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IURIS Journal for Legal Science Zeitschriſt für die Rechtswissenschaſt 7/2019/Nr. 2 Právnická fakulta Trnavskej univerzity v Trnave TRNAVA

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  • I u r I s

    Journal for Legal scienceZeitschrift für die rechtswissenschaft

    7/2019/Nr. 2

    Právnická fakulta Trnavskej univerzity v Trnave

    TrNava

  • Forum iuris Europaeum – recenzovaný časopis pre právnu veduJournal for Legal ScienceZeitschrift für die Rechtswissenschaft

    Editor-in-chief/Chefredakteur/Hlavný redaktor:doc. JUDr. Mgr. vojtech vladár, PhD.

    Editors and proofreaders/sprachredakteure und redakteure/Editori a korektori:andrew BillinghamMgr. Martin Bulla, PhD.Mgr. Marek Káčer, PhD.PhDr. Jitka Madarásovádoc. JUDr. Marianna Novotná, PhD.doc. JUDr. Mgr. vojtech vladár, PhD.

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    © Trnavská univerzita v Trnave, Právnická fakulta 2019

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    doc. JuDr. Miriam Laclavíková, PhD.Trnavská univerzita v Trnave, Slovenská republikaTrnava University in Trnava, Slovak republicDoz. Dr. sc. Aleksandra MaganićSveučilište u Zagrebu, republika HrvatskaUniversity of Zagreb, republic of CroatiaProf. Dr. Dušan NikolićUniverzitet u Novom Sadu, republika SrbijaUniversity of Novi Sad, republic of Serbiaprof. JuDr. Mária Patakyová, Csc.Univerzita Komenského v Bratislave, Slovenská republikaComenius University in Bratislava, Slovak republicprof. JuDr. Ivan Šimovček, Csc.Trnavská univerzita v Trnave, Slovenská republikaTrnava University in Trnava, Slovak republicprof. doc. JuDr. Marek Šmid, PhD.Trnavská univerzita v Trnave, Slovenská republikaTrnava University in Trnava, Slovak republicem. o. univ. – Prof. DDr. h. c. Dr. rudolf WelserUniversität Wien, republic ÖsterreichUniversity of vienna, republic of austria

  • Contents/Inhalt/Obsah

    I. Articles/Aufsätze/Články

    Marek Švec/Andrea OlšovskáPristúpenie k podnikovej kolektívnej zmluve ........................................................................ 5

    Dominika KučerováDomáce násilie ........................................................................................................................... 17

    Branislav BorovskýNiektoré aspekty vzťahov medzi prirodzeným a pozitívnym právom. Prehľad škôl a komparácia Dekalógu s osobitnou časťou slovenského Trestného zákona ..................... 29

    Francesco Alberto santulliLe Istituzioni di Gaio attraverso la constitutio textus dei suoi apografi .............................. 57

    Lenka VráblováEutanázia v slovenskom trestnom a kánonickom práve ...................................................... 77

    II. science news/Aus dem wissenschaftlichen Leben/Z vedeckého života

    Martin GregorSpráva z konferencie „verejné právo na Slovensku a v Európe – aktuálne problémya rímsko-kánonické súvislosti“ ................................................................................................ 89

    III. reviews/rezensionen/recenzie

    Vojtech VladárGregor, Martin: rímsky štát a právo za vlády cisára augusta ............................................. 93

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    Francesco Alberto Santulli

    Le Istituzioni di Gaio attraverso la constitutio textus dei suoi apografi

    Abstract: Le Institutiones di Gaio rappresentano il più importante manuale elementare di diritto romano di età classica. Il presente lavoro è finalizzato a delineare il modus operandi seguito da Eduard Böcking e Wilhelm Studemund nella realizzazione dei rispettivi apografi dell’opera gaiana. Dopo avere ricostruito le vicende che hanno portato alla nascita, da un lato, dell’apografo di Böcking del 1866, e dall’altro, del più pregevole apografo studemundiano del 1874, cui devono aggiungersi i fondamentali Supplementa del 1884, si rileva come a offrire la migliore trascrizione del Codice veronese Xv (13), che racchiude le Gai Institutiones, sia proprio l’opera di Studemund.

    Parole chiave: Gaius – Institutiones – Studemund – Böcking – Codice veronese

    1 La maggiore affidabilità dell’apografo studemundiano rispetto all’opera di Böcking

    Tra le opere ascritte a Gaio e giunte fino a noi spiccano, per ovvie ragioni, le Institutiones. Primo esempio di una trattazione sistematica dei principi del diritto privato romano

    secondo un organico piano generale1, sembra fatale che come il loro autore restò quasi ignorato dai giuristi coevi che di lui ci hanno consegnato il solo praenomen, allo stesso modo il suo fondamentale lascito giuridico sia rimasto silente fino al principio del XIX secolo.

    Sono passati poco più di duecento anni dal ritrovamento del Codice palinsesto Xv (13) all’interno della Biblioteca Capitolare di verona e numerosissime sono le edizioni del testo che si sono susseguite2. Eppure, come è noto, all’incirca il 12 % del manoscritto non è stato ancora decifrato3 e, in verità, diverse questioni permangono irrisolte in ordine alla corretta lettura da assegnare a passaggi controversi.

    a fissare la migliore trasposizione della scriptura prior del palinsesto hanno contribuito due autorevoli studiosi: da un lato, Eduard Böcking, con l’apografo del 18664; dall’altro, Wilhelm Studemund, autore dell’apografo del 18745 e dei Supplementa di appena dieci anni dopo6. Come vedremo nel corso della trattazione, sono in particolare le opere studemundiane a costituire tuttora la base imprescindibile ai fini della conoscenza del Gaio veronese.

    Il Codice in quarto Xv (13) è composto da 127 fogli, di cui 125 appartenevano fin dal principio al manoscritto gaiano mentre il primo e l’ultimo (folia 1 e 127), privi di scrittura, sono stati usati solo per la sua fabbricazione e non presentano alcuna corrispondenza

    1 Così, OrESTaNO, r.: s. v. Gaio. In Novissimo Digesto Italiano, vII. Torino : Utet, 1957, p. 733.2 Si veda al riguardo MaNTHE, U.: Gaio, il veronese e gli editori. In AUPA. LvII (2014), 355 p.3 araNGIO-rUIZ, v./GUarINO, a.: Introduzione. In Breviarium iuris romani. Milano : Giuffrè, 1943, p. 8.4 BÖCKING, E.: Gai Institutiones Codicis Veronensis Apographum ad Goescheni Hollwegi Bluhmii Schedas

    Composuit Scripsit Lapidibusque Exceptam Scripturam publicavit Eduardus Böcking. Lipsia : Hirzel, 1866.5 STUDEMUND, G.: Gaii Institutionum Commentarii quattuor. Codicis Veronensis denuo collati apographum

    confecit et iussu Academiae regiae scientiarum Berolinensis edidit Guilelmus Studemund, Lipsia : Hirzel, 1874.6 Idem: Supplementa ad Codicis Veronensis Apographum Studemundianum composuit Guilelmus Studemund.

    In KrUEGEr, P./STUDEMUND, G.: Gai Institutiones ad Codicis Veronensis Apographum Studemundianum novis curis auctum. In usum Scholarum iterum ediderunt Paulus Krueger et Guilelmus Studemund. Insunt Supplementa ad Codicis Veronensis Apographum Studemundo composita. Berolinum : Weidmann, 1884.

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    58 Francesco Alberto Santulli

    o adesione né tra loro né con i fogli vicini. Dei 125 folia del nostro codice7, 61 sono fogli doppi e 3, invece, fogli singoli: si hanno pertanto 250 pagine ascrivibili al codice gaiano. Devono aggiungersi a queste le due pagine del Fragmentum de praescriptionibus et interdictis, ora folium 128 del Codice Xv (13), per un totale di 252 pagine. Le pergamene gaiane sono ricomprese in sedici fascicoli, quindici quaternioni e un quinione finale.

    Come è noto, il testo delle Istituzioni di Gaio – escluso il non rescritto Fragmentum de praescriptionibus et interdictis – venne ricoperto, probabilmente nell’ottavo secolo8, dalle lettere di San Girolamo e da altre opere patristiche9. Tuttavia, all’incirca un quarto dell’intero codice non è stato riscritto una sola volta, bensì due, e peraltro sulla stessa riga, con la conseguenza che una scriptura ha coperto l’altra10. Dei citati 127 fogli sono infatti ter scripti i fogli 60, 62–68, 71, 73–80, 113–117, 119, 120 e 122–125; allo stesso modo il rectum dei fogli 81 e 126, il versum del foglio 72 e infine le righe 1–13 del foglio 81v e le righe 14, 15, 22, 23 e 24 del foglio 118v. Gli altri fogli – eccetto come già chiarito l’1 e il 127 – sono bis scripti11.

