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Candida Syndikus, Sabine Rogge (eds.) Last Queen of Cyprus and Daughter of Venice Ultima regina di Cipro e figlia di Venezia Caterina Cornaro

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Candida Syndikus,Sabine Rogge (eds.)

Last Queen of Cyprus andDaughter of Venice

Ultima regina di Cipro e figlia di Venezia

Caterina Cornaro

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Caterina Cornaro

Last Queen of Cyprus and Daughter of Venice

Ultima regina di Cipro e figlia di Venezia

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Schriften des Instituts für Interdisziplinäre Zypern-Studien

volume 9

edited by

Institut für Interdisziplinäre Zypern-Studien, Westfälische Wilhelms-Universität Münster

Printed with the support of the Gerda Henkel Stiftung, Düsseldorf

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Candida Syndikus, Sabine Rogge (eds.)

Caterina Cornaro

Last Queen of Cyprus and Daughter of Venice

Ultima regina di Cipro e figlia di Venezia

International Conference, Venice, 16–18 September 2010

Convegno internazionale, Venezia, 16–18 settembre 2010

Waxmann 2013

Münster / New York

München / Berlin

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Indice / Contents

Premessa / Preface

Sabine Rogge, Candida Syndikus ......................................................................... 7

MONICA MOLTENI

Per l’iconografia cinquecentesca di Caterina Cornaro........................................ 11

CANDIDA SYNDIKUS

Tra autenticità storica e invenzione romantica. L’immagine di Caterina

Cornaro nella tradizione artistica e storico-artistica dell’Otto e Novecento....... 33

MARTIN GAIER

Falconetto – Palladio – Contin.

Tentativi di erigere un monumento alla regina nella Repubblica di Venezia.....81

URSULA SCHÄDLER-SAUB

Indagini conoscitive per il restauro del Barco di Caterina Cornaro .................109

LINA BOLZONI

Gli Asolani di Pietro Bembo:

Un ritratto doppio della corte, dell’amore, della poesia....................................133

ROTRAUD VON KULESSA

Gli Asolani di Pietro Bembo:

Pratiche sociali e letterarie alla corte di Caterina Cornaro ...............................147

TOBIAS LEUKER

La Venere di casa Cornelia.

Giovanni d’Arezzo e le sue poesie per Caterina Cornaro.................................161

DARIA PEROCCO

Caterina e i suoi contemporanei. Annotazioni sulla presenza di

Caterina Cornaro tra viaggiatori, storici e poeti................................................187

BENJAMIN ARBEL

A Fresh Look at the Venetian Protectorate of Cyprus (1474–89) ....................213

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GILLES GRIVAUD

Un règne sans fastes – Catherine Cornaro à travers les sources produites

à Chypre ............................................................................................................231

CATHERINE OTTEN-FROUX

Les Vénitiens à Famagouste au temps de la domination génoise

sur la ville ..........................................................................................................255

CHRYSSA MALTEZOU

Le donzelle cipriote di Caterina Cornaro dopo il ritorno della regina

a Venezia...........................................................................................................279

TASSOS PAPACOSTAS

An Exceptional Structure in a Conventional Setting:

Preliminary Observations about the Katholikon of Saint Neophytos

(Paphos, Cyprus) ...............................................................................................293

LORENZO CALVELLI

Un ‘sarcofago imperiale’ per l’ultimo re di Cipro ............................................311

DAVID MICHAEL METCALF

Revalidation of the Currency in Venetian Cyprus.

The Curious Episode of Countermarking .........................................................355

ARNOLD JACOBSHAGEN

Staging the Queen – French grand opéra and five operatic portraits

of Caterina Cornaro...........................................................................................367

ANGEL NICOLAOU-KONNARI

Melodramatic Perceptions of History:

Caterina Cornaro Goes to the Opera .................................................................385

Tavole a colori / Colour plates.......................................................................... 449

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Premessa / Preface

“A dì 10 in Colegio la matina non fu el principe [cioè il doge Leo-nardo Loredan (1501–21)] per esserli disesa certa reuma; et veneno sier Batista Morexini e sier Alvise Malipiero, cugnadi di sier Zorzi Corner, el cavalier procurator, et sier Nicolò Dolfim, l’avogador, tutti con mantelli a notifichar in questa note a hore 4 esser manchata la Serenissima rayna di Cipri, sorela dil prefato sier Zorzi di anni 54, stata amalata zorni 3 [...].” (Marin Sanudo, I Diarii, vol. 10, 1883, col. 744).

Con queste parole prosaiche, ben conosciute e spesso citate, Marin Sanudo regi-stra la scomparsa della regina di Cipro, nei suoi Diarii al giorno 10 di luglio 1510. Sanudo continua che “fo fato sonar a San Marco dopio 6 volte et fo opti-mamente facto” (Ibid.). Seguono le esequie statali di grande pompa:

“A dì 12 […]. Fu tolto il corpo, qual era in chiesia di San Cassan [...] et fu fato uno ponte su burchiele in canal grando, da la becharia che passava a Santa Sofia, e con tutta la chieresia di Veniexia, frati e scuole, e il patriarcha, etc. con gran luminarie, erano torzi portati a man numero … et posto il corpo over cassa in chiesia di Santo Apo-stolo, dove fu fato uno soler grande in mezo di la chiesia.” (Ibid., col. 764).

I brani nei Diarii relativi alla morte della regina forniscono prove della grande importanza, che la Repubblica di Venezia dava agli atti simbolici associati al triste avvenimento.

La commemorazione del V centenario della morte di Caterina Cornaro (1454–1510), regina di Cipro, ha dato la motivazione al convegno internazionale “Cipro e Venezia nell’età di Caterina Cornaro/Cyprus and Venice in the Era of Caterina Cornaro” tenutosi a Venezia dal 16 fino al 18 settembre 2010. È una buona abitudine di riflettere – in occasione della morte di una persona – sulla sua vicenda umana, sulle sue imprese e su quello che ha lasciato ai suoi coeta-nei, ai posteri e infine a noi. Nel caso di Caterina Cornaro, regina di Cipro e signora di Asolo, è in primo luogo il suo ruolo passivo, il suo ruolo come stru-mento della politica che la rende importante: “[…] e per lei si have Cypro”, manifesta in modo asciutto lo stesso Sanudo, e più avanti concretizza: “la Signo-ria nostra si fe’ signora di Cypro” (Ibid., col. 765).

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Eppure, è di più. Le raffigurazioni di Caterina sono numerose e multiformi. Il ruolo politico e culturale di Caterina dimostra notevoli ripercussioni nelle arti visive, nella letteratura e non per ultimo nella musica. È da sottolineare – come ha fatto Peter Humfrey nella sua monografia su Tiziano del 2007 – che a Vene-zia “i ritratti femminili sono molto rari, a causa dell’assenza di una corte e del ruolo minimo riconosciuto alle donne nella vita pubblica”. A questo riguardo, il ritratto della regina dalle mani di Gentile Bellini al Museo delle Belle Arti di Budapest (1500 ca.; tav. 1), che si discuterà fra l’altro in questo volume, è un caso unico, strettamente legato allo status singolare di Caterina. Ne seguiranno numerose rappresentazioni, ritratti e scene. Già durante gli anni passati a Cipro, ma per di più con il suo ritorno in patria nel 1489 si è messo in moto un pro-cesso creativo della mitizzazione della sua persona e tuttora stanno nascendo romanzi e biografie sulla sua vita. Nel corso dei secoli la biografia di Caterina Cornaro ha sviluppato una vita autonoma che va oltre le conoscenze tramandate dalle fonti originali. Ogni età dimostra stimoli particolari per formare un’im-magine specifica della regina, dalla propaganda di stato da parte di Venezia fino alle rappresentazioni spettacolari delle grandi mostre ottocentesche.

