. I l primo riguarda la posizio­ne giuridica della religione nello Stato secolare, i l secondo i l signifi­cato che spetta alla religione all'interno e nei confronti dello Stato secolare. Prima, però, occorre chiarire quale sia i l fondamento di que­sta posizione e di questo significato della religione. Nello Stato secola­re - qual è, secondo Costituzione, la Repubblica Federale Tedesca -questo fondamento risiede nel principio della libertà religiosa. R i ­spetto alla religione tale Stato si mantiene neutrale, e quindi aperto. In ciò esso si distingue dallo Stato laicista, che mira ad allontanare la reli­gione dalla vita pubblica 1. Uno Stato di questo tipo è la Francia. Lo Stato secolare, per contro, assicura alla religione la libertà di svilup­parsi sia nello spazio privato sia in quello pubblico, senza tuttavia identificarsi con essa e senza farsi mettere al servizio di scopi religio­si. Certo, la Germania per secoli è stata plasmata dal modello della Chiesa di Stato. Ma essa ha rotto con questo passato in maniera netta, dapprima con la Costituzione di Weimar, quindi con l'attuale Costi­tuzione [Grundgesetz]. I l fondamento della relazione tra Stato e reli­gione è oggi i l diritto costituzionale religioso. Solo al suo interno può esistere un diritto ecclesiastico statale. E questo diritto costituzionale religioso è retto e ulteriormente determinato dal diritto fondamentale e dal principio della libertà religiosa.

1. Concetto di libertà religiosa

1. Per la posizione e i l significato della religione nello Stato e nella società è anzitutto i l diritto fondamentale alla libertà religiosa, garan­tito dalla Costituzione (GG, art. 4, comma 1 e 2). Qual è i l contenuto di questo diritto fondamentale? Esso implica i l diritto ad avere o a non

1 Questo era, ad esempio, il contenuto della cosiddetta «tesi della separazione», diffusa nel 1905 in Francia. Su ciò cfr. A. v. Campenhausen, Staat und Kirche in Frankreich, Schwartz, Gòttingen 1962.

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avere una fede religiosa (libertà di fede), a professare o meno tale fede (libertà confessionale), a praticare o meno la religione (libertà di cul­to), e ad aggregarsi a una comunità religiosa (libertà di associazione religiosa) 2. Questo diritto compete al singolo, in quanto uomo e in quanto cittadino, ma anche alle comunità religiose. E quindi un diritto di libertà individuale e corporativo.

La libertà religiosa è un diritto di libertà pieno. La religione viene intesa come concetto secolare, e non è limitata alla religione cristiana e alle sue confessioni. Anche l 'Islam cade all'interno di tale concetto. La libertà religiosa comprende da una parte la libertà di credere, di professare la propria fede e di esercitare pubblicamente la propria reli­gione, dall'altra anche la libertà di non avere alcuna fede o di rinun­ciare alla propria fede, e quindi la libertà di vivere senza fede, confes­sione ed esercizio pubblico della religione. Essa quindi non garantisce la religione, la sua esistenza o conservazione, ma solo la possibilità di tale esistenza e conservazione. Si può aderire liberamente a una reli­gione o confessione, e queste possono essere diffuse altrettanto libera­mente: esse esistono finché ciò accade - e solo finché ciò accade.

2. La libertà religiosa, in quanto diritto fondamentale, appartiene all'ordinamento giuridico dello Stato. Essa è un diritto esterno, che vale sia contro le violazioni da parte di altre persone, sia contro quel­le del potere statale. Essa non riguarda i l rapporto degli uomini con Dio e neppure la posizione del singolo all'interno di una comunità reli­giosa. Anche i l dovere morale di cercare la verità, che l'uomo ha verso Dio, così come quello di attenersi a ciò che la fede gl i fa conoscere come verità, e di comportarsi di conseguenza, non ne viene toccato. Essa impedisce però che altri uomini o i l potere dello Stato cerchino di inculcare queste cose - sulla base di un loro giudizio sulla veri tà 3 . La libertà religiosa, pertanto, non viene tutelata contro la religione e la sua verità, ma anzi proprio a suo favore, affinché questa possa essere ricer­cata e trovata, e nel caso anche abbandonata, in piena libertà.

Ora, è significativo che la libertà religiosa, in questa forma, sia rico­nosciuta anche dalle grandi comunità religiose presenti nella Re-

2 Su ciò è esemplare, e tuttora valido, Gerhard Anschutz, Religionsfreiheit, in G. Anschiitz e R. Thoma (a cura di), Handbuch des deutschen Staatsrechls, voi. 2, Mohr, Tubingen 1932, § 106, pp. 675-689.