    Si cela nei fogli ter scripti una duplice scriptura: la prima è quella originaria, più antica, che contiene le Istituzioni gaiane ed è databile al quinto secolo12; le altre due sono ascrivibili

    7 Sia consentito parafrasare l’excerptum tratto da Pomp. D. 45,3,39 ascritto a Pomponio: non sine ratione est, quod Gaius noster dixit. al riguardo si segnala PUGLIESE, G.: Gaio e la formazione del giurista. In Il modello di Gaio nella formazione del giurista. Atti del convegno torinese 4–5 maggio 1978 in onore del Prof. Silvio Romano. Milano : Giuffrè, 1981, p. 4, n. 6, secondo cui „Esso [n.d.r. l’excerptum in parola] si spiega, se scritto da Giustiniano o Triboniano, poiché l’imperatore e il suo ministro si sentivano legati a Gaio da un particolare rapporto; non si spiegherebbe invece nella penna di Pomponio, che non cita Gaio in nessun altro luogo e non risulta affatto intrinseco di questo autore, non potendo in proposito bastare il fatto, segnalato da HONOrÉ, a. M.: Gaius – A Biography. Oxford : Clarendon Press, 1962, pp. 3ss., che Pomponio stesse scrivendo un’opera ad Q. Mucium e che un’analoga opera sia stata scritta (ma non si sa se prima o dopo quella di Pomponio) da Gaio“.

    8 In questo senso, STUDEMUND, G.: op. cit. 5, pp. v–vI; STEFFENS, F.: Lateinische Paläographie. 125 Tafeln in Lichtdruck mit gegenüberstehender Transkription nebst Erläuterung und einer systematischen Darstellung der Entwicklund der lateinischen Schrift2. Berlin – Leipzig : Walter de Gruyter, 1929, tav. 18; LOWE, E. a.: verona, Xv (13). Onciale, sec. v. In Codices latini antiquiores. Oxford : Clarendon Press, 1947, p. 24, n. 488; idem: Il Codice veronese di Gaio. In Atti del Congresso nazionale di diritto romano e di storia del diritto. Verona 27,28,29–IX–1948, I. a cura di G. Moschetti. Milano : Giuffrè, 1953, p. 5; NELSON, H. L. W.: Überlieferung, Aufbau, und Stil von Gai Institutiones. Leiden : E. J. Brill, 1981, p. 4, n. 6; CaLaBrESE, F.: Biblioteca Capitolare Verona. a cura di a. Piazzi. Firenze : Nardini, 1994, p. 62; SPaGNOLO, a.: I Manoscritti della Biblioteca Capitolare di Verona. Catalogo descrittivo redatto da Antonio Spagnolo. a cura di Silvia Marchi. verona : Mazziana, 1996, pp. 64s.; BOYLE, L. E.: Paleografia Latina Medievale. Introduzione bibliografica. Trad. it. di M. E. Bertoldi. roma : Quasar, 1999, p. 89.

    9 Per una completa descrizione dei testi sovrascritti si veda rEIFFErSCHEID, a.: Bibliotheca patrum latinorum Italica. vienna : K.K. Hof- und Staatsdruckerei, 1865 (rist. Hildesheim : Olms, 1976), pp. 69s.

    10 Inizialmente Göschen riteneva per errore che le pagine bis rescriptae fossero 63; cf. GÖSCHEN, J. F. L.: Über die veronesischen Handschriften, Bericht des Herrn Goeschen. In Abhandlungen der philosophischen klasse der Königlich-Preussischen Akademie der Wissenschaften aus den Jahren 1816–1817. Berlin : realschul-Buchhandlung, 1819, p. 312; idem: Gaii Institutionum Commentarii IV1. E codice rescripto Bibliothecae Capitularis Veronensis Auspiciis Regiae Scientiarum Academiae Borussicae nunc primum editi a I. F. L. Goescheni accedit Fragmentum veteris iurisconsulti de iure fisci ex aliis eiusdem Bibliothecae membranis transcriptum. Berolinum : reimer, 1820, p. XXI, n. 13–14: una enim et sexaginta paginae integrae, dua ex parte, bis rescriptae sunt. Nella seconda edizione, in seguito allle correzioni effettuate da Bluhme, Göschen diminuì le pagine bis rescriptae a  60; cf. idem: Gaii Institutionum commentarii IV2. E codice rescripto Bibliothecae Capitularis Veronensis a Frid. Bluhmio iterum collato secundum edidit Io. Frid. Lud. Goeschen. Accedit fragmentum ueteris iurisconsulti de iure fisci ex aliis eiusdem Bibliothecae membranis transcriptum. Berolinum : reimer, 1824, p. XXIII, n. 14–15.

    11 STUDEMUND, G.: op. cit. 5, p. v.12 La quaestio relativa alla datazione del veronese è connessa biunivocamente alla datazione della scrittura

    onciale impiegata dai copisti del manoscritto. Lo studioso Ulrich Friedrich Kopp – KOPP, U. F.: Ueber das

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    59Le Istituzioni di Gaio attraverso la constitutio textus dei suoi apografi

    all’ottavo secolo e contengono entrambe in larga parte il testo delle lettere di San Girolamo. al fine di rendere evidenti le discrasie sussistenti tra i  due apografi del veronese,

    nonché motivare le scelte che portano a  concordare sulla maggiore affidabilità dell’opera di Studemund a fronte del lavoro svolto da Böcking, occorre tracciare incidenter tantum il percorso editoriale delle Institutiones di Gaio.

    L’editio princeps venne alla luce nel 1820 presso l’editore reimer di Berlino13. Il primigenio lavoro di decifrazione, che portò alla edizione appena menzionata, unitamente alla susseguente opera di revisione e correzione, sono rifluiti nel Ms. lat. fol. 308 conservato alla Staatsbibliothek di Berlino14.

    I  lavori compiuti alla Capitolare, pur svelando alla scienza romanistica orizzonti del tutto nuovi, non potevano considerarsi in principio pienamente soddisfacenti. Da un lato, ai folia ter scripti non era stato possibile dedicare la dovuta attenzione a causa di ristrettezze

    alter der veronesischen Handschrift des Gajus. In ZgRW. Iv (1820), p. 480 – fu il primo a stabilire taluni punti fermi in merito: 1) il manoscritto gaiano doveva considerarsi più antico della Littera Florentina; 2) le sigle abbreviative che conteneva erano molto frequenti; 3) non vi era alcuna ragione paleografica per cui dovesse escludersi una datazione pregiustinianea; 4) era molto improbabile che, a compilazione giustinianea ormai avvenuta, qualcuno avesse sentito l’utilità di trascrivere Gaio. Lo studioso analizzò anche le ragioni a  contrario rispetto alla ricostruzione appena delineata. In seguito, anche Studemund ha ipotizzato una datazione pregiustinianea, propendendo per il v secolo d. C., e molti altri studiosi si sono espressi in tal senso. Si veda STUDEMUND, G.: op. cit. 5, p. XX: Cui saeculo tribuendus sit codex Gaianus, certo dici nequit. Quem tamen ante Iustiniani praeceptum exaratum esse, quo tachygraphorum studia restincta sint, docti et prudentes harum rerum existimatores uolunt. Neque confidentius de libro archetypo, ex quo Veronensis saeculo p. Chr. n. quinto descriptus uidetur esse, iudicium ferri potest; constat tamen archetypum ea aetate exaratum fuisse, qua artis notandi studia laetissime uigerent. Cf. anche THOMPSON, E. M.: An introduction to Greek and Latin Palaeography. Oxford : Clarendon Press, 1912, pp. 66 e 299; STEFFENS, F.: op. cit. 8, tav. 18; BaTTELLI, G.: Lezioni di paleografia4. Città del vaticano : Libreria editrice vaticana, 1999, p. 193, n. 4; BOYLE, L. E.: op. cit. 8, p. 89, n. 576.

    13 GÖSCHEN, J. F. L.: op. cit. 10. Si evidenzia come, nella prefazione dell’opera, Göschen tratti diffusamente delle regole ortografiche in base a cui il testo latino venne normalizzato; tali regole erano quelle dell’epoca dello studioso, quindi differenti rispetto al latino contenuto nel Codice veronese. In alcuni casi ci si attenne alla duplice forma che lo stesso vocabolo presentava nel manoscritto, mantenendo intatta la forma originale (così, ibid., p. XLIII, praegnas e praegnans, cottidianus, condicio, conuicium, cessicius, dediticius, gentilicius, transcripticius, redducere, eis e iis, cena, erciscere e herciscere, prehendere e prendere, diminutus, diminutio e deminutio, deminutus, deminuere). In altri casi, posto che nel manoscritto erano presenti, per lo stesso termine, due diverse forme, quando questo era scritto in forma abbreviata si decise di prediligere la forma più ricorrente in cui esso era stato reso (così, si decise di sciogliere sempre in aput e sed le abbreviazioni dei predetti termini, cf. ibid., p. XLIv, n. 30). Quanto invece alla già menzionata normalizzazione del testo, Göschen curò precise e sistematiche correzioni ortografiche al latino del palinsesto, per esempio modificando i verbi e le parole precedute da ad (cf. ibid., p. XLIv) ovvero inserendo nella versione editoriale vocaboli che nel manoscritto erano resi in forma diversa (come quidquid, intellegere, epistula, litterae, oblitteratus, tamquam, extiti, imperium, auctor, auctoritas (cf. ibid., pp. XLIv–XLv). Da ultimo, giova ricordare che le integrazioni editoriali erano segnalate racchiudendo le stesse tra asterischi, uno posto all’inizio del lacerto, l’altro alla fine; i caratteri lacunosi erano indicati con asterischi [*] ove era chiaro quanti fossero i singoli caratteri mancanti, oppure, in caso contrario, con trattini di varia lunghezza [ ___,_________ ], (cf. ibid., p. LIII).

