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La cognitio symbolica e la generatio homonyma nella filosofia trascendentale di Kant. Il simbolo come «ipotiposi»: «subiectio sub adspectum» ANDREA GENTILE «Die Vernunft fühlt nicht; sie sieht ihren Mangel ein, und wirkt durch den Erkenntnistrieb das Gefühl des Bedürfnisses». Immanuel Kant 1. IL SIMBOLO COME «IPOTIPOSI»: «SUBIECTIO SUB ADSPECTUM» Nel paragrafo 59 della Critica del Giudizio Kant definisce il simbolo come una “ipotiposi”, cioè come una “esibizione” che, attraverso il dato di un’intuizione, lascia pensare un’idea della ragione. «L’ipotiposi (esibizione, subiectio sub adspectum), in quanto è qualcosa di sensibile, è duplice; schematica, quando l’intuizione corrispondente ad un concetto dell’intelletto è data a priori; simbolica, quando ad un concetto che può essere pensato solo dalla ragione, e a cui non può essere adeguata alcuna intuizione sensibile, viene sottoposta un’intuizione, nei cui confronti il procedimento del Giudizio è soltanto analogo a quello dello schematismo; vale a dire, che si accorda con questo soltanto secondo la regola del Studi Linguistici e Filologici Online ISSN 1724-5230 Vol. 8.2 (2010), pp. 153-182 Andrea Gentile, La cognitio symbolica e la generatio homonyma nella filosofia trascendentale di Kant. Il simbolo come «ipotiposi»: «subiectio sub adspectum»

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La cognitio symbolica e la generatio homonyma nella

filosofia trascendentale di Kant. Il simbolo come

«ipotiposi»: «subiectio sub adspectum»

ANDREA GENTILE

«Die Vernunft fühlt nicht; sie sieht ihren Mangel ein,

und wirkt durch den Erkenntnistrieb das Gefühl des Bedürfnisses».

Immanuel Kant

1. IL SIMBOLO COME «IPOTIPOSI»: «SUBIECTIO SUB ADSPECTUM»

Nel paragrafo 59 della Critica del Giudizio Kant definisce il

simbolo come una “ipotiposi”, cioè come una “esibizione” che,

attraverso il dato di un’intuizione, lascia pensare un’idea della

ragione. «L’ipotiposi (esibizione, subiectio sub adspectum), in quanto

è qualcosa di sensibile, è duplice; schematica, quando l’intuizione

corrispondente ad un concetto dell’intelletto è data a priori; simbolica,

quando ad un concetto che può essere pensato solo dalla ragione, e a

cui non può essere adeguata alcuna intuizione sensibile, viene

sottoposta un’intuizione, nei cui confronti il procedimento del

Giudizio è soltanto analogo a quello dello schematismo; vale a dire,

che si accorda con questo soltanto secondo la regola del

Studi Linguistici e Filologici OnlineISSN 1724-5230Vol. 8.2 (2010), pp. 153-182Andrea Gentile, La cognitio symbolica e la generatio homonyma nella filosofia trascendentale di Kant. Il simbolo come «ipotiposi»: «subiectio sub adspectum»

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procedimento, non secondo l’intuizione stessa, e quindi soltanto

secondo la forma della riflessione e non secondo il contenuto. A torto

e con uno stravolgimento di senso i logici moderni accolgono l’uso

della parola simbolico per designare un modo di rappresentazione

opposto a quello intuitivo; perché il simbolico non è che una specie

del modo intuitivo. Questo (l’intuitivo) si può dividere cioè in modo

di rappresentazione schematico e simbolico. Entrambi sono ipotiposi,

cioè esibizioni (exhibitiones): non sono caratterismi, cioè

designazioni dei concetti per mezzo di segni sensibili concomitanti,

che non contengono nulla che appartenga all’intuizione dell’oggetto,

ma servono soltanto come mezzo di riproduzione, secondo la legge

associativa immaginativa, e quindi per uno scopo soggettivo; tali

sono, come semplici espressioni dei concetti, o le parole oppure i

segni visibili (gli algebrici ed anche i mimici)»1.

Sono due gli aspetti rilevanti di questa definizione. Da un lato

Kant fa notare che il simbolo, come lo schema, va inteso quale “modo

dell’intuizione”: non se ne può parlare dunque in antitesi a questa,

confondendolo con un “caratterista”, vale a dire con un semplice

“segno” convenzionale. Dall’altro lato, Kant ci pone davanti alla

tensione apparentemente paradossale del simbolico: si tratta infatti di

una “esibizione intuitiva” di ciò che in sé e per sé non sopporta

un’espressione propriamente intuitiva.

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1 I. Kant, Critica del Giudizio, tr. it. di A. Gargiulo, Laterza, Roma-Bari, 2002, p. 215.

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In questo orizzonte semantico, sta il carattere analogico del

simbolo che, per un verso esprime qualcosa di “immediatamente

intuitivo”, per altro verso lascia che in questa intuizione si rifletta un

oggetto del tutto diverso, di cui ciò che è immediatamente intuito

costituisce un’esibizione indiretta, cioè simbolica. Giungiamo così a

quella nozione che fa del simbolo un trasparire dell’indicibile,

un’espressione a duplice e inscindibile articolazione di un significato

primario ed immediato e di un significato secondario mediato: modi,

che, nell’ambito del pensiero contemporaneo, troveremo riproposti in

Jaspers e più recentemente in Ricoeur.

Secondo Kant, “tutte le intuizioni” che sono sottoposte a concetti

a priori, sono schemi o simboli: le prime contengono esibizioni dirette

del concetto, le seconde esibizioni indirette. Le prime procedono

“dimostrativamente”, le seconde per mezzo di una “analogia”, in cui il

Giudizio ha una doppia funzione: in primo luogo, di applicare il

concetto all’oggetto di una intuizione sensibile; in secondo luogo, di

applicare la semplice regola della riflessione su quella intuizione ad

un oggetto del tutto diverso: il simbolo. Il nostro linguaggio – osserva

Kant – “è pieno” di queste esibizioni indirette, fondate sull’analogia,

in cui l’espressione non contiene le schema proprio del concetto, ma

soltanto un “simbolo” per la riflessione. Le “ipotiposi” non

schematiche, ma simboliche, designano concetti, non mediante

intuizioni dirette, ma soltanto secondo l’analogia con queste, cioè con

il “trasferimento” della riflessione su di un oggetto dell’intuizione ad

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un concetto del tutto diverso, al quale forse non potrà mai

corrispondere direttamente un’intuizione.