Gli atti intendono fornire un’immagine più chiara e netta sia di questa Cate-rina Cornaro, regina in una repubblica, sia delle ragioni della sua importanza storica e culturale. All’inizio della nostra impresa ci chiedevamo se ci fossero reali possibilità di accrescere le conoscenze su una donna che sembrava aver lasciato alla posterità un’eredità propria piuttosto scarna. Fu difatti una sorpresa vedere quanto era ricco e vario il materiale inedito che gli scavi nei musei, colle-zioni private, archivi e biblioteche riportavano alla luce, e siamo liete di poter presentare una parte di queste ricerche nel nostro volume.

Da quando si è cominciato a tracciare le prime bozze del presente progetto, lo scopo era di non limitarsi al ruolo storico della regina Cornaro, ma di aprire, con un approccio multidisciplinare, l’orizzonte a quello che le fu attorno. La finalità del convegno era quindi puntare anche su Caterina Cornaro come fonte d’ispirazione dei poeti nonché come schermo di proiezione per l’arte, la lettera-tura e la musica nell’ambito di una ricerca sui molteplici legami storico-culturali tra l’isola di Cipro e Venezia nel Quattro e Cinquecento fino alla conquista otto-mana nel 1571. Seguendo questo percorso si può affermare senza alcun dubbio che Caterina fu una figura chiave di questi legami.

La tela del Miracolo della croce presso il ponte di San Lorenzo, eseguita da Gentile Bellini per la Scuola Grande di San Giovanni Evangelista (Venezia, Gallerie dell’Accademia) e rappresentata in un dettaglio sulla copertina di que-sto volume, si riassume perciò come programma. In diversi strati di realtà il dipinto rappresenta in primis le vecchie relazioni politiche tra la Repubblica di San Marco e l’isola. Oltre a ciò, il particolare raffigura una situazione degli anni intorno al 1500, che fu immaginabile per quel che riguarda i protagonisti: la regina in mezzo alla sua ‘corte’ di Venezia, circondata da damigelle ed espo-

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nenti della vita politica e culturale, come Pietro Bembo, autore degli Asolani e della Historia Vinitiana.

Il nostro percorso inizia con un panorama di cultura artistica e letteraria nel suo ambito veneziano: prima la ritrattistica e dopo la tomba, tema importante nell’anno di commemorazione dell’anniversario della sua morte. Segue il Barco

della Regina, la dimora estiva di Caterina vicino ad Altivole in provincia di Tre-viso e mitica corte delle muse. Per dare rilievo al valore di questo edificio, un valore tanto storico quanto storico-artistico, avevamo allestito una piccola mostra di materiale fotografico al portego di Palazzo Barbarigo della Terrazza. Si vedeva un monumento mezzo restaurato, poi abbandonato e di nuovo degra-dato a piccionaia e le sue decorazioni, ancora ben rintracciabili alla metà del Novecento, oggi ridotte a ombre appena percepibili. Era uno degli obiettivi del nostro convegno di mostrare la grande urgenza di un restauro imminente e di ricordare la necessità di trovare al più presto possibile un uso adatto per questo fabbricato, senza di cui sia la struttura architettonica, sia la sua decorazione saranno avviati inevitabilmente al decadimento.

Nella seconda parte saranno discussi, da diversi punti di vista, temi relativi alla storia di Venezia e Cipro nel Quattro e Cinquecento. Saranno presentate nuove scoperte raccolte dagli archivi di Venezia, Genova e Cipro. I contributi della sezione successiva studiano dei testi vari su Caterina Cornaro e il suo cir-colo. Quando si parla di letteratura nella sfera della regina di Cipro, si pensa in primo luogo agli Asolani di Pietro Bembo (prima edizione Venezia: Aldo Manu-zio 1505) come argomento principale della ricerca. Due articoli si dedicano a questo dialogo sull’amore. Oltre a ciò verranno presentati notevoli esempi ine-diti della poesia panegirica del tempo. La quarta parte è dedicata alla storia dell’arte e dell’architettura come pure alla numismatica di Cipro durante la dominazione veneziana. Il panorama si conclude con due contributi sulle opere liriche dell’Ottocento che hanno come oggetto di rappresentazione i fatti biogra-fici di Caterina Cornaro.

La preparazione di un convegno e la pubblicazione degli atti sono complesse imprese collaborative. Abbiamo perciò deciso di unire le forze e le risorse delle nostre due istituzioni, l’Istituto di Cipro (Institut für Interdisziplinäre Zypern-

Studien) e l’Istituto di Storia dell’Arte (Institut für Kunstgeschichte), tutte e due strutture dell’Università di Münster. Preziosa è stata la collaborazione con le diverse istituzioni di Venezia, in primo luogo con il Centro Tedesco di Studi

Veneziani, che ci ha permesso di costruire la nostra base logistica nella sua sede a Palazzo Barbarigo della Terrazza, con l’Istituto Ellenico di Studi Bizantini e

Postbizantini e con le Gallerie dell’Accademia, di cui siamo stati ospiti durante il convegno. Ringraziamo la presidenza del Centro Tedesco, in particolare Klaus Bergdolt (Università di Colonia), già presidente dell’associazione del Centro, la direttrice Sabine Meine e il suo predecessore Uwe Israel (Università di Dresda),

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per il loro interesse e la loro disponibilità di ospitarci nel loro bel palazzo. Un grazie particolare va a Salvatore Settis di aver tenuto la conferenza serale sul tema “La Pala di Castelfranco di Giorgione. Tra Sicilia, Cipro e Venezia” (il suo testo è uscito in un’altra pubblicazione). Ringraziamo inoltre Chryssa Maltezou, già direttrice dell’Istituto Ellenico, e Matteo Ceriana, direttore delle Gallerie

dell’Accademia, per la loro generosità di collaborare con noi e di offrirci l’ospitalità nelle loro istituzioni. Rivolgiamo inoltre un cordiale ringraziamento a Despina Vlassi, Petra Schäfer, Michaela Behringer e a tutti gli altri collabora-tori per il loro prezioso aiuto. Siamo grate, infine, a Giorgio Cogo e a Thorsten Kruse per l’attenta revisione dei testi.

L’organizzazione del convegno e la realizzazione di questi atti sono rese pos-sibili grazie al generoso sussidio finanziario dalla Fondazione Gerda Henkel, Düsseldorf. Ringraziamo anche il Ministero della Pubblica Istruzione (Ministry

of Education and Culture) della Repubblica di Cipro per il suo sostegno finan-ziario.

Sabine Rogge, Candida Syndikus

Münster, estate 2013

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Monica Molteni

Per l’iconografia cinquecentesca di Caterina Cornaro

Il 10 luglio del 1510 moriva a Venezia Caterina Cornaro.1 L’evento è registrato con puntualità da Marin Sanudo nei suoi Diarii,2 che così rievoca il trasporto notturno del corpo della regina dal palazzo avito alla chiesa di San Cassiano:

“[…] in questa note a hore zercha 4 fo un tempo teribelissimo di vento, pioza e tempesta grossa grossa come uno ovo et fuogi in aere, cossa molto spaventevole et durò pocho, e pocho avanti la raina di Cypri vestita di l’habito di San Francesco in una cassa con do preti, la Croze et do dopieri, fo portada a sepelir in uno deposito a Santo Apostolo, et poi doman si farà le exequie comme è stà ordinato.”3

L’umiltà della veste che copriva le spoglie mortali di Caterina, l’esiguità del seguito e la segretezza stessa dell’evento, suggestivamente accentuata dallo sce-nario tempestoso che aveva introdotto il piccolo corteo, ovviamente confliggono con le aspettative di pompa connesse a delle esequie reali. E in effetti la modesta cerimonia, che si era svolta in notturna anche per prevenire l’eventualità di sgradevoli conseguenze indotte dalle torride temperature di quell’estate lagu-nare, non era che un preliminare ai fastosi funerali con i quali la Repubblica, che ben conosceva i suoi doveri formali, la mattina del 12 provvederà a commemo-rare la “serenissima regina de Cypri” accompagnandone il feretro nella cappella familiare ai Santi Apostoli.4

Ancora una volta siamo debitori al Sanudo per la cronaca della cerimonia, che aveva preso le mosse da Palazzo Ducale, dove, nella Sala del Gran Consi-glio, si erano riunite alcune delle più alte cariche civili e religiose della Repub-

1 Per il profilo biografico di Caterina si vedano essenzialmente Colasanti 1979, 335–342;

Caterina Cornaro 1989. Per una puntualizzazione in particolare delle vicende cipriote della stessa cfr. Hill 1948/72, 634–764; Arbel 1993, 67–85; Caterina Cornaro 1995.