    14 Nello specifico, il manoscritto in parola è composto da tre gruppi di schede: il primo è rappresentato dal c.d. Brouillon (la brutta copia) e dalla c.d. reinschrift (la bella copia: „das Original“, secondo gli accademici prussiani del periodo) delle schede dei primi tre trascrittori, Göschen, Immanuel Bekker e Mauritz august Bethmann-Hollweg; il secondo gruppo consta dell’apografo del Fragmentum de iure fisci realizzato da Göschen e Bethmann-Hollweg; il terzo, infine, comprende le schede di Friedrich Bluhme. Si veda sul punto vaNO, C.: Il nostro autentico Gaio. Strategie della Scuola Storica alle origini della romanistica moderna. Napoli : Editoriale scientifica, 2000, p. 187 (= Der Gaius der Historischen Rechtsschule. Eine Geschichte der Wissenschaft vom römischen Recht. Frankfurt am Main : Klostermann, 2008, p. 158).

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    60 Francesco Alberto Santulli

    temporali, e dall’altro, la pubblicazione della prima edizione fu foriera di innumerevoli studi nei quali la dottrina giuridica avanzò proposte correttive e integrative dei lacerti del Codice15. La revisione del testo gaiano, così come questo era stato reso nella versione goescheniana, poteva quindi aversi solo attraverso la collazione tra l’edizione predetta e un nuovo esame autoptico del Codice veronese.

    Di tale compito si rese promotore Bluhme16. Sfortunatamente, egli ritenne che per compiere la difficile impresa avrebbe dovuto far uso di un reagente chimico ben più aggressivo della noce di galla dei trascrittori precedenti17. L’utilizzo – per nulla caute prudenterque – della c.d. tintura Giobertina18 danneggiò vistosamente le pergamene che, recando già i segni lasciati dalla noce di galla, divennero in vari punti prima bluastre e poi di colore nero19, creando peraltro una sorta di „miscela corrosiva che nel corso del tempo ha deteriorato ulteriormente il manoscritto“20.

    a onta di ciò, alle schede di Bluhme – e invero all’intero Ms. lat. fol. 308 in cui esse, insieme ad altre, sono contenute – si fece comunque largo ricorso in seno alla romanistica. La quasi totalità delle edizioni immediatamente successive a quella del 1820, infatti, furono realizzate sulla sola base dei lavori berlinesi, compresa l’edizione critica di Karl Lachmann del 1842, rilevante in quanto prima editio curata interamente da un filologo21. Questi completò la sua opera non compulsando direttamente il Codice Xv (13), bensì basandosi in via esclusiva sulle schede di Göschen, Bethmann-Hollweg e Bluhme.

    15 Ex multis, KOPP, U. F.: op. cit. 12, pp. 473s.; HaUBOLD, C.: Oratio qua ostenditur quantum fructum ceperit iurisprudentia romana et universa antiquitatis cognitio e recens inventis Gaii Institutionibus genuinis habita die II Maii anno MDCCCXX. Lipsia : Barth, 1820, (= in WENCK, C. F.: Opuscola academica, I. Lipsia : Knobloch, pp. 655s.); OTTO, C. E.: Tentamina ad Gaium. Leipzig : reclam, 1821; GaNS, E.: Scholien zum Gaius. Berlin : Dümmler, 1821; WICHErS, B.: Disputatio juridica inauguralis, ad locum Gaii de tutelis. Groningae : Hoitsem, 1822; DE USLar, E. G.: Inauguralis Dissertatio forensis de iure civili ex genuinis Gaii commentariis hauriendo scripsit Arminius Guilelmus de Uslar. Gottinga  : Herbst, 1823; SCHraDEr, E.: Was gewinnt die römische Rechtsgeschichte durch Cajus Institutionen? Heidelberg : august Ofswald’s Universitäts-Buchhandlung, 1823; ELvErS, C. F.: Promptuarium Gaianum sive Doctrina et Latinitas quas Gaii Institutiones et Ulpiani fragmenta exhibent, in alphabeti ordinem redactae. Gottinga : vandenhoeck & ruprecht, 1824; DIrKSEN, H. E.: Ueber die Schulen der römischen Juristen in Beiträge zur Kunde des Römischen Rechts. Leipzig  : Hinrichsische Buchhandlung, 1825 e BOULET, J. B. E.: Institutes de Gaius récemment découvertes dans un palimpseste de la bibliothèque du Chapitre de Vérone, et traduites pour la première fois en français, avec des notes destinées à faciliter l’intelligence du texte. Paris : Mansut, 1827. Per una più vasta bibliografia sul punto si veda GLaSSON, E.: Étude sur Gaius et sur quelques difficultés relatives aux sources du droit romain. Parigi : Pedone, 1885 (rist. roma : L’Erma di Bretschneider, 1965).

    16 Cf. NELSON, H. L. W.: op. cit. 8, pp. 6–9 e COMa FOrT, J. M.: Índice comentado de las colecciones de fuentes del Corpus iuris civilis. Pamplona : Editorial aranzadi, pp. 261–263.

    17 BLUME (alias BLUHME), F.: Iter Italicum, Iv. Halle : anton, 1836, pp. 260s.18 La cui composizione è la seguente: acqua, parti 15; ferrocianuro di potassio, parti 1; acido muriatico, parti 1. Cf.

    CIPOLLa, C.: Dell’impiego della noce di galla per ristorare i caratteri obliterati. In Miscellanea di studi storici in onore di Antonio Manno, I. Torino : Fratelli Bocca, 1912, pp. 1s.

    19 STUDEMUND, G.: op. cit. 5, p. XIII. Dopo svariati decenni dall’esperienza veronese, Bluhme ammetterà però i suoi errori. Si veda BLUHME, F.: Pälaographische und kritische Miscellen. In Zeitschrift fur rechtegeschichte. III (1864), p. 451.

    20 In questo senso, BrIGUGLIO, F.: Il Codice Veronese in trasparenza. Genesi e formazione del testo delle Istituzioni di Gaio. Bologna : Bononia University Press, 2012, p. 199.

    21 LaCHMaNN, C.: Gaii Institutionum commentarii quattuor. Ex membranis deleticiis Veronensis Bibliothecae Capitularis eruit Io. Frid. Lud. Goeschen. Accedit veteris iurisconsulti de iure fisci fragmentum ex aliis eiusdem Bibliothecae membranis transcriptum. Carolus Lachmannus ad schedas Goeschenii Hollwegii Blumii recognovit. Goescheniana editio tertia cum tabulis aeris incisis. Berolinum : reimer, 1842.

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    61Le Istituzioni di Gaio attraverso la constitutio textus dei suoi apografi

    Cionondimeno, la dottrina maggioritaria non ha mai considerato le schede particolarmente affidabili22, e neppure lo stesso Bluhme – come ricorda Studemund – riconobbe a  talune di esse piena fiducia23. Per di più, a  criticare alacremente l’allievo di Savigny fu proprio Studemund, secondo cui talvolta Bluhme era incespicato nel tipico errore di coloro che si avvicinano per la prima volta alla decifrazione di un codice palinsesto: tratti in inganno dalle ombre che si intravedono dal verso del foglio, confondono queste con il testo presente invece sul recto e credono fallacemente di decifrare taluni caratteri invero inesistenti24. Studemund ravvisava l’esempio più significativo di tale svista a pagina 5 (folium 75r) del Codice gaiano, un foglio ter scriptus martoriato dai reagenti chimici25.

    Ora, ai nostri fini preme maggiormente evidenziare che gli errori tralatizi di cui sono portatrici le schede goescheniane e bluhmiane non si arrestano alle versioni editoriali, ma si estendono finanche a entrambi gli apografi del Codice veronese, specie a quello di Böcking.

    È incontestato che costui, per realizzare il primo apografo del veronese edito nel 1866, non si recò a  verona ove era conservato il manoscritto gaiano delle Institutiones al fine di eseguirne un’analisi de visu, ma preferì piuttosto recarsi a Berlino per prendere visione delle predette schede. Di talché sono rifluite inevitabilmente nel suo apografo le medesime imprecisioni contenute in tali lavori. Ciò non toglie che il giurista tedesco si dedicò in maniera indefessa e con solerzia nella trasposizione del palinsesto, affinché ne risultasse quantomeno una sua genuina rappresentazione, di cui gli studiosi si servirono in seguito come guida direttiva nell’affrontare la controversa questione gaiana26. Su questa linea si è posto altresì Manthe, secondo cui „Böcking ha cercato di imitare a mano nel modo più preciso possibile la scrittura inferiore del codice, specificando per ogni linea con uno o due punti se le lettere

    22 vON BETHMaNN-HOLLWEG, M. a.: Gai Institutiones. Codicis Veronensis apographum ad Goescheni, Hollwegi, Bluhmii schedas compositum scripsit lapidibusque exceptam scripturam publicavit Eduardus Böcking. Prostat Lipsiae apud Sal. Hirzelum 1866. In Zeitschrift fur rechtegeschichte. v (1866), p. 366: „Was die Bluhmeschen Scheden betrifft, so halte Ich das Ergebniss ganzer Sätze und Worte, welche sie enthalten, für ein durchaus gesichertes; die einzelnen Buchstaben oder Zeichen scheinen mir öfter der Handschrift abgezwungen und insofern eine freiere Behandlung zuzulassen“; BrIGUGLIO, F.: La prima trascrizione delle Istituzioni di Gaio. Il Codex DCCCIX (DCCCXIII) Gaii Institutionum Libri della Biblioteca Capitolare di Verona. Bologna : Bononia University Press, 2013, p. 19.