2. LA COGNITIO SYMBOLICA E LA GENERATIO HOMONYMA

Nel simbolo, l’oggetto non è dato o rappresentato, bensì

riconosciuto: si tratta di una conoscenza “indiretta” fondata su

un’intuizione analogica che come tale richiama una presenza al di là

di se stessa, oltre i limiti della possibilità reale. Kant riferisce

«l’orizzonte simbolico a quel mondo dell’immaginario che, pur

costituendosi ad esibizione di un concetto, per se stesso dà però

talmente a pensare (viel zu denken veranlasst) da non lasciarsi mai

contenere in un concetto determinato»2.

In questo contesto semantico, la cognitio symbolica si rapporta

alla generatio homonyma. «La ragione prepara il campo all’intelletto:

a) con un principio della omogeneità del molteplice entro generi

superiori; b) con un principio della varietà dell’omogeneo entro specie

inferiori. E per completare l’unità sistematica, la ragione aggiunge

ancora, in terzo luogo, una legge dell’affinità di tutti i concetti, legge

che impone un passaggio continuo da ogni specie a ogni altra specie,

mediante un graduale progressivo accrescimento delle diversità.

Possiamo chiamarli principi dell’omogeneità, della specificazione e

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2 Ibid.

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della continuità delle forme. L’ultimo sorge dalla riunione dei primi

due, una volta che è stato compiuto il collegamento sistematico

nell’idea, tanto che l’ascesa ai generi più alti, quanto con la discesa

alle specie più basse. In tal caso, difatti, tutte le molteplicità sono

affini tra loro, poiché derivano tutte quante ad un unico genere

supremo, attraverso tutti i gradi di una determinazione sempre più

estesa»3.

Se l’intelletto produce le analogie dell’esperienza, la ragione, con

i modi supremi dell’affinità, della specificazione e dell’omogeneo,

costituisce via via delle analogie dell’intelletto. Facendo riferimento

all’unità ideale della ragione, Kant reintroduce ancora la figura dello

schema: come le funzioni analogiche dell’intelletto si facevano

determinate e determinanti nella duplice appartenenza degli schemi,

così le funzioni della ragione si precisano in una sorta di superiore

analogia. «Sebbene nell’intuizione – osserva Kant – non si possa

scoprire alcuno schema per la completa unità sistematica di tutti i

concetti dell’intelletto, tuttavia, può e deve essere dato qualcosa di

analogo a tale schema: questo qualcosa è l’idea del maximum sia nella

divisione di una conoscenza dell’intelletto sia nella riunione della

conoscenza dell’intelletto in un principio. L’idea della ragione è

dunque qualcosa di analogo ad uno schema della sensibilità, con la

differenza però, che l’applicazione dei concetti dell’intelletto allo

schema della ragione non costituisce allo stesso modo una conoscenza

3 Ibid., p. 216.

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dell’oggetto stesso (come nell’applicazione delle categorie ai loro

schemi sensibili), ma è soltanto una regola o principio dell’unità

sistematica di ogni uso dell’intelletto»4.

Il principio dell’«unità analogica» diventa così la chiave di lettura

per ricomprendere la totalità attraverso la generatio homonyma:

l’intera realtà finita è in funzione di uno stesso principio unitario.

L’orizzonte della generatio homonyma costituisce una determinazione

della più alta unità ideale, quella teologica. Questa determinazione

non ha lo statuto del giudizio determinante: resta pur sempre al di

sopra di ogni esperienza e si dà semplicemente come un ideale

regolativo-trascendentale della ragione, cioè come Prototypon

transzendentale. Tutti i principi soggettivi e le condizioni che fondano

la possibilità della totalità devono essere comunque strutturati

all’interno di un sistema: cioè l’unità di un molteplice di conoscenze

sotto un’unica idea. Questo è il concetto razionale della forma di un

tutto, per mezzo del quale è determinato a priori sia l’ambito del

molteplice, sia la reciproca connessione delle parti: la conoscenza di

questo «sistema della ragion pura» deve essere strutturato secondo un

metodo in un orizzonte trascendentale.

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4 Ibid.

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3. LA «DOTTRINA TRASCENDENTALE DEL METODO». ARCHITETTONICA

E SISTEMA DELLA RAGION PURA

Secondo Kant, la ricerca del metodo assume un ruolo

determinante nella filosofia trascendentale. La «Dottrina

trascendentale del metodo» (Transzendentale Methodenlehre) è «la

determinazione delle condizioni formali di un sistema completo della

ragion pura. Per la sua realizzazione – osserva Kant – dovremo

occuparci di una disciplina (Disziplin), di un canone (Kanon), di

un’architettonica (Architektonik), infine di una storia (Geschichte)

della ragion pura, e dovremo compiere, dal punto di vista

trascendentale, ciò che nelle scuole si cerca di fare – però con cattivi

risultati – rispetto all’uso dell’intelletto in generale, sotto il nome di

logica pratica. Questi scarsi risultati si spiegano per il fatto che, non

essendo la logica generale ristretta ad una specie particolare di

conoscenza dell’intelletto (non essendo ristretta per esempio a quella

pura), e neanche a certi oggetti, essa allora, senza prendere a prestito

conoscenze da altre scienze, non può esporre se non titoli di metodi

possibili ed espressioni tecniche, che vengono utilizzati in riferimento

al lato sistematico delle varie scienze»5.