3 Cfr. E.-W. Bòckenfòrde, Religionsfreiheit zwischen Kirche und Staat, in «Gewissen und Freiheit», 22 (1984), p. 13 (25), poi in Id., Schriften zu Staat-Gesellschaft-Kirche, voi. 3: Religionsfreiheit. Die Kirche in der modernen Welt, Herder, Freiburg i.B. 1990, pp. 49-50.

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pubblica Federale, in particolare, con convinzione e in termini dottri­nali, dalle due Chiese cristiane. Ma non è sempre stato così. Per entrambe le Chiese cristiane la via verso la tolleranza e la libertà reli­giosa è stata difficile, dolorosa, ricca di testimonianze opprimenti di segno opposto. Le Chiese riformate hanno trovato questa via già da parecchio, mentre la Chiesa cattolica lo ha fatto in maniera definitiva, dopo prolungati e spesso aspri conflitti interni, solo nel 1965, con la Dichiarazione sulla libertà religiosa del Concilio Vaticano II. Si tratta, a mio avviso, di una Dichiarazione rivoluzionaria, di gran lunga la più importante di questo Concilio, e sulla quale, del resto, si è combattuto per più tempo 4. Nel papa che governa attualmente la Chiesa cattolica, Giovanni Paolo II, questa ha un propugnatore deciso della libertà reli­giosa. Prendendo strenuamente posizione a suo favore egli non ha paura di contestare e mettere da parte la tradizionale dottrina cattolica dello Stato, qual era stata formulata, ad esempio, da Leone Xll l . Per contro, l 'Islam non ha una posizione univoca e chiara riguardo al rico­noscimento della libertà religiosa come principio dell'ordinamento statale. A volte essa viene respinta in forza di un richiamo all 'unità di politica, Stato e religione, i l che si accompagna, dove sussistono le condizioni per farlo, alla rivendicazione di uno Stato islamico. Altre volte invece tale libertà viene accettata come dato di fatto, oppure per­sino riconosciuta. Sui problemi che ne derivano ritornerò in seguito.

2. Stato e religione

1. Quali conseguenze ha la libertà religiosa, in quanto principio costituzionale, rispetto alla posizione della religione nello Stato e nella società?

a) Un ordinamento politico che riconosca la libertà religiosa come diritto costituzionale specifico non include più la religione al proprio interno. Esso cioè non sta più in rapporto alla religione come a un suo fondamento necessario, e non cerca più nella religione la sua legitti­mazione. Entro un simile ordinamento ogni religione ha la possibilità

4 Concilio Vaticano I I , Declaratio de liberiate religiosa - Dignitatis humanae, cap. 2. Papa Giovanni Paolo 11 ha proseguito con coerenza lungo questa stessa via: cfr. la sua Enciclica di inse­diamento, la Redemptor hominis, nr. 17, e l'intervento all'ONU del 2 ottobre 1979, in «Osserva­tore romano», edizione tedesca del 5 ottobre 1979, p. 10.

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d i svilupparsi, tanto all'interno quanto all'esterno della convinzione dei suoi seguaci, ma deve rinunciare, rispetto all'ordinamento poli t i­co, a essere considerata necessaria. Essa non rappresenta più un ter­reno comune sul quale Stato e Chiesa poggiano in maniera indubita­bile e al quale possono riferirsi sia quando operano insieme sia quan­do entrano in conflitto. Nella storia è stato così per molto tempo. Ma l'ordine politico, una volta divenuto ordine terreno, secolare, si è dis­taccato da tutto ciò. Esso non si è limitato semplicemente a consenti­re l'esistenza di altre confessioni religiose accanto alla propria, pur continuando a riferirsi a questa - i l che vorrebbe dire una religione di Stato associata alla tolleranza religiosa - , ma si è dichiarato neutrale in linea di principio rispetto alla religione e alle diverse visioni del mondo. Lo Stato diviene così neutrale in materia religiosa e rispetto alle varie visioni del mondo.

La conseguente liberazione della religione dall'ambito delle compe­tenze dello Stato presenta un duplice carattere. Essa significa, in primo luogo, la fine del legame istituzionale-sostanziale tra lo Stato e la reli­gione. Lo Stato non «ha» e non «rappresenta» più alcuna religione come tale. Volendo rifarsi a una celebre formulazione di Karl Marx, la religione non è più lo spirito dello Stato, ma è diventata lo spirito della società civile 5 . Questo da un lato. Ma d'altra parte questa liberazione significa anche che alla religione vien reso possibile attivarsi e operare positivamente nell'ambito della libertà individuale e sociale. Partendo dalla viva convinzione attiva dei cittadini (in quanto membri della loro comunità religiosa), essa è assolutamente in grado di guadagnare una sua importanza sociale e anche politica. In tal modo essa non rinuncia al suo carattere potenzialmente pubblico. D'altra parte, anche quando acquista un simile significato essa continua a non far parte di ciò che è istituzionalmente e materialmente necessario per l'ordinamento politi­co e che viene tutelato attraverso precetti giuridici. Tutto ciò, infatti, non viene più determinato a partire dalla religione o da una certa reli­gione, bensì a partire dagli scopi terreni di una comunità politica seco­lare. Qualcuno forse si meraviglierà. Ma anche in questo caso c 'è un testimone insospettabile. Durante i l suo viaggio pastorale a Cuba, nel gennaio del 1998, Giovanni Paolo i l ha detto che uno Stato moderno