    23 STUDEMUND, G.: op. cit. 5, p. XIII: Quae ex schedis Bluhmianis, quibus ne ipse quidem multum auctoritatis tribuit.

    24 Ibid., pp. XIII–XIv.25 Si veda il giudizio di Studemund sulla lezione offerta da Bluhme per tale passo, ibid., p. 5: in pagina exteriore

    nunc nullae fere litterae supersunt: adeo enim usque aquae medicamentorumque ui extenuatae sunt, ut iam Goeschen nihil legerit. Bluhme tamen etsi nouo medicamento non adhibito hanc litterarum farraginem quam supra repetiui conspexisse sibi uisus est. Sed post diutinum laborem ipse ne unam quidem harum litterarum cognoscere potui; immo hoc adseruare possum multis in locis aut omnia fallere aut ne posse quidem Bluhmianas litteras in cod. extitisse: ut fortasse grauiore aliquo errore schedas notarum quae ad aliam quamlibet paginam pertinerent ad hanc translatas esse subnascatur suspitio. Inoltre, lo stesso Studemund evidenzia nei suoi successivi Supplementa che, dopo la pubblicazione dell’apografo del 1874, Bluhme aveva specificato a Krueger di essere ben consapevole del fatto che le proprie letture relative alla pagina 5 del Codice non erano di alcun aiuto per la ricostruzione dei lacerti della pergamena, e che comunque quella scheda in particolare era finita solo per una svista tra quelle che aveva spedito da verona verso la Germania. Sul punto, STUDEMUND, G.: op. cit. 5, p. XX. Cf. anche MaNTHE, U.: op. cit. 2, p. 362, n. 49. Deve comunque ricordarsi che le schede di Bluhme sono giunte fino a noi solo in parte, poiché quelle concernenti la seconda metà del terzo commentario e tutto il quarto sono andate perdute. Cf. STUDEMUND, G.: op. cit. 5, p. XIII, secondo cui si tratterebbe della maggior parte delle schede; Studemund inoltre ricorda che lo stesso Bluhme trattò della scomparsa in Zeitschrift fur rechtegeschichte. III (1864), pp. 446s. Si veda anche NELSON, H. L. W.: op. cit. 8, p. 8.

    26 Meriti peraltro riconosciuti anche da STUDEMUND, G.: op. cit. 5, p. XIv.

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    62 Francesco Alberto Santulli

    lette erano state coperte in maggiore o minore misura dalla scrittura superiore e indicando alla fine di ogni pagina colui che aveva decifrato le lettere“27.

    Sebbene siano pacifici l’impegno, la perseveranza nonché l’abilità nell’arte della trascrizione di Böcking, a rappresentare i veri limiti dell’opera in parola non risulta tanto la mancata fedele fotografia del Codice veronese cui egli tendeva, quanto piuttosto la constatazione, già introdotta in limine, che l’apografo, sintetizzando in sé i risultati spesso non del tutto affidabili di Göschen, Bethmann-Hollweg e Bluhme, sia foriero a sua volta di numerosi errori28.

    a riprova di quanto appena affermato può confrontarsi materialmente il primo apografo del veronese con il successivo e più preciso testo di Studemund edito nel 1874. Mi permetto allora di rimandare alla ricerca da me realizzata con l’obiettivo di esaminare sinotticamente le opere dei due studiosi attraverso un’analisi condotta folium per folium e carattere per carattere, e così individuare tutte le modifiche riscontrabili tra i diversi apographa, nonché gli errori più frequenti contenuti nell’apografo di Böcking29.

    a  seguito dell’analisi emersa in sede di confronto dei due apografi, si evince che nell’apografo di Böcking è presente una gigantesca e tangibile mole di errori. Ma i tanti refusi non devono oltremodo stupire posto che, per realizzare il suo Apographum, Böcking non eseguì una lettura diretta del Codice Xv (13) a verona, ma si diresse a Berlino a compulsare le schede di Göschen, Bethmann-Hollweg e di Bluhme. Orbene, le lezioni contenute nell’apografo del 1866 discendono dal lavoro che fu compiuto dai primi trascrittori e ne rappresentano l’espressione più diretta, e pertanto, pur contenendo lezioni che possono tuttora risultare utili ai fini di uno studio consapevole del palinsesto gaiano30, sono però caratterizzate da una mole di refusi e omissioni per nulla indifferente.

    Non si tratta di qualche svista che infelici casu talora fa capolino nel testo, bensì, come si è detto, di svariati errori facilmente documentabili. Ed è rischioso, quindi, tentare di conferire alle predette schede un’auctoritas e una portata superiore a quella che effettivamente hanno, sulla base dell’argomento secondo cui esse sarebbero state compiute quando il manoscritto era in uno stato migliore di conservazione e la sua leggibilità non ancora compromessa. Per di più, che le schede siano infarcite di errori di vario genere è dimostrato non solo dalle correzioni apportate da Studemund, ma anche dalla nuova lettura del Codice veronese offerta dalle più moderne tecnologie31. Queste rilevazioni inducono gli studiosi del manoscritto di Gaio che vogliano tenere comunque in considerazione le lezioni offerte da queste schede a non fare loro cieco e generico affidamento, bensì ad approcciarvisi caso per caso e con prudenza assoluta.

    27 MaNTHE, U.: op. cit. 2, pp. 373–374.28 Secondo BrIGUGLIO, F.: op. cit. 20, p. 206, l’apografo di Böcking non rappresenta „un esempio di precisione“,

    poiché è basato sulle Schede di Göschen e di Bluhme che contengono un grande numero di errori; cf. anche idem: op. cit. 22, p. 19.

    29 SaNTULLI, F. a.: ricerche sul testo del Codice veronese delle Institutiones di Gaio: gli apografi di Wilhelm Studemund e Eduard Böcking a confronto e gli interventi editoriali di Theodor Mommsen. In Legal Roots. The International Journal of Roman Law, Legal History and Comparative Law. v (2016), pp. 319–354.

    30 a onor del vero, vi sono dei casi in cui le schede dei primi trascrittori contengono una lettura più corretta rispetto a quella studemundiana. In questo senso, cf. BrIGUGLIO, F.: op. cit. 22, pp. 19s.

    31 In particolare (ibid., p. 18, n. 13), è stato osservato che, se si effettua una verifica paleografica su ampie parti del Codice veronese – e non semplicemente circoscritta a piccoli lacerti – si evidenzia come „moltissimi errori di trascrizione contenuti nelle Schede si annidano proprio in parti che riguardano fogli del manoscritto veronese facilmente leggibili e neanche aggrediti dai reagenti più aggressivi ma dalla sola noce di galla“.

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    63Le Istituzioni di Gaio attraverso la constitutio textus dei suoi apografi

    Opinione ben diversa deve investire il pregevole apografo di Wilhelm Studemund dato alle stampe nel 1874. Il filologo di Stettin aveva l’intento di realizzare una riproduzione fedele – o meglio, come è stato notato, una sorta di fotografia ante litteram32 – dei caratteri onciali del Codice gaiano, che avrebbe consentito alle future generazioni di avere un accesso diretto alla scriptio continua del manoscritto, senza limitarsi al mero studio delle versioni editoriali33.

    L’acribia e la precisione millimetrica seguiti da Studemund, che arrivò finanche a realizzare appositi caratteri onciali fusi nella stessa forma di quelli originali del veronese, sono riconosciuti da tutta la romanistica. Tuttavia, in verità, come si accennava, neppure l’opera studemundiana può dirsi esente da refusi. L’eco delle schede goescheniane e bluhmiane si riverbera anche nell’apografo del 1874.

    Possiamo notare infatti che per taluni puncta dolentes del palinsesto, Studemund riportò pedissequamente, come una sorta di „atto di fede“, le lezioni offerte da Göschen e Bluhme. Questi passi si individuano con estrema facilità nell’apografo del 1874 in quanto Studemund ha provveduto a racchiudere all’interno di parentesi tonde ( ) i caratteri integralmente tratti dalle schede di Göschen34, e all’interno di parentesi quadre [ ] quelli tratti dalle schede di Bluhme35.

    Senza dubbio fu la scarsità del tempo a  disposizione per dedicarsi serenamente all’analisi del Codice Xv (13) che portò il filologo a richiamarsi in toto alle letture date da Göschen e Bluhme per quei punti quasi incomprensibili. Possiamo però anticipare fin da ora che con la pubblicazione dei fondamentali Supplementa, Studemund ritornò su tali lacerti, emendando e integrando i passi su cui prima non si era espresso poiché resi illeggibili dall’uso smodato dei reagenti chimici.