2 Sanudo 1883, col. 744. La notizia del decesso di Caterina, “morta da doja di stomacho”dopo tre giorni di malattia, venne data in Collegio la mattina del 10, dopodiché “per honor di la terra e per il merito di la regina e soa fameglia […] fo fato sonar a San Marco dopio 6 volte”.

3 Sanudo 1883, col. 754. 4 Per la cappella dei Cornaro ai Santi Apostoli oltre allo storico studio di Orlandini 1914,

andranno considerati i più recenti contributi di Romanelli 1993; Ceriana 1996, 105–192;Salvadori Rizzi 2004, 118–121.

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Monica Molteni

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blica, vari gentiluomini e, ovviamente, una rappresentanza della famiglia Cor-naro, primo fra tutti Giorgio, procuratore della Serenissima e fratello della defunta, con i figli ed altri parenti. Il corteo si era dapprima recato a San Cassia-no, dove il patriarca aveva officiato una messa solenne accompagnata da molti canti e dalla dispensa di numerose assoluzioni, e quindi, prelevata la bara coperta “di restagno d’oro con una corona di quelle di le zoje di San Marcho di sopra in segno è raina”, si era avviato per le calli veneziane. La processione aveva attraversato la città passando sopra un ponte di barche appositamente costruito sul Canal Grande all’altezza di Santa Sofia scorrendo fra due ali di folla, con al seguito tutta “la chieresia di Venexia, frati e scuole, e il patriarca […] con gran luminarie e torzi portati a man”. Una volta raggiunti i Santi Apo-stoli la cassa era poi stata posta su un catafalco in mezzo alla navata, e lì, alla presenza della Signoria, Andrea Navagero aveva recitato l’orazione funebre.5

Le onoranze di Caterina, che in vita aveva dato più di un segnale di attacca-mento alle prerogative della regalità, si erano dunque svolte secondo tutti i crismi di un funerale di Stato, sebbene la pompa della cerimonia fosse infine risultata diminuita dalla diserzione di vari notabili, primo fra tutti lo stesso doge Loredan, indisposto e dunque sostituito dal suo vice, Alvise Priuli in abito scar-latto.6 Il debito contratto dalla Repubblica con la nobildonna all’atto della ces-sione da parte della Cornaro del regno di Cipro era d’altronde stato conguagliato da tempo e assai congruamente, e l’evento, dopo un buon ventennio, aveva inevitabilmente finito per svuotarsi di quell’attualità che viceversa avrebbe potuto sollecitare un più corale cordoglio.

Con ciò, non era tuttavia andato perduto il senso della flagranza politica di tale episodio, cui verrà anzi attribuito un valore cardinale entro l’elaborato pro-cesso collettivo di costruzione del mito di Venezia, sicché buona parte dell’iconografia rinascimentale della Cornaro andrà modellandosi proprio sulla memoria della donazione del dominio cipriota, a servizio congiunto della proso-popea statale e dinastica.

Queste memorie figurative, come è ovvio che fosse, proponevano una versio-ne dei fatti ufficiale, omologata come tale dalla Serenissima,7 che opportuna-mente lasciava in ombra i molti risvolti drammatici che avevano accompagnato la parabola di governo di Caterina, e che, altrettanto opportunamente, sorvolava sull’attitudine non proprio spontanea della Cornaro all’abdicazione. La sua rinuncia a Cipro era infatti stata, nella sostanza, il risultato di una campagna di

5 Sanudo 1883, col. 764. La successiva collocazione delle spoglie mortali della regina in un

“deposito” sulla parete della cappella familiare fa riferimento al carattere del tutto temporaneo annesso ab origine a simili collocazioni. Per la questione in generale si veda Gaier 2002a, 56–67; per il caso specifico dei Cornaro e per tutte le relative complicazioni Gaier 2002b.

6 Sanudo 1883, col. 764.

7 Al proposito si rimanda alle osservazioni di Perocco 1993 sulla stretta vigilanza esercitata dalla Serenissima sul forgiarsi della mitografia repubblicana.

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pressioni e intimidazioni messa in atto dai Dieci a partire dal 1487, anno in cui il Senato aveva votato una delibera che proclamava l’annessione del territorio ai propri domini al fine di tutelarne il possesso di contro alle ambizioni aragonesi che si profilavano minacciose dietro a una congiura appena sventata. In tale pro-spettiva, l’abdicazione di Caterina si configurò evidentemente come un atto obbligato, compiuto con molta riluttanza da una “donna abituata a vivere regal-mente, e in regali onori avvezza […] la quale sapea troppo bene quanto stret-tamente e parcamente e anco quanto indifferentemente sotto la Repubblica si vivea”.8 Ma infine reso indispensabile dalla ragion di stato quanto dalla necessità di salvaguardare le convenienze personali e dinastiche.9 E che, d’altronde, andava tutto sommato semplicemente a sanzionare una situazione di governo di fatto del Senato lagunare in vigore pressoché dal debutto al potere della Cornaro, che si era trovata non ancora ventenne a dover reggere da sola le sorti di un territorio – Cipro – che la ricchezza di materie prime e la posizione militarmente e commercialmente strategica al centro del mediterraneo orientale rendevano oggetto di incessanti ed aggressivi appetiti politici e diplomatici. L’epilogo della parabola cipriota di Caterina era dunque inscritto nella tormentata vicenda di potere di cui ella era stata suo malgrado attrice, a partire dalle nozze fatali con Giacomo II Lusignano, concluse dalla famiglia per procura, ma con l’avvallo di una dote mirabolante,10 a Venezia il 30 luglio del 1468, quando la sposa, che era nata nel 1454, era appena quattordicenne; e poi fastosamente celebrate nel 1472, quando la giovane venne infine condotta a Famagosta ad incontrare il marito.

Il connubio soddisfaceva contemporaneamente gli interessi di più parti. Innanzitutto quelli della famiglia della sposa, i ricchissimi e potentissimi Cor-naro di San Cassiano, che nell’isola detenevano vaste proprietà indirizzate alla produzione e commercio di canna da zucchero, cotone, lino, canapa e grano, e per i quali il matrimonio era ovviamente un efficace ausilio al consolidamento delle proprie posizioni economiche, ma soprattutto un’opportunità irrinunciabile di acquisizione di una posizione di altissimo privilegio sociale, cui sarebbe con-seguito l’accaparramento di un ruolo politicamente dominante nel consesso dell’aristocrazia lagunare.