5 Karl Marx, Zur Judenfrage, in Id., Die Fruhschriften, a cura di Siegfried Landshut, Kròner, Stuttgart 1953, p. 183 (tr. it. La questione ebraica e altri scritti giovanili, a cura di U. Cenoni, Editori Riuniti, Roma 1954, pp. 59-60).

La religione nello Stato secolare 111

«non deve ricavare un programma politico né dall'ateismo né dalla reli­gione (!)». Egli ha detto anche che «lo Stato, tenendosi lontano dal fanatismo e dalle forme estreme del secolarismo, deve promuovere un clima sociale sereno e una legislazione adeguata, in modo che sia pos­sibile per ogni persona e per ogni comunità religiosa vivere liberamen­te la propria fede e anche esercitarla nella vita pubblica» 6 .

b) Se la libertà religiosa vale come principio costituzionale, allora lo Stato si limita alle faccende e agli scopi secolari. Gli scopi spiritua­l i e religiosi stanno fuori della cerchia delle sue competenze7. Che cosa significa? I l potere regolativo e decisionale dello Stato, che nella sua ampiezza è potenzialmente competente su tutto, non viene forse meno rispetto ad alcuni ambiti?

In realtà tale potere continua sostanzialmente a esistere, nonostan­te si l imi t i a scopi secolari. Dall 'ambito della competenza dello Stato non viene affato escluso ciò che sta in rapporto alla religione, né ciò su cui si estendono i doveri, fondati sulla religione, che riguardano i l modo d'agire e di condurre la propria vita. Tale limitazione vale solo per ciò che, per così dire, è puramente religioso, cioè per le faccende specificamente «spirituali», come i r i t i , le liturgie, la messa, l'attribu­zione degli uffici ecclesiastici, la predicazione dottrinale. Per quale ragione? Perché la distinzione di «spirituale» e «secolare», d i «reli- 1 gioso» e «politico» non si definisce in base a una differenza di ogget­t i , bensì in base all'orientamento finalistico, agli obiettivi 8 , e solo a partire da questo orientamento arriva a comprendere anche gl i oggetti. Spirituale, o religioso, è tutto ciò che si riferisce alla «salvezza», cioè al fine della vita degli uomini, determinato dalla religione. Secolare o politico è invece tutto ciò che concerne la convivenza esterna e i l benessere degli uomini. C ' è poi un ambito piuttosto vasto di cosiddet­te res mixtae, che presentano allo stesso tempo un aspetto religioso-spirituale e uno secolare-politico. Pensiamo ad esempio al diritto matrimoniale, al riposo domenicale e alle altre festività, alla prestazio­ne e al rifiuto del servizio militare di guerra, ai precetti relativi al digiu­no e al modo di vestirsi. Su queste cose l'ordine politico rivendica una

6 Predica di Giovanni Paolo li all'Avana, 25 gennaio 1998, in «Osservatore romano» edi­zione tedesca, nr. 9 del 27 febbraio 1998, p. 11.

7 Così la formulazione calzante del giuspubblicista liberale Robert von Mohl, Das àtaatsrecht des Kónigreiches Wiirttemberg, voi. 1, Laupp, Tubingen 1829 p 9

E.-W. Bòckenfòrde, Staat, Gesellschaft, Kirche (1982), in Id., Religionsfreiheit. Die Kirche w aer modernen Welt, Herder, Freiburg i.B. 1990, pp. 120-121, 143-144.

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competenza regolativa, perché, e nella misura in cui, queste faccende toccano la vita collettiva esterna, e ciò anche se esse hanno al tempo stesso un significato e una dimensione spirituale-religiosa. Ed esso rivendica, ai f ini della pace pubblica e della sua conservazione, i l dirit­to all 'ultima decisione vincolante su ciò che viene ordinato o vietato giuridicamente.