    2 Il Codice XV (13) secondo la lettura offerta dall’apografo di studemund

    L’opera studemundiana – composta dall’apografo del 1874 e dai Supplementa di appena dieci anni dopo – rappresenta la trascrizione più ampia e precisa finora mai compiuta del Codice Xv (13), matura e priva di condizionamenti esterni, ove, nella maggior parte dei casi, sono riprodotti correttamente i segni originali del manoscritto custodito alla Capitolare. Nel proemio del suo apographum, Studemund evidenzia le innumerevoli difficoltà incontrate nel lavoro e il modus operandi seguito per la decifrazione del palinsesto. Informazioni significative che ai nostri fini non possono passare sotto silenzio.

    Il primo soggiorno di Studemund a verona durò meno di un mese. Lì giunse nel maggio del 1866, per incarico della reale accademia delle Lettere di Prussia, avendo già alle spalle una certa familiarità con le opere di Gaio, oltre a essere andato alla ricerca di codici manoscritti

    32 BrIGUGLIO, F.: op. cit. 20, p. 219.33 In questo senso, NELSON, H. L. W.: op. cit. 8, pp. 11s.34 STUDEMUND, G.: op. cit. 5, p. XII. Il filologo sottolinea, inoltre, che Göschen, Bekker e Bethmann-Hollweg

    abbiano lavorato a  stretto contatto per riuscire a  decifrare le letture materialmente o  ope ingenii, pertanto è risultata a  lui impossibile la precisione assoluta nell’attribuire a  ciascun studioso il lavoro che svolse individualmente. E così, salvo i casi in cui fosse incontestata la paternità del contributo (come per esempio quella di Bethmann-Hollweg per la pagina 30 del manoscritto), Studemund ha genericamente ascritto a Göschen le lezioni offerte dalle schede dei tre trascrittori.

    35 Ibid., p. XIII.

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    sia a Milano presso la Biblioteca ambrosiana36 sia a roma alla Biblioteca vaticana. Sapeva bene, dunque, quanto i palinsesti rappresentassero un vero e proprio scoglio per gli occhi, posto che per scorgere le ombre delle lettere nascoste della scriptura inferior era necessario allo studioso un bagaglio poliedrico composto in pari misura da esercizio costante e doti naturali. Infatti, dal proemio dell’apografo veniamo a  conoscenza delle considerazioni di Studemund, secondo cui sarebbe assai arduo risalire ai periodi originari dei codici rescritti se si trascende da una lucida nonché profonda capacità di ragionamento e, parimenti, si è privi di una fine predisposizione dell’animo che di tali periodi quasi „presagisce“ la presenza: talché il testo rescritto deve essere dapprima approcciato con accurata riflessione e, successivamente confermato con il ragionamento, potrà materialmente individuarsi anche con gli occhi. alla luce di ciò – afferma Studemund – non vi è alcun progresso nell’opera di decifrazione dei palinsesti tanto nel caso in cui ci si affidi al solo intelletto senza ascoltare la propria capacità di divinatio (ossia di avanzare congetture), quanto nel caso esattamente contrario37.

    Senza contare, peraltro, che ai tempi in cui il filologo dispiegò in questa impresa le sue energie, non esistevano certo le moderne tecnologie oggi a  disposizione degli studiosi38, ragion per cui l’opera di decifrazione poteva portare a risultati affatto diversi anche a seconda che il manoscritto fosse stato compulsato alla luce solare o  meno. anzi, il cambiamento dell’angolazione di visuale sul testo – ponendosi cioè lo studioso ora innanzi, ora di lato rispetto a esso – poteva rappresentare il solo modo di distinguere i tratti di lettere altrimenti invisibili. E non solo, giacché dove lo stesso inchiostro era ormai quasi scomparso del tutto e il tratto chiaro delle lettere non poteva ravvivarsi neppure con potenti reagenti chimici, ultima strada percorribile era quella di ricercare i solchi lasciati dalle lettere della scriptura prior sulla pergamena, incisa come cera dalla penna del primo copista.

    L’esame autoptico realmente approfondito del Codice veronese fu condotto nei mesi estivi del 1867 e 1868. Fortuna volle, peraltro, che Theodor Mommsen39 e Paul

    36 Studemund era riuscito a decifrare il palinsesto della Biblioteca ambrosiana contenente la commedia plautina Vidularia, pubblicandone nel 1870 la prima edizione critica (STUDEMUND, G.: Commentatio de Vidularia Plautina. Gryphiswaldia : Kunike, 1870).

    37 STUDEMUND, G.: op. cit. 5, p. Xv.38 Particolarmente rilevante è l’analisi multispettrale condotta carattere per carattere sui folia del veronese,

    grazie a  cui è stato possibile risalire al genuino dettato gaiano in alcuni oscuri lacerti. La ricerca è stata portata avanti dal Laboratorio Gaiano, centro di ricerca dedicato alla paleografia e all’informatica giuridica romana, sorto presso l’Università di Bologna con sede a ravenna e coordinato dal Prof. Filippo Briguglio. Sul punto si veda, BrIGUGLIO, F.: Le „pagine scomparse“ nel Codice veronese delle Institutiones, in atti del Convegno „Gaio ritrovato“. Le „pagine scomparse“ nel Codice veronese delle Institutiones. In Minima Epigraphica et Papyrologica. X (2007), pp. 144s.; idem: Studi sul procurator. Tomo I. L’acquisto del possesso e della proprietà. Milano : Giuffrè, 2007; idem: „Tantum de possessione quaeritur“ Gai 2.95 e l’acquisto del possesso „per procuratorem“. Nuove indagini paleografiche sulla lacuna contenuta nel „folium“ 86v del manoscritto veronese „Codex Xv (13)“. In Studi per Giovanni Nicosia, I. Milano : Giuffrè 2007, pp. 107s.; idem: Un puntino denso di significati: nuove indagini paleografiche sulla terminologia della formula stipulatoria delle obbligazioni di garanzia. In Fides, Fiducia, Fidelitas. Studi di storia del diritto e di semantica storica. a cura di Leo Peppe. Padova : Cedam, 2008, pp. 95–96; idem: „Gaius“. Ricerche e nuove letture del Codice Veronese delle „Institutiones“. Bologna : OGB, 2008, pp. 227s.; idem: La paternità di Gaius in una scritta ritrovata del Codice veronese delle Institutiones. In Minima epigraphica et Papyrologica. XI (2008), pp. 205s.; idem: Gai Codex Rescriptus in Bibliotheca Capitulari Ecclesiae Cathedralis Veronensis. Florence : Olschki, 2012, pp. 9–10; idem: Gai III,53 e il foro della pergamena del Codice veronese. In SCDR. XXvII (2014), pp. 217–236.

    39 Mommsen intraprese nel periodo aprile-giugno del 1867 le seguenti ricerche epigrafiche: Ager inter Benacum et Athesin a Bardolino ad Roveretum; Col. Civica Aug. Brixia (Brescia); Col. Tridentum (Trento); Anauni (val di Non); Riva. Vallis Giudicaria; Col. Cremona (Cremona); Mantua (Mantova); Arusnatium Pagus (Fumane

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    65Le Istituzioni di Gaio attraverso la constitutio textus dei suoi apografi

    Krüger40 si dedicarono a  studi paleografici in quel medesimo frangente temporale, soggiornando anche a  verona. Costoro furono di grande aiuto al filologo per perfezionare e raffinare lo studio del diritto, e di esempio fu inoltre la loro prudenza nella decifrazione del palinsesto, che frenava e ridimensionava le congetture avanzate da Studemund41.

    I contributi apportati da entrambi non risultano marginali. Nello specifico, Krüger curò insieme al filologo di Stettin la fondamentale edizione critica delle Istituzioni di Gaio, già pronta dalla fine del 1873, ma data alle stampe solo nel 187742. E nella edizione in parola rifluirono anche i  celebri interventi editoriali apportati al testo del veronese da Theodor Mommsen, in seguito riproposti, quasi incontrastati, nella maggior parte delle altre edizioni delle Institutiones. Si tratta di più di settanta integrazioni o diverse letture che si dividono tra modifiche ope ingenii, frutto di un metodo prettamente congetturale, e modifiche dovute a una diversa – e materiale – lettura dell’apografo43.

    appena poté esaminare più a  fondo il Codice veronese, Studemund si accorse immediatamente delle difficoltà rilevanti in cui si sarebbe imbattuto per risalire alla scriptura inferior gaiana. Decise pertanto di ricorrere all’utilizzo di solforato di potassio in exterioribus paginis e della c.d. miscela di Hofmann in interioribus44.

    Il risultato finale che conseguì può ritenersi assai più soddisfacente del precedente apografo di Böcking, e a ciò contribuirono in larga misura i caratteri creati all’uopo dalla tipografia Hartel di Lipsia, che riuscirono a  fornire un modello davvero degno di perizia fotografica. anzi si potrebbe affermare che, dal punto di vista calligrafico, l’apografo studemundiano sia addirittura migliore dell’originario Codice gaiano: le lettere del primo sono infatti maggiormente curate, precise e di forma più aggraziata rispetto a  quelle utilizzate dai copisti del palinsesto, che ricorrono a una scrittura ora pendente verso il basso e ora inclinata verso l’alto (specie alla fine delle righe)45. Inoltre, Studemund si è preoccupato di rappresentare una forma unitaria delle lettere del manoscritto, cioè una scriptura mediana tra quella utilizzata dal primo copista e quella del secondo. È infatti pacifico che il veronese

    in valle Policella). Cf. CaLvELLI, L.: Il viaggio in Italia di Theodor Mommsen nel 1867. In MCDDD–1800, I. venezia : Edizioni Ca’ Foscari, 2012, pp. 103–120.