D’altronde la presenza di una Cornaro a Cipro non disdiceva affatto nem-meno alla Repubblica, che rafforzava così, con enorme vantaggio strategico, la propria presenza nel Mediterraneo orientale, peraltro non esponendosi diretta-mente, ma, più sottilmente, insinuando la propria longa manus attraverso la figura schermo di Caterina, non a caso immediatamente insignita, con manovra

8 Bembo 1552, 54. 9 Sulle argomentazioni presupposte all’abdicazione e sul ruolo cruciale rivestito dal fratello

Giorgio si vedano le diverse versioni di Bembo e Navagero in Perocco 1993, 160–161, nonché le osservazioni di Bolzoni 2010, 29–30.

10 Al proposito Bembo (1552, 53) parla di una “dote in contanti di mille libbre d’oro”, men-tre Sanudo (Sanudo 1883, col. 744) alludeva a 100.000 ducati.

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del tutto eccezionale, trattandosi di una donna, dell’appellativo di “Figlia adotti-va della Repubblica”. Ed infine le nozze erano un’opportunità di irrobustimento anche per il Lusingano, la cui sovranità, continuamente messa in forse da pres-sioni di vario genere, avrebbe beneficiato della protezione della Serenissima, il cui profilo, solido e minaccioso, si stagliava dietro alla più fragile sagoma della sua sposa fanciulla.

È noto che dei rischi impliciti nel mantenimento di un così complesso domi-nio, complici le avversità del fato, Caterina fece le spese immediatamente. L’anno dopo le nozze Giacomo II infatti morì improvvisamente, lasciando la vedova incinta dell’erede al trono Giacomo III: trono che infine passò di diritto alla Cornaro, insieme a tutte le facoltà dei Lusignano, nel 1474, a causa nuova-mente di un fatto tragico, ovvero la prematura morte del figlioletto. La sangui-nosa congiura deflagrata pressoché all’indomani di tale passaggio di consegne, immediatamente repressa grazie all’intervento armato di Venezia, rese evidente l’incertezza e perigliosità della posizione di Caterina, il cui esercizio di potere nei quindici anni successivi fu in effetti sostanzialmente un atto di facciata, costantemente tutelato e pilotato dal protettorato politico e militare della Sere-nissima. La quale infine, nel 1488, imponendo alla Cornaro l’abdicazione, giun-gerà a sostituirsi d’imperio a colei che con oculata preveggenza aveva nominato “Figlia adottiva”, facendo riposare nel lusinghiero appellativo le premesse che ne legittimavano il rovesciamento.

Il valore politicamente cruciale di tale avvicendamento, che il governo vene-ziano nel tempo avrà tutta la cura di presentare con la consueta finesse diploma-tica come un atto di dedizione spontaneo, si pone inevitabilmente alla base della successiva fortuna iconografica della figura di Caterina, che nel corso del Cin-quecento acquisterà una crescente visibilità in virtù sia dei vari cicli incentrati sulla sua vicenda, sia del proliferare di una tradizione ritrattistica diramatasi a partire da alcuni prototipi eccellenti. Il ricco patrimonio d’immagini conse-guentemente prodottosi, pur depauperato di numerosi titoli viceversa segnalati dalle fonti, appare assai eloquente nel testificare congiuntamente da un lato il forgiarsi in chiave repubblicana del suo mito, e, d’altro canto, la decisa volontà dei Cornaro di utilizzare l’icona della loro congiunta a suffragio della prosopo-pea dinastica. Circostanza, quest’ultima, che, come vedremo, si attuerà attra-verso un’ampia e mirata attività di committenza, andando per altro a saldarsi, nella storia della famiglia, ad altre operazioni di segno analogo, contribuendo a sostanziare di più flagrante maestà una presunzione di eccellenza aristocratica nel tempo giocata anche sul motivo ulteriormente nobilitante della discendenza dalla gens Cornelia.11 Tema, quest’ultimo, già aleggiante nel ritratto di Caterina di Budapest (tav. 1)12 e più distesamente svolto nella tela di Mantegna con 11 Sul valore attribuito dai Cornaro a tale discendenza ideale si vedano in particolare le

osservazioni di Romanelli 1993, 88–92 e Barcham 2007. 12 Per un’analisi del dipinto si rimanda a Meyer zur Capellen 1985, 126–127. La tabella

dedicatoria recita: “CORNELIA GENVS NOMEN FERO/VIRGINIS QUAM SYNA SEPELIT/VENETVS

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l’Introduzione del culto di Cibele a Roma e nel pendant dipinto da Giovanni Bellini con la Continenza di Scipione, commissionati all’inizio del Cinquecento da Marco Cornaro, primo cardinale della famiglia, per lo studiolo del fratello Francesco.13 Ma che nel tempo verrà dispiegato in termini più magniloquenti negli arazzi giulieschi con le Storie di Scipione14 e, in ambito veneto, negli affreschi del Capitaniato di Padova, ove Domenico Campagnola e i suoi aiuti dipingeranno dietro commissione di Girolamo Cornaro, figlio di Giorgio e nipote di Caterina, un ciclo tutto incentrato sull’esaltazione delle qualità politi-che, militari, civili e morali degli Scipioni.15

Ma torniamo alla questione della messa in scena dell’epopea di Caterina. Va subito detto che a fronte di quanto segnalato dalle fonti, la concreta ricostru-zione della relativa produzione figurativa risulta piuttosto frammentaria, in buona misura anche a causa della dispersione delle quadrerie familiari dei diver-si rami dei Cornaro, che gli inventari ci raccontano viceversa dotate di dipinti che in vari termini – realistici o celebrativi, allegorici o di ricostruzione storica – avevano per soggetto la regina,16 peraltro alludendo a una longevità di questo tema celebrativo che nel tempo i discendenti provvederanno a rinnovare, fino all’episodio eclatante della decorazione dell’intero piano nobile del palazzo di San Cassiano per volontà dell’ultimo Cornaro, Caterino, con un ciclo di storie della regina affrescato sul cadere del Settecento.17

FILIAM ME VOCAT SE/NATVS CYPRVS Q[VE] SERVIT NOVEM/REGNOR[UM] SEDES QUANTA SIM/VIDES SED BELLINI MANVS/GENTILIS MAIOR QUAE ME TAM/BREVI EXPRESSIT TABELLA”, ovvero “Essendo dalla stirpe Cornelia, porto il nome della Vergine che il Sinai accoglie in sepoltura, il Senato Veneto mi chiama figlia e Cipro, sede dei nove regni, è al mio servizio. Quanto io sia grande tu lo vedi, ma più grande è la mano di Gentile Bellini che mi ha ritratta in una tavola tanto piccola”.

13 Al proposito andrà ricordato che le due tele avrebbero dovuto essere parte di un ciclo di quattro dipinti con storie romane mai portato a termine: Knox 1978, 79–84. Per il quadro di Mantegna, di cui sono state proposte varie letture, tutte in ogni caso riconducibili a una volontà di esaltazione dei Cornelii, si vedano essenzialmente Davies 1961, 330–334, n. 902; Lightbown 1986, 214–218; Keith Christiansen, in: Andrea Mantegna 1992, 411–415; Romanelli 1993, 88–92; Lauber 2006, 99–127; Panizon 2007, 57–64. Per il dipinto di Bellini si rimanda sinteticamente alla scheda di Giovanni Carlo Federico Villa in Giovanni Bellini 2008, 302–303, con esaustiva bibliografia precedente.

14 Jules Romain 1978 e, più recentemente, Tonino 2007. Per il loro richiedente, ovvero il cardinale Francesco Cornaro, e per la sua fitta attività di committenza si rimanda a Hoch-mann 1992.