Ora, ciò significa che i l problema della conciliazione e del ricon­giungimento delle questioni e dei punti di vista politico-secolari e spi­ritual-religiosi in linea di principio permane anche qualora si sia rico­nosciuta la libertà religiosa. E in particolare ciò accade quando una religione non si l imita a venerare Dio nella forma della liturgia e del culto, ma racchiude in sé anche delle massime di comportamento per vivere nel mondo, come ad esempio i dieci comandamenti e numerose sure del Corano. In tal senso resta aperta la domanda fino a che punto la religione nelle sue conseguenze secolari, o meglio la possibilità di condurre la propria vita secondo la religione, possa e, nel caso, debba essere accolta nell'ordinamento statale della convivenza umana. Da un lato vale e deve valere i l fatto che i dirit t i e i doveri c ivi l i e polit ici non sono né condizionati né l imitati dall'esercizio della libertà religiosa, e che la libertà e l'autodeterminazione delle varie comunità religiose ha i l suo limite semplicemente nelle leggi, che valgono per tutti - ed entrambe queste cose sono state formulate dalla Costituzione di Wei­mar e poi recepite nel Grundgesetz della Repubblica Federale9. Dal­l 'altro lato, però, queste leggi che valgono per tutti, e in generale l ' i n ­tero ordinamento giuridico, debbono comprendere in sé i l principio della libertà religiosa, e dare spazio sufficiente, anche nelle faccende secolari, all 'attività religiosa. Da ciò può nascere un campo di coope­razione, ma anche di conflitto, tra lo Stato e la religione.

2. Facciamo un passo oltre. Su questa base come si presenta, in concreto, i l coordinamento delle comunità religiose con gl i ambiti dello Stato e della società?

a) Una prima caratteristica di questo coordinamento è V autonomia e Ubera attività delle comunità religiose. Se la religione dev'essere libera, allora occorre che essa possa essere esercitata, senza ostacoli e regolamentazioni da parte dello Stato, nel modo e secondo le forme organizzative che conseguono al contenuto della religione. E questo a

9 Cfr. WRV [Weimarer Republik-Verfassung, cioè Costituzione della Repubblica di Weimar, N.d.T.], art. 136, comma 1, art. 137, comma 3; recepiti in GG, art. 140.

La religione nello Stato secolare 173

fondare l'autonomia delle comunità religiose. Tale autonomia riguar­da tutto ciò che appartiene all'ambito che le è proprio: la formazione di un'organizzazione, l'istituzione e l'attribuzione delle varie cariche, la formazione dei detentori spirituali di tali cariche, la definizione del culto e delle altre forme della vita religiosa, l'esposizione e interpreta­zione della propria dottrina (cfr. WRV, art. 137, comma 3; GG, art. 140) 1 0 . Pertanto, le comunità religiose non sottostanno ad alcun con­trollo. L'autonomia viene completata - nel senso di un correlato neces­sario - dalla libera attività. L'estensione di questa attività libera si defi­nisce anzitutto tramite gl i ambiti classici dell'esercizio della religione, come la predicazione, i l servizio divino, l'istruzione religiosa, l'assi­stenza resa al prossimo (cura dei malati, assistenza ai poveri). Ciò che va al di là, come nel caso degli ambiti in cui si esercita un'attività moti­vata in senso religioso ma di fatto, o prevalentemente, laica, e nella quale ne va della realizzazione di una condotta religiosa della vita e della traduzione nel mondo di comandamenti e impulsi religiosi, tutto questo è strettamente legato alle possibilità e alle condizioni dell'agi­re sodale-secolare, culturale ecc., che sono regolate dall'ordinamento giuridico dello Stato. All ' interno di tale cornice tali ambiti si prestano alla realizzazione di atteggiamenti e obiettivi religiosi; ma d'altra parte occorre anche che di questi atteggiamenti e obiettivi si tenga conto già nella definizione di quella cornice.

L'autonomia e l 'attività libera delle comunità religiose all'interno della comunità politica, che sono tutelate giuridicamente, non com­portano che l'ordinamento giuridico dello Stato e la vita della società debbano ricevere l 'impronta della religione, o di una religione parti­colare. La misura in cui essi sono modellati o possono essere model­lati in tal senso dipende da un lato dall 'ordrepublic e dalle particola­rità di una data comunità politica, dall'altro da come, e da quanto, l 'or­dinamento giuridico e la vita di questa comunità sono plasmati dalle forze sociali e politiche. L'autonomia e la libera attività danno luogo solo alla possibilità di esercitare un influsso su di essi, di modellarli. Fino a che punto ciò si realizza, dipende dall'impegno delle comunità

1 0 Per un'interpretazione cfr. Konrad Hesse, Das Selbstbestimmungsrecht der Kirchen und Religionsgemeinschaften, in D. Listi e J. Pirson (a cura di), Handbuch des Staatskirchenrechts des Bundesrepublik Deutschlands, nuova edizione, Duncker & Humblot, Berlin 1995, voi. 1, pp. 521-559. Per il periodo di Weimar si veda Gerhard Anschiitz, Die Verfassung des Deutschen Reiches vom 11. August 1919. Ein Kommentar fur Wissenschaft und Praxis, Stilke, Berlin 19331 4, note 4 e 5 all'art. 137.