Nella filosofia trascendentale di Kant, ogni singola particolare

conoscenza e ogni totalità di conoscenze devono essere conformi ad

5 I. Kant, KrV., B 736/A 708.

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un principio. La conoscenza in quanto scienza deve essere strutturata

secondo un metodo: la scienza, infatti, è la “totalità organica” della

conoscenza come sistema: essa richiede pertanto una conoscenza

“sistematica” secondo principi e condizioni di possibilità. Se la

dottrina degli elementi ha, nella logica, come proprio contenuto gli

elementi e le condizioni di possibilità della conoscenza, la dottrina del

metodo, quale seconda parte della logica, deve invece trattare della

“forma” di una scienza in generale, ossia della possibilità di

organizzare il molteplice della conoscenza facendone una scienza.

Una delle finalità essenziali della conoscenza consiste nella

distinzione, nel rigore e nella connessione sistematica tra i saperi. La

distinzione delle conoscenze e la loro connessione in una totalità

sistematica assume un ruolo particolarmente significativo nella

f i l o s o f i a t r a s c e n d e n t a l e . C o n i l t e r m i n e

“architettonica” (Architektonik) Kant intende «l’arte di costruire

sistemi»6: poiché l’unità sistematica è l’unico elemento che possa

trasformare la conoscenza comune in scienze (definendo cioè un

sistema da un semplice aggregato di conoscenze). L’architettonica è

pertanto la dottrina di ciò che è scientifico nella nostra conoscenza: in

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6 Si veda S. Palmquist, Kant’s System of Perspectives: an architectonic interpretation of the Critical Philosophy, University Press of America, Lanham, 1993; H. G. Callaway, Open Transcendentalism and the Normative Character of Methodology, in: «Philosophy and Social Criticism», 44, 1993, pp. 1-24; AA.VV., Architektonik und System in der Philosophie Kants, Herausgegeben von H. Friedrich Fulda und J. Stolzenberg, Meiner Verlag, Hamburg, 2001.

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questo orizzonte, essa appartiene alla dottrina trascendentale del

metodo.

Sotto il governo della ragione, le nostre conoscenze in generale non possono costituire una rapsodia, ma un sistema; solo in questo, infatti, sono in grado di sostenere e promuovere i fini essenziali della ragione. Per sistema intendo l’unità di un molteplice di conoscenze sotto un’unica idea. Questo è il concetto razionale della forma di un tutto, per mezzo del quale è determinato a priori sia l’ambito del molteplice sia la reciproca posizione e connessione tra le parti che costituiscono il sistema. Il concetto scientifico della ragione racchiude pertanto il fine e la forma del tutto ad esso corrispondente. L’unità del fine, a cui tutte le parti fanno riferimento, mentre si connettono tra di loro nell’idea del fine stesso, fa sì che ci possiamo rendere conto della mancanza di una parte qualsiasi mediante la conoscenza che abbiamo degli altri elementi che costituiscono il sistema. La totalità è pertanto articolata (articulatio), e non ammucchiata casualmente (coacervatio); è suscettibile di crescita dall’interno (per intussusceptionem), ma non dall’esterno (per appositionem)7.

Queste riflessioni kantiane sono particolarmente significative,

facendo riferimento al rapporto semantico tra “unità” architettonica e

“sistema” architettonico della “ragion pura”8. Ma come è possibile la

sua esecuzione in un orizzonte operativo? Seguendo le strutture del

trascendentale, quali sono le condizioni che fondano la possibilità del

7 I. Kant, KrV., B 861/A 833.

8 Cfr. B. Tuschling, System des transzendentalen Idealismus bei Kant? in: «Kant Studien», 86, 1995, pp. 196-210.

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sistema della ragion pura nella sua totalità costitutiva? Kant afferma

che in rapporto alla sua “esecuzione”, l’idea ha bisogno di uno

“schema”: cioè di una molteplicità essenziale e di un ordine delle

parti, determinati a priori secondo il principio del fine. Quando uno

schema non è definito in base ad un’idea, cioè secondo il fine della

ragione, ma è definito “empiricamente” o “accidentalmente”, esso

porta solo ad una unità tecnica. Quando invece si origina

esclusivamente da un’idea (nel qual caso la ragione prescrive i fini a

priori) fonda una unità architettonica. Ciò a cui diamo il nome di

scienza non può costituirsi “tecnicamente”, in virtù della somiglianza

riscontrata nel molteplice o dell’impiego casuale della conoscenza in

concreto per ogni specie di scopi arbitrari ed esterni, bensì

architettonicamente, sulla scorta e sulla base dell’affinità delle parti e

in a base alla derivazione da un fine interno unico e supremo, il solo in

grado di rendere possibile il tutto: il suo schema deve perciò

contenere, in conformità all’idea, ossia a priori, il tracciato

(monogramma) e la ripartizione del tutto nei suoi principi costitutivi.

Osserva Kant:

Nessuno potrà mai tentare di costruire una scienza senza porre a suo fondamento un’idea. Ma nella successiva elaborazione, molto raramente lo schema, e la stessa definizione che si dà all’inizio della scienza, corrispondono all’idea; e ciò perché quest’ultima è presente nella ragione come un germe in cui le varie parti si occultano.

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Ne deriva che le scienze, essendo tutte concepite in base ad un certo interesse generale, siano chiarite e determinate, anziché dalla descrizione che di esse ci dà il loro autore, dall’idea che si trova fondata nella ragione stessa e che viene dall’unità naturale delle parti che l’autore ha posto assieme. È allora possibile rendersi conto che l’autore, e sovente anche i suoi seguaci, brancolano attorno ad un’idea, di cui non sono riusciti a venire in chiaro e si trovano così nell’impossibilità di determinare il contenuto particolare, l’articolazione (l’unità sistematica) e i confini della scienza9.

I sistemi hanno tutta l’apparenza di formarsi per generatio

aequivoca: di conseguenza, non solo ogni sistema è di per sé

strutturato in base ad un’idea, ma tutti si riuniscono adeguatamente tra

di loro, quali principi o condizioni di possibilità di una totalità, dando

luogo ad un unico sistema della conoscenza umana e rendendo

possibile una architettonica dell’intero sapere umano. Osserva ancora

Kant:

Noi ci limiteremo a definire e a progettare soltanto l’architettonica dell’intera conoscenza ricavabile dalla ragion pura prendendo le mosse dal punto in cui la radice universale della nostra facoltà conoscitiva si divide in due orizzonti: se si astrae da tutto il contenuto della conoscenza, presa oggettivamente, ogni conoscenza, sotto l’aspetto soggettivo, è o storica o razionale. La conoscenza storica è cognitio ex

datis; la conoscenza razionale, invece, è cognitio ex principiis10.