15 Sul ciclo padovano, databile attorno al 1540, e le sue implicazioni iconografiche si vedano Bodon 2003 e Bodon 2009.

16 Romanelli 1995, 46; Hochmann 2001. 17 I primi segnali documentati di una volontà della famiglia di congiungere la memoria della

defunta regina al sontuoso palazzo risalgono ancora al 1633, quando, dettando il proprio testamento, Girolamo Cornaro destinava 8000 ducati all’edificazione della “facciata della casa medesima”, nella consapevolezza che il procedere della fabbrica aveva “bisogno di qualche aiuto, per sicurezza, et ornamento, anco per la memoria della Regina che l’abitava”: Olivato 1973, 28–29. La decorazione a fresco di vari locali del palazzo venne invece avviata sul cadere del secolo successivo e vedrà all’opera vari artisti, fra cui

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Ad ogni modo, tale lacunosità, non è certo tale da impedire un percorso di ricostruzione e interpretazione della relativa tradizione figurativa, che seppur verosimilmente sbilanciata in senso quantitativo a favore della commemora-zione dei fatti immediatamente successivi all’ordine di recessione del Consiglio dei Dieci, con un’evidente predilezione per la memorizzazione degli accadi-menti di ambientazione lagunare perché di più denso significato politico e dina-stico, naturalmente non poteva non incorporare gli antefatti ciprioti: che tuttavia, va detto, per il loro implicito potenziale romanzesco, riceveranno più ampia trattazione nell’elaborazione ottocentesca del mito di Caterina.

In quest’ordine, è senz’altro significativo notare che una precoce comparsa della regina si deve allo scalpello dei Lombardo che, sul cadere dell’ottavo decennio del Quattrocento, nel rilievo incastonato sul sarcofago di Pietro Moce-nigo, giusto al centro del monumento ai Santi Giovanni e Paolo, rappresentano La consegna delle chiavi di Famagosta a Caterina Cornaro (fig. 1). L’episodio, insieme alla Conquista di Scutari messa in scena sulla lastra gemella di sinistra, alludeva a uno dei due momenti essenziali della vittoriosa campagna contro i

Fig. 1: Pietro, Tullio e Antonio Lombardo, Pietro Mocenigo consegna a Caterina Cornaro le chiavi di Famagosta, Monumento funerario

di Pietro Mocenigo, 1477–81; Venezia, Santi Giovanni e Paolo.

Costantino Cedini e il quadraturista Domenico Fossati (Olivato 1973, 37–38), nonché Giovanni Scajaro (Pavanello 1972, 242–243, 268–271; Pavanello 1978).

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Turchi capitanata dal veneziano, e individuava dunque una sua precisa ragion d’essere nelle aspirazioni autocelebrative del committente.18 Ma al tempo stesso segnalava indiscutibilmente l’oramai avvenuto riconoscimento da parte dell’ immaginario politico collettivo del ruolo svolto entro l’epos lagunare dalla nobildonna, che dunque dismetterà presto i panni di comprimaria per indossare viceversa le più prestigiose – e non di rado mitizzate – vesti di protagonista.

Un efficace documento di questo passaggio, ancora vincolato alla narrazione dei fatti isolani, è costituito da una coppia di tele di ambito tintorettesco della collezione Giustiniani.19 Nella prima, assegnata ad Andrea Vicentino, è raffigu-rato l’atto cruciale della cessione del regno di Cipro in cambio di Asolo (fig. 2), ovvero lo stesso tema che secondo Sansovino era stato trattato in un quadro di Palma il Vecchio realizzato per i Cornaro di San Maurizio.20 Caterina, vestita di nero come indicavano le fonti, è ritratta nell’atto di consegnare le chiavi a Fran-cesco Priuli, capitano generale della flotta della Repubblica, cui era stato affi-dato il compito di riportare in laguna la regina, al cui fianco compare il fratello Giorgio, che nella vicenda, come noto, aveva giocato un ruolo centrale, convin-cendo la sorella a rinunciare al governo formale dell’isola. Nella seconda tela, collegata al nome di Domenico Tintoretto, Caterina compare poi mentre sta per lasciare Famagosta imbarcandosi, il 18 marzo del 1489, sulla galea del Priuli al braccio ancora del fratello Giorgio e alla testa di un nutrito e fastoso corteo di ancelle e dignitari (fig. 3), che proietta l’episodio dell’imbarco in una dimen-sione epico-leggendaria21 non di rado ravvisabile nelle illustrazioni che la riguardano.

A questi pochi documenti di ambientazione cipriota, se ne accostano poi numerosi altri che viceversa hanno per sfondo Venezia, dove Caterina sbarcò il 5 giugno di quello stesso 1489. L’accoglienza tributatale dalla Repubblica nella rutilante cornice del bacino di San Marco gremito di imbarcazioni paludate a festa fu sontuosissima, e come tale ottenne di essere memorizzata nella grande tela licenziata dall’Aliense per la Sala dei Banchetti di Palazzo Ducale (tav. 2,1),22 nonché in un dipinto di ubicazione presumibilmente non istituzionale, ma tuttavia certo destinato a suscitare non poca sensazione quale il grande telero del Museo di Lione (fig. 4), in cui convivono memorie tizianesche (l’icona nero-

18 Per una lettura politica e dinastica del monumento si veda il recente contributo di McHam

2007, 81–98; per il discernimento delle componenti stilistiche: Sarchi 2008, 52–56. 19 I due teleri sono stati pubblicati da Rossi 1973. 20 Sansovino 1663, 375.21 Come ipotizzato da Rossi 1973, 261, è del tutto plausibile che la tela in questione sia

identificabile con “la parte di fregio d’una stanza” ove era rappresentata “la Regina Cate-rina Cornara partirsi dall’isola di Cipro […] mentre ella monta in galea a mano col fra-tello” (Ridolfi 1648/1914–24, vol. 2, 55), inoltre segnalata presso Nicolò Cornaro da San-sovino 1663, 375.

22 Il dipinto in questione è attualmente conservato al Museo Correr, dove giunse nel 1851: Makrykostas 2008, 46–47 e 93–101.

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Fig. 2: Andrea Vicentino, Caterina Cornaro cede il regno di Cipro in cambio di Asolo, fine XVI sec.; Venezia, collezione privata.

Fig. 3: Domenico Tintoretto, Caterina Cornaro lascia Cipro, fine XVI sec.; Venezia, collezione privata.

Fig. 4: Pittore veneziano, Caterina Cornaro sbarca a Venezia, XVII sec.; Lione, Musée des Beaux-Arts.

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vestita di Caterina) e suggestioni veronesiane.23 Una volta sbarcato in piazzetta, il fastoso corteo si avviò in processione a San Marco, accompagnato dal suono di tutte le campane della città. In basilica venne poi celebrato un solenne ponti-ficale e sempre qui la donna, deponendo la corona di Cipro nelle mani del doge, svolse infine il rito finale di rinuncia, al quale seguirono tre giorni di banchetti e festeggiamenti nel corso dei quali sontuose onorificenze vennero distribuite anche al fratello Giorgio; ma soprattutto a Caterina, che a risarcimento del per-duto dominio, venne insignita della Signoria di Asolo con il permesso di mante-nere il titolo e le insegne di “Reina de Jerusalem Cipri et Armeniae”.24