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religiose e dei loro fedeli, ma anche da condizioni che fanno capo al processo politico.

b) Una seconda caratteristica del coordinamento concreto delle co­munità religiose con lo Stato e la società sta nella separazione bilan­ciata tra Stato e comunità religiose. Storicamente, questa idea della separazione è nata da una contrapposizione polemica nei confronti delle Chiese legate allo Stato, e spesso confuse con esso. Nei fatti, pe­rò, essa serve all'autonomia e indipendenza non dello Stato soltanto, bensì dello Stato e delle comunità religiose.

La separazione in questione non è unilaterale, cioè tale da rendere la religione dipendente dallo Stato, ma bilaterale. Sciogliendo, sul piano organizzativo e istituzionale, i l nodo esistente tra lo Stato e le comuni­tà religiose, essa aiuta l'uno e l'altra a conseguire autonomia e indipen­denza nel loro rapporto reciproco. Dato che si tratta di organizzazioni separate, e non essendo quindi le loro strutture intrecciate o concatena­te tra loro, essi possono dar forma alla propria azione, sulla base del proprio compito, indipendentemente l 'uno dall'altra. Ora, questa sepa­razione si è realizzata nella Repubblica Federale Tedesca, salvo che per alcune eccezioni, rispetto a cui esistono motivi non certo stringenti, ma comunque difendibil i 1 1 . Essa inoltre - in base alla libertà religiosa - è una separazione non radicale, ma bilanciata. Rispetto alle comunità religiose questo bilanciamento consiste nel fatto che mentre da una parte, come si è detto, esse non hanno alcuna partecipazione istituzio­nale né alcun potere decisionale all'interno dello Stato, dall'altra a esse non viene affatto interdetto di agire liberamente, in base alla convin­zione che le anima, nei confronti di questioni secolari legate all'ordina­mento politico e sociale; in forza della libertà religiosa, inoltre, l 'at t ivi­tà religiosa dei credenti non può implicare degli svantaggi giuridici per loro 1 2 . Per lo Stato tale bilanciamento deriva dalla subordinazione delle

1 1 Residui di questo tipo sono le facoltà teologiche nelle università statali (un punto, questo, che è stato relativamente messo al sicuro da WRV, art. 149, comma 3, che però non è stato rece­pito nel Grundgesetz, e in seguito dalle regolamentazioni contenute nel Concordato tra Stato e Chiesa); l'insegnamento della religione come materia obbligatoria nelle scuole pubbliche (GG, art. 7, comma 3); la protezione statale della domenica e delle festività (ecclesiastiche) riconosciu­te dallo Stato (WRV, art. 139; GG, art. 140); la garanzia istituzionale dell'assistenza spirituale nell'esercito, negli ospedali e nelle istituzioni (WRV, art. 141; GG, art. 140); il diritto di riscos­sione fiscale per quelle comunità religiose a cui viene riconosciuto lo statuto di corporazione di diritto pubblico (WRV, art. 137, comma 5; GG, art. 140).

1 2 Cfr. GG, art. 4, comma 1 e 2, e specialmente art. 33, comma 2; inoltre WRV, art. 136, comma 2; GG, art. 140.

La religione nello Stato secolare 175

comunità religiose alle leggi dello Stato (e del resto, la loro libertà fa anch'essa parte di queste leggi), dall'indipendenza dei doveri giuridici dei cittadini rispetto alla loro appartenenza religiosa, e infine dal fatto che lo Stato nega alle comunità religiose i l suo «braccio secolare» se si tratta di realizzare delle esigenze interiori, legate alla fede, rispetto ai membri di quelle stesse comunità.

3. Sintetizzando queste riflessioni, ciò che ne risulta è i l fatto che i l pluralismo religioso in linea di principio è riconosciuto dall'ordina­mento costituzionale. Nel momento in cui esso si costituisce, e solo allora, esso viene anche protetto giuridicamente, indipendentemente dalla questione se eventuali nuove religioni sono «estranee» o fidate. La libertà religiosa significa uguale libertà per tutte le religioni. D'altra parte, le religioni stanno sotto la Costituzione. Esse non sono esentate dal rispetto dell'ordinamento giuridico dello Stato, ma sono sottoposte a tutte le sue leggi. In questo quadro lo Stato «tollera», in effetti, moltissime religioni.