9 I. Kant, KrV., B 862/A 834.

10 Ibid., B 864/A 836.

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Secondo Kant, il sistema di tutta la conoscenza è la filosofia. La

filosofia è il sistema delle conoscenze filosofiche, ovvero delle

conoscenze razionali per concetti: questo è il concetto “scolastico”

della filosofia, mentre il concetto “cosmico” è la scienza dei “fini”

ultimi della ragione umana. Per la filosofia intesa secondo il concetto

scolastico è necessario fare riferimento a due elementi fondamentali:

in primo luogo, ad un insieme di principi, condizioni e conoscenze

razionali; in secondo luogo, ad una connessione “sistematica” di

queste conoscenze. Kant afferma:

La filosofia non solo si presta ad una connessione rigorosamente sistematica, ma essa, anzi, è l’unica scienza che ha, nel senso più proprio, una connessione sistematica e che dà unità sistematica a tutte le altre scienze. La filosofia occorre considerarla oggettivamente, se si vuole intendere con essa il modello di valutazione di tutti i tentativi di filosofare, che deve servire alla valutazione di ogni filosofia soggettiva, la cui struttura è spesso varia e mutevole. Così intesa, la filosofia è semplicemente l’idea di una scienza possibile, mai data in concreto […]. Ma la filosofia dove si trova? Chi la possiede? Come la si può riconoscere? Si può soltanto imparare a filosofare, cioè ad esercitare il talento della ragione mediante l’applicazione dei suoi principi universali, ma sempre con riserva del diritto della ragione di indagare su quei principi fino alle loro fonti in un orizzonte critico11.

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11 Ibid., B 866/ A 838.

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4. LA «LINEA-LIMITE» DELLA CONOSCENZA

Nella Dottrina trascendentale del metodo (Transzendentale

Methodenlehre), Kant definisce e analizza un problema centrale nella

Critica della ragion pura: il concetto di “linea-limite”(Grenzlinie) in

rapporto all’“orizzonte” (Horizont) indeterminato del sapere.

L’insieme di tutti gli oggetti accessibili alla nostra conoscenza (Erkenntnis) ci si presenta come una superficie piana, fornita di un orizzonte (Horizont) apparente, che abbraccia il suo ambito intero, a cui abbiamo dato il nome di concetto razionale della totalità incondizionata (Vernunftbegriff der unbedingten Totalität). […] Non c’è questione della nostra ragion pura che non riguardi ciò che si trova al di là di questo orizzonte o almeno sulla sua linea-limite (Grenzlinie)12.

Qual è il significato di “linea-limite”? Come si pone il rapporto

tra “orizzonte” e “linea-limite”? Come e perché il concetto di “linea-

limite” assume un ruolo particolarmente significativo nell’analisi del

“concetto cosmico” (Weltbegriff, conceptus cosmicus) di

filosofia? Secondo Kant, la determinazione dei “limiti” della ragione

si configura in un orizzonte negativo come un trattato del metodo

critico-trascendentale, finalizzato sia a costituire una filosofia del

“limite”13, sia a tracciare le “condizioni di possibilità” della

12 Ibid., B 787/A 759.

13 Cfr. A. Gentile, Ai confini della ragione. La nozione di limite nella filosofia trascendentale di Kant, Edizioni Studium, Roma, 2003.

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conoscenza in rapporto ai suoi limiti e alla sua interna struttura

costitutiva: è un esame critico della ragione umana. La Critica della

ragion pura ha la finalità di determinare le “fonti” del sapere umano,

l’estensione dell’uso possibile e utile di ogni sapere e i “limiti” della

ragione. La «determinazione dei limiti della nostra ragione

(Grenzbestimmung unserer Vernunft) – osserva Kant – può avere

luogo esclusivamente in base a principi a priori (nach Gründen a

priori); ma la limitazione della ragione, in quanto costituisce la

conoscenza, se pur indeterminata, di una ignoranza mai totalmente

sopprimibile, può essere riconosciuta anche a posteriori, quando ci si

rende conto che, oltre tutto ciò che si conosce, resta sempre qualcosa

da conoscere»14. Sullo sfondo di queste riflessioni, Kant definisce il

concetto di “linea-limite” (Grenzlinie) in rapporto ad una doppia

analogia: l’analogia della “terra sferica” e l’analogia della “terra

piana”.

Se (stando all’apparenza sensibile) immagino la superficie della terra come una superficie piana, non mi è dato sapere quali siano i confini (Schranken) della sua estensione. Ma l’esperienza mi dice, che mi trovo sempre circondato da uno spazio in cui mi sarà possibile procedere oltre. Mi è dunque dato conoscere di volta in volta i confini (Schranken) in cui è racchiusa la mia conoscenza della terra, ma in nessun caso potrò conoscere i limiti (Grenzen) di ogni sua possibile descrizione. Quando, invece, mi rendo conto che la terra è rotonda, e che la sua superficie è

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14I. Kant, KrV, B 786/A 758.

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sferica, mi è possibile – prendendo le mosse anche da una piccola parte di essa, quale può essere l’ampiezza di un grado – conoscere determinatamente, in base a principi a priori, il relativo diametro, e conseguentemente gli interi confini della terra, cioè la sua superficie. E se anche non conosco gli oggetti che possono giacere su tale superficie, posso conoscere, invece, l’ambito da essa racchiuso, la sua estensione e i suoi confini (Schranken)15.

Mantenendo la distinzione semantica tra Grenzen e Schranken,

vengono distinti due tipi di conoscenza dei limiti della ragione: a)

quando si percepiscono a posteriori i limiti della nostra conoscenza,

perché di volta in volta si avvertono e si definiscono i confini e/o le

barriere (Schranken) percepiti nell’esperienza; b) quando si ha un vera

e propria determinazione a priori dei limiti della nostra conoscenza,

perché si ha la facoltà di esaminare e determinare in un orizzonte

critico i “limiti” (Grenzen) della ragione. È il caso della critica della

ragione, che, secondo Kant, costituisce il punto-chiave della filosofia

trascendentale. Sulla base del metodo critico-trascendentale, infatti,

«non si congetturano soltanto, ma si esaminano e si determinano, in

base a principi, non già semplicemente i confini (Schranken), bensì i

precisi limiti (Grenzen) della ragione»16.