    40 Krüger si diresse a verona con l’intento di realizzare un facsimile del Codex rescriptus LXII (60), la cui scriptura inferior era rappresentata dall’apografo del Codex di Giustiniano.

    41 STUDEMUND, G.: op. cit. 5, p. XvI: Hi uiri familiarissimi summaeque necessitudinis ac fidei uinculis mecum coniuncti magnum adiumentum adferebant ad meam iuris scientiam amplificandam excolendamque; horum prudentia libidini meae coniectandi moderatrix erat; horum adhortatione celeribusque ingeniorum motibus, quibus telum mihi subministrabatur quo armatus denuo adgrederer locos desperatos, permultum me debere libenter gratoque animo profiteor.

    42 KrUEGEr, P./STUDEMUND, G.: Collectio librorum iuris anteiustiniani in usum scholarum ediderunt Paulus Krueger Theodorus Mommsen Guilelmus Studemund, Tomus I. Gai Institutiones ad Codicis Veronensis apographum Studemundianum novis curis auctum. Berolinum : Weidmann, 1877; 7 ed., Berolinum : Weidmann, 1923.

    43 Per un esame di taluni degli interventi editoriali più caratteristici apportati da Mommsen che hanno colpito l’apografo e i  Supplementa studemundiani, modificando de facto il dettato del Codice veronese, si veda SaNTULLI, F. a.: op. cit. 29, pp. 338s.

    44 STUDEMUND, G.: op. cit. 5, p. XvII. In particolare, Studemund aveva descritto la composizione della miscela di Hofmann negli Annal. Philol., 1868, p. 545, n. 1, prescrivendo di diluire con acqua i granelli di solfocianato di potassio (o di solfocianato di ammonio) mescolandovi poche gocce di acido muriatico. Lo studioso ammoniva del pericolo che sarebbe stato cagionato qualora, per la preparazione del reagente, fosse stata utilizzata poca acqua, in quanto la già fragile pergamena sarebbe andata incontro a infauste lacerazioni.

    45 STUDEMUND, G.: op. cit. 5, p. XIX.

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    66 Francesco Alberto Santulli

    fu redatto da due copisti: l’uno si occupò di trascrivere il primo, il secondo e il terzo commentario delle Institutiones (quaternioni dal I al XII); l’altro invece si dedicò al quarto commentario (quaternioni dal XIII al Xv, più il quinione numero XvI). Ciò è intuibile sulla base del differente impiego di abbreviazioni cui i due trascrittori sono ricorsi46.

    Fondamentali sono invece le profonde analogie presenti tra i  due copisti, su cui Studemund si sofferma diffusamente nel suo proemio. Si rileva allora:

    – l’uso di un carattere maiuscolo all’inizio, generalmente, di ciascuna pagina e di ciascun paragrafo. In particolare, piene di ornamenti e molto vistose sono le lettere maiuscole al primo rigo della pagina (come a p. 222,1 Codex), e più di rado quelle che non si trovano al primo rigo e che sporgono rispetto al margine del testo (come alle pp. 67,20 e 104,21 Codex)47;

    – l’impiego di inchiostro rosso in luogo della più comune tinta nera all’inizio di un nuovo liber o di un nuovo paragrafo, al fine di dare a questi excerpta particolare rilievo48;

    – l’ignoranza della lingua greca, tale da far asserire al filologo che ubi terrarum codex scriptum sit, diuinari nequit, nisi quod Graecos non fuisse librarios constat49. Sul punto,

    46 Ibid., p. 253. Si noti tuttavia che il Codice presenta di per sé una certa uniformità, specie per quanto riguarda il rapporto fra le dimensioni dei margini lasciati liberi dalla scrittura e le parti occupate dal testo. Sul punto, NELSON, H. L. W.: op. cit. 8, p. 24.

    47 Più specificamente non iniziano con lettera maiuscola le pp. 2, 3, 6, 7, 14, 27, 34, 35, 38, 40, 42, 43, 44, 57, 64, 80, 82, 84, 93, 95, 97, 112, 118, 120, 129, 134, 137, 138, 141, 162, 167, 184, 187, 203, 241 Codex. Le pp. 205, 1 e 249, 1 Codex iniziano con due lettere maiuscole corredate dal trattino abbreviativo. Inoltre più lettere maiuscole sono presenti al primo rigo delle pp. 65, 110, 118, 119, 149, 221, 250 Codex, ove sono quasi tutte ornate, e ancora alle pp. 44, 109, 126, 140, 148, 156, 173, 182, 239 Codex. Sono poi ravvisabili prime lettere maiuscole che seguono a un rigo precedente in parte vuoto alle pp. 65, 3; 68, 3; 74, 21; 80, 24; 89, 15; 103, 3; 119, 19; 127, 6 e 24; 130, 24; 156, 12; 198, 12; 213, 11 Codex. Si veda anche p. 157, 15 Codex. In talune pagine è l’ultima lettera a essere maiuscola: pp. 10, 24; 13, 24; 110, 24; 134, 24; 142, 24; 195, 24 Codex. raramente vi è una lettera maiuscola nella parte mediana della riga (pp. 65, 10; 80, 12; 164, 2; 184, 20; 194, 2 Codex), all’inizio (p. 26, 2 Codex) o alla fine (p. 120, 22 Codex). Quanto invece ai paragrafi e più in generale alle sezioni di periodo più importanti delle Institutiones, questi di solito iniziano punto e a capo con la lettera maiuscola (e.g., pp. 1, 13 e 17; 17, 1 Codex), o più raramente con la lettera minuscola (pp. 34, 23; 40, 13; 84, 1; 141, 11; 158, 12 Codex). Il paragrafo può però terminare e il testo proseguire, lasciato dello spazio vuoto, sul medesimo rigo: in questi casi la lettera seguente è generalmente maiuscola (e.g., p. 6, 6 Codex), raramente è minuscola (pp. 48, 20; 163, 21; 233, 15 Codex).

    48 Grazie all’intuizione di STUDEMUND, G.: op. cit. 5, p. XXvIII, è possibile notare che, seppure permangano lievi tracce dell’uso dell’inchiostro rosso, ove questo è stato utilizzato restano oggi in larga parte soltanto lacune del testo. Lacune che in taluni casi sono piuttosto ingenti (si pensi al principio del primo commentario gaiano, in cui mancano circa tre righi), in altri più contenute (come all’inizio di Gai. II, 97 ove manca la sola parola hactenus). Oltre a queste, altre lacune sono ravvisabili in Gai. 1,36–37, 56, 58, 65, 97, 108 e 132; 2,97; 3,85, 88 e 139. Come nota NELSON, H. L. W.: op. cit. 8, p. 25, i copisti usavano la tinta rossa per i titoli delle rubriche che fornivano indicazioni brevi sul contenuto della parte seguente, come risulta da alcune tracce rimanenti in Gai. 3,85 e 139. vi sono poi alcune lacune riferibili a titoli nei righi precedenti a questi paragrafi: Gai. 1,28, 36, 42, 48, 56, 58, 65, 97, 108, 116 e 132; 2,34, 97, 114, 152 e 268; 3,25, 39, 43, 55, 85, 88, 97, 110, 115, 139, 142 e 148; 4,115. Il copista dei libri I–III, tuttavia, usa l’inchiostro nero, e non il rosso, per nove titoli: Gai. 1,28 e 166; 2,80, 109, 174, 192, 224, 229 e 235. Si vedano BrIGUGLIO, F.: La paternità di Gaius in una scritta ritrovata del Codice veronese delle Institutiones. In Minima epigraphica et Papyrologica. XI (2008), p. 219; idem: Gai Codex Rescriptus in Bibliotheca Capitulari Ecclesiae Cathedralis Veronensis. Florence : Olschki, 2012, p. 21, n. 48 e MaNTHE, U.: Gaius. Institutiones. Herausgegeben, übersetzt und kommentiert von Ulrich Manthe. Darmstadt : Wisseschaftliche Buchgesellschaft, 2004, pp. 17 e 28.

    49 STUDEMUND, G.: op. cit. 5, p. XXII. Difatti in svariati passi del veronese i copisti hanno omesso tutte le parole in lingua greca; ciò è ravvisabile nel folium 104v, rigo 8 (Gai. 3,93), ove il trascrittore avrebbe dovuto ricopiare le formule stipulatorie greche e, diversamente, quando queste dovevano essere riportate, ha lasciato uno spazio vuoto dopo le parole introduttive hoc modo (Δώσεις; Δώσω· Όμολογεῖς; Όμολογῶ· Πίστει κελέυεισ; Πίστει κελέυω· Ποιησεῖς; Ποιήσω·), pertanto Göschen ha integrato il testo con la Parafrasi di Teofilo (3,15,1).