Naturalmente non stupisce che proprio tale epilogo, sulla cui rilevanza poli-tica non occorre certo tornare ad insistere, venisse memorizzato da numerosi dipinti, alcuni molto noti, come la tela degli heredes Pauli su cui si tornerà fra poco, altri di più sfuggente fortuna, come il quadro berlinese di Palma il Gio-vane (tav. 2,2),25 che peraltro mette a fuoco un modulo iconografico verticale che troverà seguito, seppur da un punto di vista narrativo rovesciato, nella tela di Vincenzo Guarana a Palazzo Barbarigo (tav. 5). Così come, nella medesima ottica, non sorprende che l’episodio trovasse spazio anche in una delle sedi isti-tuzionali più prestigiose della Serenissima, ovvero la Sala del Maggior Consi-glio in Palazzo Ducale, il cui apparato pittorico, rinnovato all’indomani dell’ incendio del 1577, prevedeva che il soffitto della grande aula fosse decorato con riquadri raffiguranti “diverse imprese de la Repubblica, et diversi esempi d’homini singolari di essa”, a comporre un’edificante galleria alla quale Cate-rina – unica donna – si era garantita l’accesso attraverso il sacrificio della corona (fig. 5).26

D’altronde, al termine di un laborioso iter progettuale, il medesimo soggetto aveva finito per campeggiare, in una versione sobriamente e solennemente clas-sicheggiante, anche nel mezzo di una delle imprese di committenza più signifi-cative dei Cornaro, ovvero il cenotafio familiare nella chiesa di San Salvatore.27

La rilevanza di quest’ultimo progetto e l’importanza dell’investimento ad esso presupposto la dicono lunga sulla centralità nel frattempo assunta dal sacrificio politico di Caterina anche dal punto di vista della ricezione dinastica della sua vicenda, i cui risvolti controversi e drammatici erano stati a questo punto del

23 Il grande dipinto (340 x 740 cm) entrò in effetti nel museo francese nel 1846 con

un’attribuzione a Carlo Caliari (Catalogue sommaire 1993, n. 172) poi corretta da Fede-rico Zeri in una più generica assegnazione a un anonimo maestro veneziano del XVII secolo: per la scheda dell’opera cfr. Fototeca Zeri, b. 0563, fasc. 5, n. 36519.

24 Sulla cessione di Asolo a Caterina si veda Bulian 2001, 31–49. 25 Schleier 1999. 26 Wolters 1987, 69, 260, 307. L’esecuzione del riquadro a chiaroscuro con Caterina Cor-

naro che cede la corona di Cipro era stata affidata al palmesco Leonardo Corona, un pro-filo del quale è tracciato nel recente contributo di Sapienza 2006.

27 La complessa vicenda presupposta alla messa in opera del mausoleo è stata approfondita-mente esaminata insieme ai portati iconografici e celebrativi sottesi all’impresa da Gaier2002b, il quale ha poi ripreso l’argomento nel saggio presentato in questo stesso volume.

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tutto obliterati a favore della più proficua ed esaltante celebrazione dei benefici impulsi prodotti dalla sua abdicazione sulle sorti magnifiche e progressive della Serenissima, nonché, implicitamente, sulle fortuna e collocazione sociale della famiglia.

Fig. 5: Leonardo Corona, Caterina Corner consegna la corona di Cipro al doge Agostino Barbarigo, 1585 ca.; Venezia, Palazzo Ducale,

Sala del Maggior Consiglio.

Nella seconda metà del Cinquecento la Cornaro aveva finito insomma per aggiudicarsi un ruolo di eroina repubblicana che, seppur sortito da un risarci-mento postumo, ne proiettava la figura ai vertici della tradizione di glorie fami-liari di una stirpe che orgogliosamente millantava una discendenza dalla gens

Cornelia. In tale prospettiva si legittima perciò ampiamente il già evocato affio-rare di episodi di committenza specifica riconducibili a richieste dirette dei Cor-naro, tramite i quali la parabola di Caterina andava inscrivendosi di diritto nella galleria dei fasti domestici, con un’ovvia funzione di autocelebrazione dinastica, giungendo fino ad ottenere un posto di tutto rispetto persino nell’albero genea-logico della famiglia (tav. 3,1), dove la messa in figura di un’effige femminile si profila – come già era stato per la sua comparsa entro la teoria virile di Palazzo Ducale – quale fatto del tutto eccezionale.28 D’altronde, in aggiunta all’episodio eclatante del mausoleo in San Salvatore, si potrà in effetti ricordare che proprio 28 L’albero genealogico in questione è una grande tela (270 x 205 cm) conservata a Vene-

zia, a Cà Corner, che porta una generica attribuzione alla scuola veneta ed ammette una datazione piuttosto precisa, fra 1697 e 1709, deducibile dalla presenza di alcuni membri della famiglia, in particolare Giorgio di Federico, divenuto cardinale nel 1697, e il fra-tello Giovanni II, eletto doge nel 1709, ma nella tela ancora citato come “Senator”. Quanto a Caterina, accanto al suo ritratto compare la data 1472, anno in cui sposando Giacomo II Lusignano divenne regina di Cipro. Una recente schedatura dell’opera si deve a Franca Lugato in Caterina Cornaro 1995, 81, con bibliografia precedente.

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nel palazzo di Nicolò Cornaro a San Maurizio si trovavano il quadro di Palma il Vecchio con La cessione del governo e della corona di Cipro fatta dalla detta

regina in mano di Pietro Mocenigo29 e quello di analogo soggetto degli heredes

Pauli30 (tav. 2,2) nonché le due già illustrate tele poi passate in collezione Giu-stiniani che rievocavano l’abbandono dell’isola da parte della nobildonna: nelle quali ultime, peraltro, i meccanismi di celebrazione familiari potevano avvan-taggiarsi della contestuale sottolineatura anche del ruolo del fratello Giorgio.

È inoltre ovvio che andranno letti nella medesima prospettiva encomiastica anche testi narrativamente meno espliciti, ma analogamente indirizzati ad ali-mentare il mito di Caterina proprio perché afferenti a una categoria di immagini celebrativa per definizione quale il ritratto.31

Vasari ricordava in effetti di aver visto nelle mani di un altro Cornaro, il nipote Giovanni, un’effige della regina eseguita dal vivo nientemeno che da Giorgione,32 mentre Ridolfi citava un ritratto eseguito da Tiziano in cui Caterina compariva “in habito vedovile campeggiando tra quelle nere spoglie il candore delle carni”, dal quale erano state tratte “infinite copie”.33 Lo scrittore non ci dice nulla dell’ubicazione dell’opera, ma è assai probabile che la sua commit-tenza si collocasse in effetti ancora una volta entro un contesto familiare, posto fra l’altro che il modo di rappresentare ed abbigliare la donna nelle due tele Giu-stiniani, delle quali si ricorda l’originaria appartenenza ai Cornaro, indubbia-mente pare riecheggiare proprio l’evocato archetipo del Cadorino. Circostanza, quest’ultima, che, in virtù della manifesta consonanza esistente fra tali immagini e la serie dei ritratti di Caterina di Asolo (tav. 3,2), Nicosia (fig. 6),34 Hanno-ver35 e Vienna,36 nonché con la più defilata tela di proprietà dei conti Avogadro 29 Sansovino 1663, 375. 30 Le vicende del dipinto, che Ridolfi (1648/1914–24, vol. 1, 341) citava presso i Cornaro di

San Maurizio come opera commissionata a Paolo, ma terminata da Carletto e Gabriele Caliari, sono state ripercorse da Zanotto 1840. La grande tela, dopo varie vicissitudini, era entrata in possesso di Raffaele Vita Treves de’ Bonfil, che l’aveva poi ceduta agli Asili d’Infanzia veneziani, i quali, a loro volta, l’avevano messa in vendita organizzando una lotteria pubblicizzata tramite la diffusione dell’incisione eseguita da Marco Comirato su disegno del Marcovich, per la quale ultima si rimanda alla scheda di Franca Lugato in Caterina Cornaro 1995, 148–151. Dopo un passaggio dalla collezione Schönlank, il dipinto nel 1896 fu nuovamente messo all’asta e, dopo un lungo periodo di oblio, è di recente ricomparso sul mercato veneziano (Semenzato, 13 dicembre 1992, n. 39) con un’attribuzione congiunta a Paolo, Benedetto e Carletto Caliari e una datazione al 1580–85, giudicate entrambe condivisibili da Pignatti – Pedrocco 1995, 524, cat. A82. Un’ulte-riore incisione, eseguita da Giovanni Brizeghel su disegno di Giusto Rosa si conserva al Museo Correr di Venezia; Franca Lugato in Caterina Cornaro 1995, 152–153.