Ora, può accadere che una comunità religiosa, sulla base della sua dottrina o della sua mentalità, non riconosca o addirittura giudichi deleteri determinati principi dell'ordinamento giuridico dello Stato. Prendiamo ad esempio la rigida separazione di religione e politica, che esclude la possibilità di creare uno Stato confessionale, oppure la pari­ficazione dei sessi. Poniamo che la comunità islamica rifiuti o con­danni questi principi - non dico che sia così, ma lo assumo qui come ipotesi: che cosa ne seguirebbe? Al la comunità islamica, o ai suoi membri, non potrebbero essere tolti o negati, a seguito di queste opi­nioni e convinzioni di carattere confessionale, i dirit t i che spettano loro secondo la Costituzione, in particolare la libertà religiosa. L'aspetto decisivo non è che cosa passa nella testa delle persone, ossia la dottri­na o la disposizione d'animo, bensì i l comportamento concreto. Ciò è stato sottolineato esplicitamente, poco tempo fa, dalla Corte costitu­zionale tedesca, rispetto al caso dei Testimoni di Geova 1 3. Se la comu­nità religiosa islamica e i suoi membri si comportano lealmente verso le leggi dello Stato - e c 'è da aspettarselo - , allora una riserva di tipo religioso, e anzi persino un rifiuto di queste stesse leggi, è a loro di­screzione. Del resto, una riserva fondata sulla fede rispetto alla libertà religiosa, in misura diversa, l'hanno avuta anche i cattolici, almeno

1 3 BverfGE 102, 370(394).

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fino al Concilio Vaticano II. Le idee e le mentalità sono giuridicamen­te in franchigia doganale. Nessuna comunità religiosa, per poter pren­dere parte ai diri t t i sanciti della Costituzione, è tenuta a professarsi interiormente per l'ordine di valore proprio della Costituzione stessa. La libertà religiosa vuol dire anche questo.

3. Religione e Stato

Finora abbiamo parlato della posizione della religione secondo l'ordinamento costituzionale della Repubblica Federale Tedesca, e delle possibilità che da ciò si aprono per le comunità religiose. Ora dobbiamo porci la domanda inversa, vale a dire quale significato e fun­zione abbia la religione per una comunità politica secolare, qual è la Repubblica Federale.

E del tutto indifferente se in una comunità politica esistono una o più religioni, oppure una comunità fondata sulla libertà per esistere deve riferirsi alla religione, o a una religione particolare, senza però poter garantire la sua esistenza?

1. Al la base di questa domanda sta un'altra domanda, e cioè: dove trova lo Stato, la comunità politica, i l suo fondamento spirituale e la comunanza che le è necessaria, se a tal fine non può essere presa in considerazione la religione, o una determinata religione, in quanto sprovvista del carattere di obbligatorietà universale? Questa base con­divisa può venire allo Stato in un'altra maniera, per esempio attraver­so l 'eredità politico-culturale, o la cognizione razionale, o i l consenso effettivo? Oppure in quel caso, come disse ad esempio Hegel, essa resta sospesa «nell 'aria», sicché ha bisogno di una cosiddetta religio­ne civile, che vive di costruzioni [Setzungen], ma che comunque avan­za, e deve avanzare, una pretesa di validità?

In epoche precedenti la religione era la forza connettiva più grande dell'ordinamento politico. Essenzialmente dalla religione lo Stato trae­va la sua forza portante e le forze regolative della libertà di cui esso aveva bisogno proprio come Stato fondato sulla libertà. Anche i gran­di pensatori poli t ici , da Machiavelli a Thomas Hobbes fino a Hegel e Alexis de Tocqueville, hanno tenuto fermo i l significato della religio­ne in quanto fondamento unificante dell'ordinamento politico, sebbe­ne talvolta ciò sia avvenuto secondo un intento machiavellico, volto a sminuire la posizione della religione. In seguito, nel corso del proces­

sa religione nello Stato secolare 177

so di secolarizzazione della comunità politica, i l diciannovesimo seco­lo credette di poter trovare un nuovo vincolo spirituale e una nuova forza unificante nel concetto di nazione, e nell ' identità politico-cultu­rale così ottenuta. La nazione venne allora considerata come qualcosa di «santo» in senso secolarizzato, la cui esistenza, i l cui onore e la cui grandezza sembravano meritare e anzi imporre anche i l sacrificio della v i ta 1 4 . I l nazionalismo non di rado divenne, e continua a essere, una religione sostitutiva - e come tale cattiva - , e talvolta si congiunge a una religione. La coscienza nazionale, in sé, è dunque un fenomeno politico. Essa si riferisce a una coscienza e a un sentire collettivi, che guardano alla coappartenenza a un ordinamento politico, alla comune responsabilità politica e alla propria distinzione dagli a l t r i 1 5 . I l pensie­ro della nazione, pertanto, non porta con sé e non forma alcuna idea-guida per le posizioni umane di fondo, per la responsabilità etico-morale e per un ethos del comportamento interumano. Anche nel diciannovesimo secolo la forza formativa dell'idea nazionale si esten­deva primariamente all 'ambito politico e modellava la coscienza di una coappartenenza politica. Del resto essa non contiene alcuna nuova sostanza fondativa rispetto all'individualismo e al pluralismo che sca­turiscono dalla garanzia dei dirit t i umani individuali.