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    67Le Istituzioni di Gaio attraverso la constitutio textus dei suoi apografi

    mentre parte della dottrina ha ritenuto che i  copisti avrebbero consapevolmente omesso i periodi in greco per guadagnare spazio50, secondo l’opinione maggioritaria, invece, dalle innumerevoli parole greche scritte erroneamente emerge limpidamente che il greco fosse per i copisti una lingua incomprensibile e pertanto difficile da trascrivere51. Se volessimo riconoscere agli ignoti trascrittori il beneficio del dubbio, al più potremmo ipotizzare che le frasi in greco fossero già state eliminate dal manoscritto originale che questi ricopiarono52. Ma invero, la dettagliata analisi ortografica condotta da Studemund fa propendere per la tesi dell’ignoranza della lingua greca da parte di costoro53;

    – la presenza di innumerevoli – e spesso marchiani – errori, in parte dovuti alla mancanza di lucidità e alla fretta di finire presto il lavoro per incassare il dovuto guadagno54, in parte da ricondursi ancora una volta al basso livello culturale dei copisti.

    Sul punto, FErrINI, C.: Institutionum graeca Paraphrasis Theopilo antecessori vulgo tributa, ad fidem librorum manu scriptorum recensuit prolegomenis notis criticis versione latina instruxit E. C. Ferrini. Antecessor Ticinensis. Accedit Epistula C. E. Zachariae A Lingenthal. Pars Posterior. Libros III et IV, stemmam cognationum, appendices continens. Berlin : S. Calvary, 1897 (rist. aalen : Scientia verlag, 1967), p. 322, riga 22; si veda anche LOKIN, J. H. a./MEIJErING, r./vaN DEr WaL, N.: Theophili antecessoris Paraphrasis Institutionum ediderunt J. H. A. Lokin, Roos Meijering, B. H. Stolte, N. van der Wal with a translation by A. F. Murison. Groningen : Chimaira, 2010. In un altro caso (Gai. 3,141), il copista, dovendo ricopiare una citazione di Omero, la omette in toto aggiungendo – dopo le parole introduttive sic ait – le parole et reliqua (). In questo caso la lacuna può essere colmata dalle Istituzioni giustinianee (1,3,23,2) ove si riportano i quattro versi di Omero (Iliade 7,474–475): ἔνθεν ἄρ’ οἰνίζοντο καρηκομόωντες Ἀχαιοί, ἄλλοι μὲν χαλκῶι, ἄλλοι δ’ αἴθωνι σιδήρωι, ἄλλοι δὲ ῥινοῖς, ἄλλοι δ’ αὐτῆισι βόεσσιν, ἄλλοι δ’ ἀνδραπόδεσσι. La citazione di Omero è presente anche nella Parafrasi di Teofilo, cf. FErrINI, C.: op. cit., pp. 353s. Quanto alla affermazione di Studemund citata in premessa, secondo cui la quaestio dell’origine del Codice Xv (13) è assai spinosa e per tale motivo egli si limita a un generico non liquet, la dottrina è divisa tra chi afferma l’origine orientale del palinsesto e chi, diversamente, propende per l’origine occidentale. I primi, facendo leva specialmente sui criteri di divisione delle sillabe seguiti dai copisti propri del mondo greco (STUDEMUND, G.: op. cit. 5, p. XXIII: in syllabarum diuisione in uniuersum posteriorem et graecanicam rationem secuntur librarii), fanno capo a LOWE, E. a.: op. cit. 8, pp. 393s.; idem: Il Codice veronese di Gaio, cit., pp. 4s. Portavoce di coloro che sostengono l’origine occidentale del nostro Codice è invece NELSON, H. L. W.: op. cit. 8, pp. 39s., secondo cui verona fu sia il luogo dove nell’ottavo secolo il manoscritto fu rescritto con le lettere di San Girolamo sia il luogo dove visse e operò il fruitore originario del testo gaiano.

    50 MaSCHI, C. a.: Omissioni nel manoscritto veronese delle Istituzioni di Gaio e ricostruzione del diritto romano. In Conferenze romanistiche, II. Milano : Giuffrè, 1967, p. 234.

    51 Ironicamente, araNGIO-rUIZ, v.: La compravendita in diritto romano. Napoli : Jovene, 1956, p. 9, n. 4 afferma che il copista, ignorandone la lingua, deve essersi „sgomentato di fronte a quel diluvio di lettere greche“. Su questa linea, MaYEr-MaLY, T.: Die Entwicklung der abgrenzung zwischen Kauf und Tausch. In Studi in onore di Remo Martini, II. Milano : Giuffré, 2009, p. 752, ipotizzò che il copista fosse rimasto „überfordert“ dinanzi al testo greco. Cf. anche PLISECKa, a.: The Use of Greek by roman Jurists. In BECK varELa, L./GUTÉrrEZ vEGa, P./SPINOSa, a.: Crossing Legal Cultures. Jahrbuch Junge Rechtsgeschichte, III. München : Martin Meidenbauer, 2009, p. 63; FIOrENTINI, M.: I giuristi romani leggono Omero. Sull’uso della letteratura colta nella giurisprudenza classica. In BIDR. Quarta serie, vol. III (2013), CvII (2013) dell’intera collezione, pp. 168s.

    52 NELSON, H. L. W.: op. cit. 8, 36.53 E così, STUDEMUND, G.: op. cit. 5, p. XXII riporta tutti gli errori ortografici commessi dai copisti in ordine

    alla lingua greca nelle pagine del Codice Xv (13): greca 17, 15; 152, 16; eregam (pro graecam) 152, 7; gregi (pro Graeci) 152, 9; greco 165, 7; graeges (pro graece) 125, 9; pedagogum 10, 3; pelagogum 4, 12; scole 63, 11, sichole 117, 1, sole 111, 8, scolae (in tutti questi casi pro scholae); dihoniser-mei (pro Dionis Hermaei) 201, 20; teatrum 4, 21; bytinorum 51, 19; syponiacis (pro symphoniacis) 183, 14; collirium 72, 19; istichum 105, 12 e isticum (pro Stichum); sporade (pro σποράδην) 17, 15.

    54 Sul punto, STUDEMUND, G.: op. cit. 5, p. XvII: adde quod portenta librariorum modo somniantium modo quasi insanientium uinique adeo, ut uidetur, cupiditati inseruientium saepe ad falsam coniectandi uiam pelliciunt [...].

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    68 Francesco Alberto Santulli

    Questi refusi concernono la confusione di caratteri tra loro simili55, incertezze in ordine alle abbreviazioni dei verbi che comportano errori tra forma attiva e passiva degli stessi 56, errori legati all’ortografia57, allontanamento dal latino classico a favore di quello di epoca successiva58, e ancora il ripetere – a causa del sistema della scriptio continua – gruppi interi di termini simili, o saltare taluni blocchi di parole ovvero ripetere alcune sillabe di una stessa parola59. Da tali constatazioni emerge in modo tangibile l’atteggiamento quasi meccanico assunto dai copisti nella trascrizione e l’assoluta noncuranza verso il testo giuridico oggetto di copiatura60.

    Oltre a  quanto finora evidenziato, il filologo di Stettin nel proemio del suo apografo scandaglia ulteriormente talune peculiarità riscontrate durante l’analisi del Codice Xv (13). E difatti rileva che un correttore semidoctus61 contemporaneo ai due copisti apportò significativi miglioramenti al testo del veronese, emendandolo attraverso l’aggiunta di punti con cui si indicavano le lettere che dovevano essere cancellate62, oppure barrando con una linea i  predetti caratteri63, o  ancora con cancellature dirette sulla pergamena64, o  in altro modo65. Quando le lettere da espungere dal testo erano più di una, sono state racchiuse da

    55 al riguardo, BrIGUGLIO, F.: op. cit. 20, p. 289, n. 76 sottolinea che però „è un tipo di errore che talora anche il paleografo e non solo il copista può commettere nella decifrazione di caratteri molto somiglianti, particolarmente sbiaditi“.

    56 anche qui, come evidenziato nella nota precedente, può trattarsi di errori dovuti alla cattiva leggibilità del palinsesto. Ciò è chiarito anche da STUDEMUND, G.: op. cit. 5, p. 306: saepe discerni nequit, utrum de activa an de passiva forma amanuensis cogitaverit, cum saepe apostrophus ‘ legi nequeat atque T et T’ (i.e. –t et –tur) terminationes saepissime inter se confundantur. Cf. anche NELSON, H. L. W.: op. cit. 8, p. 31, n. 56.

    57 Cf. STUDEMUND, G.: op. cit. 5, pp. 313s. in relazione all’Index Ortographicus.58 Come per le parole set in luogo di sed, aput in luogo di apud, etc. Si veda NELSON, H. L. W.: op. cit. 8, p.

    31. Occorre ricordare al riguardo un caso divenuto ormai di scuola tra gli interventi editoriali apportati da Mommsen al testo del veronese. Nel folium 27v, infatti, il predetto studioso intuì un errore del copista, dovuto a un mero discostarsi del modo di scrivere tardolatino rispetto alle regole classiche. Nella linea 1 del folium il copista trascrive l’abbreviazione S’, la quale è noto indichi la parola sed, tuttavia, in questo caso l’abbreviazione in questione deve essere tradotta con et. Ciò è dovuto al fatto che il copista fosse abituato a incontrare set in luogo di sed e, proprio su questo punto, avrebbe letto set al posto di et. Tale lettura è stata accolta in seguito dalla maggioranza degli editori. Si veda la correzione di Mommsen in KrUEGEr, P./STUDEMUND, G.: op. cit. 42, p. 4, n. 22.