31 In merito ai ritratti di Caterina ipotesi di elaborazione di un corpus si devono a Cook[1915]; Schaeffer 1911; Hill 1948/72, 758–764. Per una più ampia e aggiornata ricogni-zione del problema si rimanda al catalogo della mostra Caterina Cornaro 1995.

32 Vasari 1976, 46. 33 Ridolfi 1648/1914–24, vol. 1, 153. 34 Per i dipinti citati si rimanda da ultimo alle schede di Alessandra Bassotto e Loukia Loi-

zou Hadjigavriel in Caterina Cornaro 1995, 95 (con bibliografia precedente), 131. 35 Syndikus 2001, 268.

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degli Azzoni di Treviso,37 varrebbe in ultima analisi anche a documentare l’effettiva circolazione e ampia fortuna dell’invenzione tizianesca.

Fig. 6: Copia da Tiziano (?), Ritratto di Caterina Cornaro;

Nicosia, Cyprus Museum.

Abbiamo finora volutamente trascurato quella che è indubbiamente l’icona più nota della Cornaro: il ritratto eseguito all’attacco del Cinquecento da colui che era allora il pittore ufficiale della Repubblica, ovvero Gentile Bellini. L’opera oggi a Budapest in realtà apre cronologicamente – e con discreto anti-cipo sugli altri titoli – la galleria figurativa che abbiamo appena ripercorso, al tempo stesso distaccandosene per una diversa intenzione figurativa. Nella pro-duzione del Cinquecento più avanzato, in cui rientrano i dipinti fin qui analiz-

36 Grabski 2010, 207. 37 Il dipinto, pubblicato da Molmenti 1905, è caratterizzato dalla presenza di una tabella

dedicatoria che ne ricondurrebbe l’esecuzione alla circostanza delle nozze celebrate nel luglio del 1500 fra Rambaldo V degli Azzoni Avogadro e una delle donzelle cipriote della regina, Fiammetta Buccari, alla quale Caterina avrebbe appunto fatto dono del ritratto in questione accompagnandolo con un’immagine della Vergine di Antonello da Messina. La veridicità di tale legenda risulta tuttavia messa in forse già da Hill 1948/72, 759–760.

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zati, ad essa erano in effetti attribuite fattezze muliebri giovanili e piacenti, sia per rispetto dell’ambientazione cronologica degli episodi narrati, che si colloca-vano in un tempo in cui Caterina aveva di poco passato i trent’anni, sia in con-cordanza con una tradizione apologetica di lunga fortuna giocata sul motivo di una bellezza “sopranaturale”38 che, nel garantirle il primato fra le donne del suo tempo, era motivo di una lusinghiera, quanto scontata identificazione della regi-na di Cipro con Venere tornata nella sua isola:39 sulla quale peraltro – detto per inciso – riposerebbe l’incerto riconoscimento del soggetto di una tavoletta dell’Isabella Stewart Gardner Museum di Boston come Nascita di Caterina

Cornaro (fig. 7).40

Fig. 7: Pittore veneziano, Nascita di Caterina Cornaro (?), XVI sec.;

Boston, Isabella Stewart Gardner Museum.

38 Giblet 1647, 704. 39 Bolzoni 2010, 35–36, nota 26; per un’ulteriore approfondimento del paragone fra Cate-

rina e Venere si rimanda inoltre al contributo di Leuker in questo volume. Lunghi elenchi delle virtù estetiche della regina si rintracciano abbondantemente anche nelle cronache ottocentesche, dove peraltro consueti sono pure i richiami al primato della sua avvenenza, tale che quando il Lusignano si era trovato di fronte il ritratto della promessa sposa “dovette apertamente confessare, nessun’altra pulzella essergli stata veduta fino a quell’ ora che a quella si potesse paragonare”; Carrer 1838, 126.

40 Hendy 1974, 278–280; Perocco 1993, 153.

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In quest’ordine, non si potrà d’altra parte ignorare il nesso esistente fra sif-fatte accentuazioni della venustà della Cornaro e le necessità idealizzanti inevi-tabilmente incorporate nella costruzione di una mitografia postuma, entro la quale, in assenza di sicuri punti di riferimento e senza adeguati fondamenti, si è fatto rientrare più di un dipinto: fra cui anche il ritratto tizianesco degli Uffizi,41

ove si ravvisa non tanto una volontà di precisazione fisionomica della figura, quanto piuttosto la traduzione di una più astratta idea di regalità – abbondante-mente segnalata dalla sontuosità della veste e dell’acconciatura – infine messa al servizio di una diversa, seppur ugualmente allusiva iconografia, tramite l’aggiunta di una ruota che trasforma la donna in una Santa Caterina.42 E che, ad ogni modo, considerando il numero di copie e varianti, dovette indubbiamente godere di una notevole e prolungata fortuna.43

Nell’icona belliniana ci troviamo viceversa di fronte alla ripresa, per certi versi impietosa, ma proprio per questo di presumibile, assoluta fedeltà, di una donna matura, alla soglia della cinquantina, corpulenta al limite della pingue-dine, la cui effige si fissa nella memoria del riguardante proprio per il vibrante e calligrafico realismo che la contraddistingue. D’altronde lo scopo del ritratto non era certo quello di proporre un modello di bellezza muliebre, ma piuttosto quello di fissare una memoria di Caterina che incorporasse in termini inequivo-cabili i simboli di una regalità nei fatti perduta, e in ogni caso oramai svuotata di qualunque contenuto politico, ma che tuttavia rimaneva, insieme alla discen-denza dalla gens Cornelia, e all’appellativo di figlia adottiva della Repubblica, richiamati contestualmente nella tabella dedicatoria, a fondamento di un primato sociale orgogliosamente ostentato, che Bellini traduce attraverso la fastosità della veste, la panoplia di gioielli che orna la donna, e soprattutto dipingendole sul capo la corona di Cipro, che la Cornaro, per concessione del Senato, aveva mantenuto la prerogativa di poter ostentare.44

Il ritratto belliniano ci mette ancora una volta di fronte a un’operazione ico-nografica pilotata dai Cornaro e intesa ad alimentare un fenomeno di elabora-zione di una mitografia dinastica entro il quale Caterina gioca un duplice ruolo, ponendosi al tempo stesso come oggetto privilegiato ed attiva fautrice di tale 41 Sul dipinto rimane fondamentale l’intervento di Agostini in Tiziano 1978, 322–325, cat.

94; per un più recente riepilogo delle ipotesi attributive e interpretative dell’opera si rimanda invece alla scheda di Antonio Natali in Caterina Cornaro 1995.

42 Pallucchini 1969, vol. 1, 344; Wethey 1971, 130, n. 97. 43 Dall’originale tizianesco discende indubbiamente la tela della collezione Costas e Rita

Severis (Caterina Cornaro 1995, 121); un’ulteriore variante era poi costituita da un dipinto attualmente di ubicazione ignota proveniente dalla collezione Manfrin di Venezia, da cui discendono l’incisione di Samuele Levi del Correr di Venezia, e due ulterori fogli del medesimo museo, tutti inequivocabilmente siglati come ritratti della Cornaro: Chiari 1982, 213; Franca Lugato in Caterina Cornaro 1995, 103, 109 e 113, con bibliografia precedente.