Nella filosofia critica di Kant il problema del “doppio-limite” si

riflette anche nell’uso dei termini latini corrispondenti alla distinzione

15 Ibid., B 788/A 760.

16 Ibid., B 789/A 761.

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linguistico-semantica Grenze-Schranke. Nelle Vorlesungen über

Metaphysik und Rationaltheologie Kant afferma: «Limes (Schranke)

ist unterschieden von terminus (Grenze)»17. Grenze, che traduce il

latino terminus, implica uno spazio di ulteriorità rispetto a ciò che

delimita o racchiude. Al contrario, Schranke che traduce il latino

limes, indica nella sua immediatezza qualcosa di semplicemente

negativo, che si esaurisce di fatto nel segnalare la non compiutezza di

una grandezza. Questa terminologia, che assume un significato

decisivo in Germania durante il Settecento, venne a far parte del

lessico filosofico tedesco proprio grazie alla traduzione dei termini

latini limes e terminus, adottata prima da Leibniz per la sua rilevanza

nel metodo infinitesimale e ripresa successivamente proprio da Kant.

Nella lingua latina, la nozione di limes indica sempre una

negazione, una mancanza, un’assenza, un’imperfezione, mentre

definiamo qualcosa. Al contrario, la nozione di terminus è spesso

connessa al concetto di ratio primitiva e completudo: così il terminus

di una serie è il primo membro della medesima, le cui condizioni di

possibilità sono implicite nel conceptus terminator che si identifica

con il significato del termine Grenzbegriff (concetto-limite)18. In

questo contesto semantico, i limiti (Grenzen) sono «der erste Grund,

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17 I. Kant, Vorlesungen über Metaphysik und Rationaltheologie, AA XXVIII, 2, 1, p. 644, tr. it di A. Rigobello, testo tedesco a fronte, Edizioni S. Paolo, Roma, 1998.

18 Cfr. I. Kant, Reflexionen zur Metaphysik, AA XVII, 3897 e 4033.

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die omnitudo des verknüpften und das letzte subjectum»19. Pertanto,

mentre limes-Schranke sembra indicare la semplice mancanza nella

determinazione del molteplice e/o della totalità, al contrario terminus-

Grenze indica ciò che conferisce determinatezza e compiutezza ad una

cosa. In questo orizzonte semantico, la nozione kantiana di

“limite” (Grenze) rimanda all’eredità aristotelica del termine greco

péras: ciò che porta a compimento e conferisce individualità a

ciascuna cosa. Secondo Aristotele, infatti, le cose sono compiute

proprio perché sono limitate, ovvero finite e/o definite. «Il limite è il

termine estremo di ciascuna cosa, vale a dire quel termine primo al di

là del quale non si può più trovare nulla della cosa e al di là del quale

c’è tutta la cosa»20. Nella filosofia trascendentale di Kant, la nozione

di limite presenta un significato negativo e positivo. Il limite significa

“negazione di continuità”, “negazione d’essere” oppure “negazione di

permanenza”. In questo orizzonte semantico, il limite indica

un’imperfezione, una mancanza, un vuoto, un’assenza: essere

“limitati” significa essere imperfetti e/o essere privi di qualcosa. Ma il

limite non “annuncia” solo la negazione di qualcosa, ma anche un

significato autenticamente e profondamente positivo. In quanto

limitato nella sua corporeità, nella sua razionalità, nel suo essere nel

mondo e nella sua conoscenza, l’uomo rivela un’incancellabile

impronta di complessità dovuta al fatto che, alla radice stessa della sua

19 Ibid., AA XVII, 4415.

20 Aristotele, Metafisica, 1022a, 4, tr. it. di A. Russo, Laterza, Roma-Bari, 2005.

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sostantività, il limite vi si insedia come consistenza della sua

insufficienza. Il limite giace nella sfera dell’esistenza, nella

dimensione più profonda, nel santuario “ontologico” dell’uomo. Ma il

limite non rimane statico o stazionario, ma è dinamico. In qualsiasi

forma o grado di realtà, la funzione del limite è di produrre limitazioni

e nel riconoscimento soggettivo (nella presa di coscienza immediata)

di ogni limitazione si radica la positività del limite. Il dinamismo del

limite in quanto consistenza dell’insufficienza di qualsiasi grado di

realtà e di manifestazione esterna, tocca l’uomo alla radice stessa della

sua sostantività e autenticità e lo abbraccia interamente nell’esercizio

positivo di tutta la complessità e diversità delle sue espressioni sia nel

campo cognitivo-razionale, sia nel campo pragmatico-antropologico.

L’essere dell’uomo si configura come un «essere nel limite»: il limite

giace inevitabilmente nella sfera dell’esistenza, nella dimensione più

profonda della “destinazione” dell’uomo. In questo orizzonte, il limite

e/o i diversi limiti della soggettività, della razionalità e della

conoscenza umana possono essere enucleati nel momento in cui si

prende ad esaminare l’essere dell’uomo: il limite non è una finzione,

un paradosso o un qualcosa di oscuro, di irreale, ma ciò che vi è di più

reale (wirklich) nella vita, nel tempo e nell’esistenza umana. Si tratta

del primo dato avvertibile nell’esperienza: il limite è la prima realtà

che fonda, costituisce e caratterizza la nostra esperienza.

Secondo Kant, in tutti i limiti vi è «qualcosa di positivo»:

consentire il rapporto tra gli spazi delimitati, spazi che acquistano la

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propria costituzione, appunto a partire dal loro rapporto reciproco. In

questo orizzonte, una filosofia del limite è una conoscenza autentica,

reale, positiva: il limite nella sua presenza, nella sua positività, nella

sua “realtà” (Wirklichkeit) divide due campi qualitativamente diversi

(il campo del limitato e dell’illimitato, del possibile e dell’impossibile,

del condizionato e dell’incondizionato, dei phaenomena e dei

noumena) ma, allo stesso tempo, il limite appartiene di fatto sia

all’uno sia all’altro campo: il limite appartiene inevitabilmente e

necessariamente alle due regioni sdoppiate che esso divide.