2. Date queste premesse diventa comprensibile lo sforzo fatto per attribuire alla religione alcune funzioni nell'interesse della conserva­zione e della fondazione interna della comunità politica. La sua azio­ne dev'essere quella, per così dire, di un soggetto che fa le veci dello Stato e della società, di un rappresentante o di un mediatore di quel consenso sui valori che lo Stato da sé non è più in grado di creare. Ed essa deve svolgere tale funzione senza che lo Stato abbia bisogno di riconoscere i l contenuto che la religione trasmette come vincolante per i l suo ordinamento. Tale funzione ha successo se riesce a dar luogo a un processo di autocompletamento dello Stato e della società in grado di portare nuovamente a una comunità soddisfatta d i sé, questa volta però su un piano secolarizzato e preservando i l pluralismo 1 6.

e. , M ™ ? ! H o ^ e r ' E ' n w a n d e r u " S und Nationalstaat in Frankreich und Deutschland, in «Der Staat», 28 (1989), pp. 1 ss. (5).

Q—. 1 5 E::™- Bòckenfòrde, Die Nation - Identitàt in Differenz, in «Universitas», 50 (1995), pp 974 ss. (977 ss.). v ' F H

1 6 In tal senso ciò implica il tentativo di realizzare in maniera nuova la «societas perfecta» intesa come comunità che riesce a soddisfare se stessa in quanto comprende in sé tutte le esigenze della convivenza umana. 6

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In questo senso si parla, non di rado, di una funzione integrativa-legittimante della religione rispetto alla comunità politica 1 7 . Tale fun­zione viene riferita alla trasmissione e propagazione del cosiddetto consenso sui valori all'interno della società. Una comunità che sia approdata alla pluralità e all'apertura, in effetti, per poter vivere come tale ha bisogno di un consenso di fondo con funzione integrativa, che contrasti gl i interessi e le tendenze centrifughi prodotti dal pluralismo etico-spirituale e delle visioni del mondo. La religione è quindi una di quelle istanze che trasmettono e mantengono vive concezioni e atteg­giamenti di fondo di tipo etico-morale, anche se - questo punto va tenuto presente - essa non detiene alcun monopolio in questo campo. D i norma ciò avviene in una forma che serve a «integrare» la comuni-

I tà, nel senso che mantiene in vita i legami sociali e gl i atteggiamenti etico-morali di base che già esistono. Ma non è detto che ciò avvenga. La religione può anche avere effetti distruttivi - e forse deve averli: dipende dai suoi contenuti.

Ci si deve chiedere, a ogni modo, fino a che punto la religione e le comunità religiose possono accettare di esser prese in considerazione come soggetti facenti le funzioni della comunità politica. Questa maniera affermativa di rapportarsi allo Stato e alla società, che fa com­piere loro un servizio nei confronti dell'ordinamento politico-secolare, corrisponde al loro incarico, alla loro missione? Oppure esse dovreb­bero sottrarsi a una simile messa a servizio, per amore della propria identità e per preservare la propria peculiarità e la propria missione? A questa domanda ogni religione deve rispondere per sé, a partire dal contenuto della sua fede e della sua missione. Essa non può farsi imporre la risposta dallo Stato o dalla società. Essa ha certo un obbli­go di lealtà nei confronti delle leggi vigenti, alle quali appartiene anche la libertà religiosa, ma non è tenuta a identificarsi con la comunità e con i suoi fondamenti spirituali.

3. Ma oggi un'altra domanda ci appare più attuale. Fino a che punto una comunità politica, uno Stato, può affidarsi alla funzione integrati­va della religione, o di una maggioranza di religioni, in campo etico-spirituale, e poggiare su di essa? Come stanno le cose oggi con la forza effettiva delle religioni?

A tale riguardo mi siano consentite alcune osservazioni e domande:

1 7 Su ciò cfr. E.-W. Bòckenfòrde, Staat, Gesellschaft, Kirche, cit., pp. 168 ss.

La religione nello Stato secolare 179

- Nelle nuove regioni della Repubblica Federale i l numero dei bat­tezzati si attesta intorno al 30% degli adulti, al 15% tra i bambi­ni e i giovani. A d Amburgo i battezzati sono meno del 50% della popolazione. E mi pare che a Brema le cose non siano diverse. Anche in questo caso sul totale incide molto la quota dei bambi­ni e dei giovani. E dunque in atto una regressione della religione - e ciò si può dire anche per le regioni occidentali del Paese?