44 Per un’analisi del dipinto si rimanda a Meyer zur Capellen 1985, 126–127 e alla più recente scheda di Axel Vécsey in Da Raffaello a Goya 2004, 80. Per la tabella dedicato-ria si veda inoltre nota 12.

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processo. Condizione che di conseguenza consentirà di indirizzare, almeno par-zialmente, la costruzione della sua icona pubblica, sia attraverso un’opportuna ubicazione delle sue effigi, sia promuovendo proposte figurative che arricchi-scono il personaggio di sfumature interpretative che sfuggono alla sua univoca identificazione come reggente deposta.

In quest’ordine si potrà senz’altro citare il caso del grande telero, ancora una volta riferibile alla mano di Gentile Bellini, con il Miracolo della Croce al ponte

di San Lorenzo, dipinto nel 1500 per la Scuola Grande di San Marco Evangeli-sta.45 Il dipinto faceva parte di una serie di nove quadri che erano stati commis-sionati per commemorare una serie di miracoli che si credeva avessero avuto luogo a Venezia nel 1369, dopo che alla scuola era stata donata una reliquia della croce portata in città da Philippe de Mézières, al tempo Cancelliere del regno di Cipro. Questa circostanza potrebbe di per sé spiegare il motivo dell’inserimento fra gli astanti di un nutrito gruppo femminile costituito da Cate-rina, nelle medesime vesti regali del ritratto di Budapest, accompagnata dal seguito delle sue ancelle (tav. 4,1); ma la presenza fra gli effigiati di altri mem-bri della famiglia Cornaro tende a spostare la questione su un piano meno casuale. Dietro la regina sono infatti riconoscibili oltre a Pietro Bembo, di cui sono ben note le frequentazioni della corte asolana di Caterina, due nipoti della donna, ovvero il cardinale Marco e il fratello di quest’ultimo, Francesco.46 L’in-dicazione vasariana47 che Gentile avesse inserito nel dipinto la serie completa dei ritratti dei confratelli iscritti alla scuola, entro cui dunque dovevano rientrare anche i Cornaro, è sicuramente una giustificazione efficace alla loro presenza, ma che forse non ne esaurisce tutte le implicazioni, tanto più se si va a prendere in considerazione la fanciulla inginocchiata in primo piano sul parapetto, ovvero nello spazio caratteristico del donatore. Le ipotesi relative all’identità di quest’-ultima sono controverse e non conducono a soluzioni certe: al di là della con-gettura che possa trattarsi di un’evocazione della stessa Caterina adolescente,48

quale simbolo vivente delle connessioni cipriote della Serenissima, è in ogni caso ipotesi condivisa che nei panni della fanciulla vada riconosciuta una giovi-netta di casa Cornaro.49 Il che sarebbe da leggere come segnale piuttosto inequi-vocabile di una partecipazione alla prestigiosa commissione del telero da parte della famiglia, che, di conseguenza, si sarebbe trovata nell’ovvia condizione di sollecitare un impianto narrativo adeguatamente autocelebrativo, entro cui per l’ennesima volta spettava a Caterina mettere a fuoco le nobilitanti implicazioni cipriote della dinastia.

45 Per la datazione del ciclo si veda Bernasconi 1981; per una disamina del dipinto dal punto

di vista iconografico: Billanovich 1973, 371–385; Collins 1982, 201–208. 46 Collins 1982, 204–205. 47 Vasari 1971, 428. 48 Gibbons 1963, 57–58; Dewald 1961, 448. 49 Collins 1982, 202–203.

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Ma certo, qualora si volesse accettarne l’identificazione, la più inattesa delle apparizioni di Caterina si dovrebbe al pennello di Lorenzo Lotto, che si sarebbe spinto fino ad attribuire alla Vergine della pala oggi nel Duomo di Asolo le fat-tezze della regina (tav. 4,2).50

Alla base di questo provocante riconoscimento si collocherebbe la somi-glianza fra l’inaspettatamente matura Madonna asolana e il volto della Cornaro restituitoci dal ritratto di Budapest, nonché l’opportunità di alcuni elementi ico-nografici, fra cui particolarmente probante il cipresso femmina giusto al centro del dipinto, che introduce un ineludibile rimando semantico all’isola della regina, ovvero Cipro. La giustificazione più ovvia a tale audace sovrapposizione ritrattistica, peraltro tranquillamente inscrivibile nella prassi comunemente applicata del cripto ritratto,51 riposa nella suggestione che Caterina fosse stata la committente della pala,52 che peraltro si trovava in origine in una cappella del duomo asolano intitolata a Sant’Antonio abate per la quale la domina aveva dimostrato una particolare dedizione, ad esempio attivandosi presso il papato affinché l’altare venisse dotato di particolari privilegi.

Ma le motivazioni profonde che sostanzierebbero tale ipotesi sono ovvia-mente più sottili e stringenti, e, sia che si voglia accettare o meno tale identifica-zione, conducono a spostare l’attenzione su alcuni aspetti della personalità di Caterina sfuggenti alla dimensione politica del personaggio, ma assai presenti nell’encomiastica contemporanea e anzi oggetto di una consapevolezza pubblica di cui la sovrana doveva compiacersi non poco. La premessa alla santificazione lottesca riposava in effetti su un’attitudine mistica della Cornaro che, intreccian-dosi alle sue più appariscenti e mai sopite inclinazioni mondane, aveva una visi-bilità inevitabilmente più limitata, ma non era tuttavia sfuggita ai suoi apologeti: consueto e ricorrente negli elogi che la riguardavano era infatti ad esempio il tema della castità, alla quale si era votata dopo la vedovanza, perseguendo per quella via una sorta di post-verginità morale riconosciutale – sulla scorta delle indicazioni tomistiche – come conseguenza di un proposito di pudicizia ferma-mente e strenuamente mantenuto. L’attivazione di un processo di sacralizza-zione e identificazione della Cornaro con la vergine Maria è d’altronde un dato di fatto riscontrabile in diverse fonti testuali, dove ad esempio si rintracciano audaci paragoni fra la corona di Cipro portata dalla donna e la corona con dodici stelle della Vergine nell’Apocalisse, o dove ancora si introducono similitudini altrettanto spericolate fra lo splendore del volto di Caterina e quello della divi-nità.53

50 Dal Pozzolo 1990 e 1995. 51 L’ipotesi che il volto della Madonna nella pala Asolana adombrasse il ritratto di “una

defunta benefattrice della Scuola e dei suoi assistiti” è stata inizialmente affacciata da Gentili 1985, 126.

52 In alternativa si vedano anche le proposte di riferirne la committenza alla famiglia berga-masca dei Suardi (Brusatin 1992) o alla confraternita dei Battuti (Villa 2011, 25).

53 Dal Pozzolo 1995, 101–109.

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Si tratta chiaramente di suggestioni che, messe a servizio della prosopopea dinastica, avrebbero potuto portare lontano. Ma nella pala asolana, eseguita nel 1506, risuona una più intimistica nota di malinconia, un senso del sacro che tra-valica le glorie mondane, e forse già un presagio di trapasso. Non stupisce dun-que che su questi registri si modulassero certe scelte estreme della Cornaro, un’ulteriore testimonianza della cui pietas, significativamente riconducibile al pennello dello stesso Lotto, è stata recentemente individuata nell’Adorazione di Cracovia, ove alla matura e regale Santa Caterina sarebbero state attribuite le fattezze della nobildonna54. E che proprio in omaggio a un intimo sentire reli-gioso potrà aver scelto di dismettere nella morte i panni fastosi e ingombranti di regina di Cipro e domina Aceli, scegliendo quell’umile veste francescana di cui, all’inizio, ci aveva portato memoria il Sanudo.

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