Quando noi rapportiamo tutti i giudizi trascendentali della ragion pura con l’orizzonte di una ricerca filosofica finalizzata a risalire fino ai concetti che rimangono al limite dell’uso empirico della ragione, noi ci avvediamo che ambedue possono coesistere, ma possono coesistere solo rimanendo sulla linea limite dell’uso legittimo della ragione: perché questa linea appartiene egualmente al campo dell’esperienza come a quello della realtà intelligibile21.

La «linea limite» (Grenzlinie) si costituisce come una linea di

comune appartenenza in cui si incontrano due campi qualitativamente

diversi. Proprio sulla base di questa congiunzione partecipativa, si

muove una filosofia del limite, cioè una filosofia che riflette sul limite,

studiando le oscillazioni semantiche che costituiscono non delle zone

21 I. Kant, Prolegomeni ad ogni futura metafisica che si presenterà come scienza, tr. it. di R. Assunto, Laterza, Roma- Bari, 1995, p. 125.

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d’ombra, ma il campo, l’ambito e il territorio del limite: ciò significa

che «la ragione viene a stabilire un collegamento reale del noto con

l’assolutamente ignoto»22. Come afferma Kant, la conoscenza del

limite, e quindi una filosofia del limite, «è una conoscenza reale

positiva: (eine wirkliche positive Erkenntnis)»23.

5. L’«ORIZZONTE» INDETERMINATO DEL SAPERE E IL CONCEPTUS

COSMICUS DI FILOSOFIA

Secondo Kant, la filosofia

è la scienza della suprema massima nell’uso della nostra ragione, intendendo per massima il principio interno della scelta tra fini diversi. […] La filosofia è la scienza della relazione di ogni conoscenza e di ogni uso della ragione con lo scopo finale della ragione umana, al quale, in quanto fine supremo, tutti gli altri fini sono subordinati e nel quale devono raccogliersi in unità24.

Il «concetto cosmico» (Weltbegriff, conceptus cosmicus) di

filosofia riguarda ciò che interessa necessariamente ogni uomo e

secondo tale concetto la filosofia è la scienza del rapporto di ogni

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22 Ibid, p. 123.

23 Ibid., p. 130.

24 I. Kant, Logica, tr. it. di L. Amoroso, Laterza, Roma-Bari, 2004, p. 19.

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conoscenza con i fini essenziali della ragione umana. In questo

significato cosmopolitico, il “campo” (Feld) della filosofia si può

ricondurre alle seguenti domande fondamentali: a) Che cosa posso

sapere? b) Che cosa devo fare? c) Che cosa mi è dato sperare? d) Che

cos’è l’uomo? Alla prima domanda risponde la metafisica, alla

seconda la morale, alla terza la religione e alla quarta l’antropologia.

Osserva Kant:

In fondo, si potrebbe però ricondurre tutto all’antropologia, perché la prime tre domande fanno riferimento all’ultima. Il filosofo deve dunque sapere determinare: le fonti del sapere umano; l’estensione dell’uso possibile e utile di ogni sapere; e, infine, i limiti della ragione (die Grenzen der Vernunft). L’ultima cosa è la più necessaria, ma anche la più difficile25.

In base a queste riflessioni kantiane si costituisce un nesso

fondamentale sia tra filosofia come sistema “cosmopolitico” e

destinazione dell’uomo, sia tra i fondamenti della “logica”26 e il

problema della determinazione dei “limiti” della ragione. È proprio

nella correlazione semantica tra i limiti della ragione, la logica e le

25 Ibid.

26 Cfr. R. Pozzo, Kant within the Tradition of Modern Logic. The Role of the “Introduction” Idea of a Transcendental Logic, in: «The Review of Metaphysics», December 1998, LII, n. 2, pp. 295-310; W. Vossenkuhl, Das System der Vernunftschlüsse, pp. 232-234, in: AA.VV., System der Vernunft. Kant und der deutsche Idealismus, Band I, Herausgegeben von W. G. Jacobs, H. D. Klein, J. Stolzenberg, Felix Meiner Verlag, Hamburg, 2001 e M. Capozzi, Kant e la logica, Bibliopolis, Napoli, 2006.

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strutture del trascendentale (nell’orizzonte del significato di filosofia

come «conceptus cosmicus») che si costituisce la struttura e la

finalità della filosofia critica. Solo mediante la critica «è possibile

estirpare sin dalle radici il materialismo, il fatalismo, l’ateismo,

l’incredulità dei liberi pensatori, la fantasticheria, la superstizione e

anche l’idealismo e lo scetticismo»27. Chi vuole imparare a filosofare

deve considerare tutti i sistemi della filosofia solo come storia dell’uso della ragione e come oggetti di esercizio del suo talento filosofico. Il vero filosofo deve fare un uso libero, autonomo e critico della propria ragione e non un uso servilmente imitativo. Ma non deve farne nemmeno un uso dialettico, un uso cioè che miri soltanto a dare alle conoscenze una parvenza di verità e saggezza. Questo è il mestiere di chi non è che un sofista e non è assolutamente compatibile con la dignità di un filosofo, in quanto conoscitore e maestro di saggezza. La scienza, infatti, ha un valore intrinseco solo in quanto organo della saggezza. La filosofia è l’unica scienza che chiude per così dire il cerchio scientifico e solo grazie ad essa le scienze acquistano ordine e connessione. Al fine di esercitarsi a pensare in proprio, ossia a filosofare, dovremmo dunque fare attenzione più al metodo del nostro uso della ragione che non alle proposizioni stesse alle quali siamo giunti grazie a quel metodo28.

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27 I. Kant, KrV., B XXXIV.