- Quale relazione esiste tra l'appartenenza formale a una Chiesa (essere battezzati) e i l riconoscimento della religione come forza formatrice dell'esistenza dei singoli? Abbiamo qui una convergenza, oppure si deve ammettere la presenza di una frat­tura tra le due cose? In quale misura presso coloro che (formal­mente) appartengono alla Chiesa si dà un'educazione religiosa? Quale contenuto e quale grado di efficacia possiede l'insegna­mento scolastico della religione? Quale efficacia mostra la co­munità della Chiesa?

- In che misura esistono altre forze cultural-spirituali che svolgo­no una funzione integrativa in senso etico-spirituale e che posso­no trasmettere quelle concezioni etico-sociali comuni che sono in grado di sostenere una comunità statale fondata sulla libertà? Quali forze educative reali esistono, e in che modo (penso non da ultimo ai mezzi audiovisivi) esse producono un effetto?

Credo che la risposta a queste domande non sarà proprio incorag­giante. Ma allora, quali compiti risultano dalla situazione esistente? In conclusione vorrei affrontare un problema che mi pare urgente e importante, e vorrei esporlo partendo dal contenzioso - che nel frat­tempo è stato risolto per via arbitrale - sull'insegnamento del «LER» nel Brandeburgo.

In questa materia d'insegnamento, denominata appunto «LER», erano mescolati tra loro, malamente, tre elementi diversi: nozioni di religione, etica e una forma di insegnamento quasi-religioso. Ciascuno di questi tre elementi, preso per sé, offre una risposta adeguata a un certo problema.

D i nozioni di religione non c ' è bisogno solo nelle nuove regioni del Paese, ma sempre di più anche nelle vecchie. Da un lato, per superare la diffusa ignoranza sulle altre religioni, non da ultimo l'Islam. Questa ignoranza è un fertile terreno di coltura per i pregiudizi, soprattutto per quelli negativi. Dall 'altro lato, affinché la nostra cultura rimanga com­prensibile per la prossima generazione. Pensiamo solo alle grandi ope-

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re della nostra letteratura nazionale. Come si può avvicinare i l Faust di Goethe agli scolari e agli studenti, e come possono questi capirlo, se non c 'è la conoscenza (nel senso delle nozioni) del Cristianesimo e del suo significato di fondamento della nostra cultura? La stessa cosa vale per molte opere di arte figurativa.

Un insegnamento dell'etica, non come materia sostitutiva ma come materia per tutti, è un compito che, di fronte al pluralismo religioso, ideologico ed etico-spirituale caratteristico della nostra società, deriva dalla funzione educativa dello Stato (GG, art. 71) e dalla sua finalità integrativa. Ciò risulta evidente nelle nuove regioni, ma vale anche per quelle vecchie. Con ciò non si toglie affatto spazio all'insegnamento della religione. Questo, infatti, possiede una dimensione assolutamen­te etica e da parte sua trasmette anche dei fondamenti e dei modi di comportamento etici, senza però avere i l monopolio sull'etica. Un insegnamento generale dell'etica di questo tipo, inoltre, non entra in conflitto con la neutralità religioso-ideologica dello Stato. Tale neutra­lità non significa una neutralità o indifferenza rispetto ai valori, nel senso di un'assenza di sostanza etico-spirituale. Un buon insegnamen­to dell'etica ha sì un carattere provocatorio, dato che porta a confron­tarsi, in maniera affermativa o dubitativa, con i principi e le posizioni che v i vengono esposti. Ma non ha carattere confessionale, non pre­scrive alcuna posizione in maniera vincolante. Se si vuole, si può pre­parare i l programma di queste lezioni evitando ogni «confisca» ideo­logica da una parte o dall'altra. A tal fine possiamo disporre di testi classici, che si possono svolgere in successione, partendo da Platone e Aristotele, passando da Cicerone e Tommaso d'Aquino, Martin Lute­ro, g l i umanisti, fino ad arrivare a Kant, Hegel, Mahatma Gandhi e Martin Luther King.

Accanto a ciò, si può e si deve mantenere l'insegnamento della reli­gione legato alla confessione, per coloro che appartengono a una comunità religiosa. I l contenuto di tale insegnamento dev'essere modellato in base ai principi della comunità interessata. Organizzato, dove possibile, come materia ordinaria, esso viene alleggerito dal cari­co etico di cui spesso soffre grazie alla presenza contemporanea di un insegnamento di etica e di uno di religione. Non essendo più l'unico insegnamento tenuto a trasmettere contenuti etici, esso può (nuova­mente) concedere alla diffusione del sapere religioso fondamentale lo spazio che g l i spetta. E questo, mi pare, gl i farebbe bene.

Parte terza

Etica, cristianesimo e democrazia