28 I. Kant, Logica, cit., p. 18.

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In questo orizzonte, la filosofia critica nell’intento di Kant vuole

essere come una «propedeutica filosofica», cioè un esame critico

preliminare che secondo le strutture del trascendentale si traduce e si

attua in un orizzonte teoretico-razionale-cognitivo: tracciare le

«condizioni di possibilità» (Bedingungen der Möglichkeit) della

conoscenza in rapporto ai suoi limiti e in rapporto alla sua interna

struttura costitutiva. L’idea del circuito, cioè dei limiti esterni e

costitutivi dei diversi campi ambiti e limiti di possibilità della

conoscenza si è andata delineando nel pensiero di Kant quando ancora

intitolava la sua opera (la futura Critica della ragion pura): Limiti

della sensibilità e dell’intelletto e immaginava di poterla condurre a

termine in pochi mesi. Poi, si è accorto che per capire, definire e

determinare i limiti della ragion pura doveva definire e organizzare

dall’interno nella sua totalità organica tutto il territorio: cioè

riconoscerne la sua struttura critico-trascendentale. Questa finalità e

questo compito in un orizzonte critico ha richiesto un decennio di

lavoro. È rimasta però nel titolo dell’opera una traccia del primitivo

significato negativo e/o limitativo che deve essere integrato con il

secondo e più positivo significato, se si vuole abbracciare il significato

e la struttura del trascendentale in tutta la sua complessità teoretica.

Critica, dunque, vuol dire non soltanto esame dei limiti, ma anche

dell’interna struttura del sapere. La ragion pura, che forma oggetto

della critica, è denominata nel senso più largo come “fonte” di tutti gli

elementi a priori della conoscenza. Con il nome di conoscenze a

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priori s’intendono quelle conoscenze che sono indipendenti da ogni

esperienza. Pertanto, la determinazione dei “limiti” della ragione è un

esame critico della ragione, delle diverse fonti e condizioni di

possibilità della conoscenza.

Sullo sfondo di queste riflessioni, nella filosofia trascendentale di

Kant, assume un ruolo particolarmente significativo definire e

analizzare i diversi campi, ambiti e limiti di possibilità dei processi

cognitivi e razionali. La positività del limite sta proprio nel

riconoscere la validità e la legittimità di un orizzonte trascendentale

dei diversi campi e condizioni di possibilità che assumono diverse

funzioni e strutture trascendentali. Riconoscere i limiti di queste

diverse condizioni di possibilità significa: a) definire la natura critica

del trascendentale; b) esaminare i limiti di ogni processo cognitivo nel

suo processo dinamico e genetico; c) analizzare criticamente i principi

e le strutture a priori del trascendentale in rapporto alla loro origine,

alla loro deduzione-giustificazione e facendo riferimento ai loro

diversi campi, ambiti e limiti di possibilità; d) orientarsi secondo una

metodologia di ricerca in funzione di una sorta di meta-sapere, di

«possibilità della possibilità», di «filosofia della filosofia». Pertanto,

se la filosofia critica di Kant copre un ambito prevalentemente

formale che potremmo definire come una formalità dinamico-

genetica, tuttavia entra continuamente in rapporto sia con il problema

della determinazione dei limiti del conoscere, sia con la definizione

degli ambiti e dei limiti dei principi puri a priori connaturati nella

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soggettività. In questa prospettiva, si costituisce una filosofia in cui la

razionalità è mutuata dalla riflessione in un orizzonte critico-

trascendentale e riflessivo-trascendentale. Il continuo “risalire” dal

particolare all’universale, dal “condizionato” (Bedingt) alle

“condizioni di possibilità” (Bedingungen der Möglichkeit) è il

processo di ricerca che costituisce e caratterizza il metodo della

filosofia trascendentale di Kant. La filosofia trascendentale è «la

rappresentazione della conoscenza sintetica a priori di concetti

nell’intero sistema dei suoi principi: è un principio delle forme della

conoscenza filosofica: è filosofia della filosofia»29.

6. LIMITI E CONFINI DELLA RAGIONE. IL PROBLEMA TRASCENDENTALE

DEL «DOPPIO-LIMITE»

Il concetto di filosofia trascendentale come «filosofia della

filosofia» si rapporta al problema trascendentale del «doppio-limite».

Questo problema può essere analizzato partendo da una domanda che

Kant stesso pone a conclusione di alcune significative riflessioni sulla

doppia distinzione-relazione «limitato-illimitato» (Begrenzt-

Unbegrenzt) e «possibil i tà-impossibil i tà» (Möglichkeit-

Unmöglichkeit): «Con quale diritto si può impedire alla ragione di

proseguire oltre il campo della possibilità? Dov’è mai il limite in cui

29 I. Kant, Opus Postumum, tr. it. di V. Mathieu, Laterza, Roma-Bari, 2004, p. 367.

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la ragione deve arrestarsi? È davvero possibile determinare in modo

definitivo e rigorosamente necessario il limite tra il campo della

possibilità e dell’impossibilità della conoscenza?»30.

I limiti (Grenzen) – osserva Kant – presuppongono sempre uno

spazio che si trova fuori di un certo determinato luogo e lo racchiude;

i confini (Schranken) non hanno bisogno di ciò, ma sono semplici

negazioni che affettano una grandezza, in quanto non ha completezza

assoluta. La nostra ragione vede (sieht), per così dire, intorno a sé

«uno spazio per la conoscenza delle cose in sé, sebbene non possa mai

averne concetti determinati e sia confinata soltanto entro i

fenomeni»31. Il termine “limite” (Grenze) è utilizzato spesso per

indicare “la linea-limite”(Grenzlinie) oltre cui non risulta possibile

una conoscenza degli oggetti dati nell’esperienza. «Sarà un atto della

ragion pura guidare il suo uso quando essa muovendo dagli oggetti

noti dell’esperienza vuole estendersi oltre tutti i limiti

dell’esperienza» (über alle Grenzen der Erfahrung)32. Al contrario, il

termine Schranke «indica i confini in quanto semplici negazioni che

affettano una grandezza»33. La ragione «sente il bisogno, per la

possibilità di tutte le cose, di presupporre una realtà come data e

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30 I. Kant, Che cosa significa orientarsi nel pensare?, tr. it. di A. Gentile, Edizioni Studium, Roma, 1996, nota a p. 94.

31 I. Kant, Prolegomeni, cit., p. 120.

32 I. Kant, Che cosa significa orientarsi nel pensare?, cit., p. 89.

33 I. Kant, Prolegomeni, cit., p. 120.

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considera la diversità delle cose solo mediante le negazioni ad esse

inerenti come confini (Schranken)»34. Nella filosofia trascendentale di

Kant, il valore semantico dei “limiti” e dei “confini” è costantemente

pensato in rapporto alla distinzione-relazione «possibilità-

impossibilità» della conoscenza. Ma in questo campo è possibile

pensare e determinare i limiti in modo definitivo e necessario?

Finché la conoscenza della ragione è omogenea, non si possono di essa pensare limiti determinati. Nella matematica e nelle scienze naturali la ragione conosce certo dei confini (Schranken) ma non dei limiti (Grenzen), cioè riconosce che vi è fuori di essa qualcosa, a cui essa giammai può arrivare, ma non vede mai se stessa nel suo interno progresso. L’estendersi delle cognizioni matematiche e la possibilità di sempre nuove scoperte va all’infinito, così pure la scoperta di nuove proprietà naturali, di nuove forze e leggi, con il procedere dell’esperienza e con la sua unificazione mediante la ragione35.

In tutti i limiti vi è «qualcosa di positivo». Per esempio, «la

superficie è il limite dello spazio corporeo, e frattanto anch’esso è uno

spazio; la linea è uno spazio che è il limite della superficie; il punto il

limite della linea, ma pur sempre un luogo dello spazio; all’opposto i

confini contengono semplici negazioni»36. Però «come si comporta la

34 I. Kant, Che cosa significa orientarsi nel pensare?, cit., nota a p. 92.

35 Ibid., p. 120.

36 Ibid., p. 122.

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nostra ragione – si domanda Kant – nella connessione di ciò che

conosciamo, con ciò che non conosciamo e neppure non conosceremo

mai?»37. La limitazione del campo dell’esperienza con qualcosa che le

è sconosciuto è pur una «conoscenza che ancora rimane alla ragione in

questo punto, nel quale essa, non chiusa entro il mondo sensibile, ma

neppure vagante fuori di esso, si limita, come conviene ad una

conoscenza del limite, cioè soltanto al rapporto di ciò che sta fuori di

esso con ciò che vi è contenuto»38.

La ragione non rimane confinata all’interno di un

“orizzonte”(Horizont) irraggiungibile perché tutte le questioni della

nostra ragione mirano a ciò che può essere al di là e/o al di fuori di

questo “orizzonte”, o in ogni caso sulla linea del suo limite. Il limite

non è soltanto qualcosa di positivo, ma è anche qualcosa di comune ai

due spazi che esso divide: è qualcosa di comune al mondo fenomenico

e noumenico. Questo qualcosa di comune, che non elimina affatto

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37 Ibid., p. 123.

38 Ibid.

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l’eterogeneità dei due mondi, è un nesso o un «rapporto» (Verhältnis)39:

Vi è qui un nesso reale del conosciuto con un quid completamente sconosciuto, e, quand’anche lo sconosciuto non divenga minimamente più conosciuto, pur deve il concetto di questo nesso poter essere determinato e reso più chiaro40.

Nella Critica della ragion pura il territorio, in cui è possibile la

conoscenza per concetti della ragione, è simile ad un continente di cui

la nostra ragione determina i limiti: questi non possiamo conoscerli se

non come, stando sulla riva, conosciamo l’oceano: cioè come qualcosa

di diverso da noi e che si estende davanti a noi sconosciuto. In questa

prospettiva, è necessario e inevitabile accettare il “limite” come

intrinseco e costitutivo di ogni indagine umana e farne la norma

dell’indagine stessa. Un’indagine di questo genere è l’indagine critica.

Il riconoscimento e l’accettazione del “limite”, che è proprio di

39 Ibid. L’identificazione di “limite” e “rapporto”, particolarmente significativa nella determinazione dei limiti della ragion pura, apre un problema centrale nello studio della filosofia critica di Kant: il problema del «doppio-limite» che si rapporta sia ad uno sdoppiamento del concetto trascendentale di limite sia al doppio-significato dell’ a priori kantiano. Su questo punto, cfr. F.Glauner, Reflexion: der transzendentale Grenzbegriff, pp.96-167, in: F. Glauner, Kants Begründung der «Grenzen der Vernunft», Janus Verlagsgesellschaft, Köln, 1990; R. Zocher, Der Doppelsinn des kantischen Apriori, in: «Zeitschrift für philosophische Forschung», 17, 1963, pp. 66-74; F.Heiner-Klemme, Kants Philosophie des Subjekts, Meiner Verlag, Hamburg, 1996 e A. Rosales, Sein und Subjektivität bei Kant, De Gruyter, Berlin, 2000.

40 I. Kant, Prolegomeni, cit., p. 123.

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ciascuna nostra facoltà diventa in Kant la norma che dà loro validità e

fondamento. In tutti i limiti vi è «qualcosa di positivo»: consentire il

rapporto tra gli spazi delimitati, spazi che acquistano la propria

costituzione, appunto a partire dal loro rapporto reciproco. Il concetto

di limite determinato in un orizzonte critico pone la relazione tra i

diversi campi, ambiti e limiti di possibilità delle facoltà della ragione.

Se lo “sguardo” immediato della ragione partendo dai suoi principi e

interessi naturali realizza di fatto una qualche compiutezza, allora è

possibile definire e determinare i limiti della ragione. Definire,

riconoscere e ricomprendere i limiti sono i tre momenti che

costituiscono il processo di ritorno della riflessione trascendentale

all’interno dell’esperienza. In senso trascendentale, ciò che non può

essere esibito si esibisce in un apparente paradosso: nel «vedere»,

come afferma Kant, «ciò che manca»:

La ragione non sente (fühlt); essa vede (sieht) ciò che le manca, e il sentimento del bisogno (das Gefühl des Bedürfnisses) agisce mediante la spinta della conoscenza (Erkenntnistrieb)41.

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41 I. Kant, Che cosa significa orientarsi nel pensare?, cit., nota a p. 95.