    59 Basti pensare alla ripetizione contenuta nel folium 58v (Gai. I, 114) in cui le parole aput eum filiae loco sit, dicitur matrimonii causa fecisse coemptionem sono ripetute due volte e, dopo ogni ripetizione, vi è a sua volta la doppia ripetizione delle parole quae vero alterius rei causa facit coemptionem, per un totale di quattro ripetizioni di quest’ultima frase. Per di più il termine coemptionem, dopo essere stato scritto per esteso (rigo 14) è abbreviato in modi differenti: coemption· (rigo 15); coemptione– (rigo 17). Così anche dicitur è scritto sia per esteso (rigo 16), sia in forma abbreviata dicit’ (rigo 12). Tali singolarità suscitarono le caustiche affermazioni di STUDEMUND, G.: op. cit. 5, p. XIX, secondo cui nonne multae illae voces ad taedium usque repetitae minus olei nonnumquam quam uini a semisomnis librariis consumptum esse indicio sunt?

    60 Di questo avviso, BrIGUGLIO, F.: Gai Codex Rescriptus in Bibliotheca Capitulari Ecclesiae Cathedralis Veronensis. Florence : Olschki, 2012, p. 22.

    61 STUDEMUND, G.: op. cit. 5, p. XXIX.62 Si vedano le seguenti pagine e righe del palinsesto: 2,8.21; 3,12.18; 4,24; 7,(10).12.18; 10,4.16.20; 11,17.18; 15,3;

    22,10; 27,2; 30,14.24?; 42,3; 47,4; 55,21; 63,4?; 67,21; 68,14; 69,2; 78,9; 92,17; 96,3; 97,14; 101,16; 110,13; 116,23; 122,18; 124,2.9; 127,22; 130,3; 134,21; 138,7; 140,2; 142,1?; 148,9; 149,23; 150,7; 155,14; 165,11; 167,2; 168,1; 171,20; 174,24; 177,23; 178,6; 180,6.9; 198,17; 209,11; 228,4.10; 231,14; 237,16 e 240,14.

    63 alcuni esempi di questo tipo sono ravvisabili alle pagine: 3,18; 4,4.24; 16,6; 58,18; 59,22; 66,9; 67,15; 108,18; 134,19?; 159,19; 182,2; 198,17?; 209,11? etc.

    64 E.g. la pagina 181,20 ove sembra essere stata cancellato il carattere F; si vedano anche le pagine 39,16 e 108,23.65 E.g. le pagine 66,17; 96,23; 124,23; 143,13; 155,15; 162,9; 180,10 e 213,6.

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    69Le Istituzioni di Gaio attraverso la constitutio textus dei suoi apografi

    apici ‘’66. Sono inoltre presenti talune correzioni apportate mediante l’aggiunta di caratteri infratestuali67.

    Il manoscritto, inoltre, è stato migliorato non solo dal punto di vista ortografico, bensì anche sostanziale, con l’inserimento di interi excerpta che sembrano provenire da quello stesso correttore che doveva allora possedere talune conoscenze giuridiche. Si tratta dell’inserimento di taluni titula, differenti rispetto a quelli posti da chi trascrisse il manoscritto68. Orbene, che tale opera di aggiunte non debba ascriversi ai due copisti del manoscritto lo si deduce dalle considerazioni già svolte in ordine alla copiatura acritica e quasi meccanica cui i due soggetti impostarono l’intero lavoro svolto, peraltro incappando sovente in errori e sviste dovuti alla svogliatezza e alla distrazione con cui si approcciarono al testo gaiano. Stante l’inserimento a margine ovvero infratestuale dei titula, nonché il loro numero esiguo e non completo, è verosimile ritenere che questi siano il frutto di una persona dotata di talune conoscenze giuridiche che ebbe la possibilità di fruire successivamente del nostro Codice. E che costui fosse un correttore semidoctus e non certo un fine giurista, parafrasando Studemund, si evince da talune correzioni da lui apportate al manoscritto risultanti invero fuorvianti ed errate69.

    Da ultimo, nel proemio all’apografo Studemund dà conto del fatto che la pergamena gaiana, oltre a  presentare, come abbiamo visto, due o  tre scripturae, in alcuni punti reca finanche una quarta scriptura più antica di quella che ha trascritto il testo delle Institutiones. Lo studioso rileva la presenza di questa scrittura pregaiana – pur riuscendo difficilmente a decifrarne il contenuto – nei folia 2r (pagina 39,6 Cod.), 47v (pagina 214 Cod.) e 112v (pagina 230,1 Cod.). In altre parole, è accaduto per tali pergamene quanto accadde successivamente per l’intero Codice gaiano: come queste tre vennero sovrascritte, probabilmente nel quinto secolo, a  favore del manuale istituzionale di Gaio, così le medesime furono nuovamente riciclate nell’ottavo secolo, unitamente alle altre pergamene del veronese, e lasciarono spazio alle lettere di San Girolamo. Gli studi più recenti in materia, condotti attraverso le moderne tecnologie, concordano con la rilevazione di Studemund70.

    66 E.g. le pagine 94,17; 145,6 e 236,20.67 STUDEMUND, G.: op. cit. 5, p. XXX, pur sottolineando di non poter distinguere con certezza le correzioni

    riconducibili alla mano dei copisti da quelle apportate dal successivo correttore, le individua in generale alle seguenti pagine: 1,21; 2,16; 3,12; 3,16; 3,18; 4,4 (due volte); 4,13.14.23; 6,17; 7,4; 7,11 (due volte); 7,24; 8,13; 10,17; 11,1.5.11.22; 14,9; 14,13.17; 18,9; 27,11; 31,13; 41,23; 42,3; 43,16; 66,9; 78,1; 90,2; 101,6; 107,14; 112,3; 116,23; 118,2.13; 120,8; 126,16; 130,3; 140,10; 146,2; 148,1; 152,5; 157,15; 159,22; 162,19; 168,16; 172,8; 173,12; 174,7; 175,11; 181,20; 184,18; 191,24; 193,4; 194,22; 196,3; 197,13; 201,3; 208,8; 230,11; 231,21; 232,6.23; 236,17; 248,12 e 250,2. Si noti che più volte i copisti del manoscritto corressero gli errori in cui erano incappati per distrazione. Si veda ibid., p. XXIX: Identidem tamen prima manus, quae imprudenti calamo exciderant, ipsa correxit. Per questi casi accertati si vedano le pagine 31,1.23; 52,11; 62,8; 72,21; 75,13; 98,8; 100,22; 101,14.16; 110,5.13; 124,11; 157,14; 162,22; 168,1; 182,2.

    68 Si veda sul punto BrIGUGLIO, F.: Gai Codex Rescriptus in Bibliotheca Capitulari Ecclesiae Cathedralis Veronensis. Florence : Olschki, 2012, p. 24.

    69 E così, il correttore indica con un punto alcuni caratteri che ritiene, sbagliando, debbano essere cancellati: cf. le pagine 3,14; 15,3; 18,3; 79,6; 89,9; 209,21; 217,5 e 237,13. STUDEMUND, G.: op. cit. 5, p. XXX, n. a) afferma al riguardo che tali punti non sono stati apposti per mero sbaglio. Inoltre, correzioni infratestuali errate sono individuabili alle pagine 2,9; 3,13 e 7,10.13 (dove il correttore inserisce la glossa Iunianus sopra la parola Latinus); 11,13 (dove la glossa suam è sovrascritta alla parola familiam); 13,7? e 135,13.

    70 Si veda BrIGUGLIO, F.: L’individuazione di una quarta scriptura pregaiana nel Codice veronese delle Institutiones di Gaio. In SCDR, XXIII–XXIv, 2011, p. 157s. Sugli studi condotti dal Laboratorio Gaiano si rimanda supra, pp. 8–9, n. 38.

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    70 Francesco Alberto Santulli

    3 L’opera di revisione dei Supplementa: la correzione degli errori dei copisti (abbreviazioni, glosse, omoteleuti)

    Se è pacifico affermare che a  tutt’oggi la migliore trascrizione del Gaio veronese sia quella offerta da Wilhelm Studemund, ciò è dovuto in gran parte al fatto che nel corso degli anni successivi alla pubblicazione dell’apografo, il filologo di Stettin non cessò l’attività di revisione del suo lavoro. anzi, appena dieci anni dopo, nel 1884, pubblicò gli importanti Supplementa71, che permisero di correggere molteplici tra i passaggi meno precisi del precedente apografo. Basta infatti confrontare taluni fogli dei Supplementa con quelli paralleli del testo del 1874 per accorgersi ictu oculi che Studemund, in questa opera di rilettura compiuta attraverso addenda et corrigenda, riuscì a leggere interi periodi che precendentemente aveva lasciato in bianco ovvero integrato facendo ampio ricorso alle schede di Göschen e di Bluhme.

    Un folium su tutti può sopperire da esempio, e cioè il numero 93v (pagina 250 del Codex) ove sono rintracciabili numerosi errori e integrazioni che risultano singolari per uno studioso del livello di Studemund72, e che verranno interamente corretti proprio nei Supplementa. In moltissimi punti del folium in parola, compulsando direttamente il Codice Xv (13) si riescono a scorgere tuttora, anche a occhio nudo, caratteri che sono ben diversi da quelli che furono trascritti nell’apografo. Potrebbe allora darsi che, data la collocazione, quel folium sia stato analizzato fra gli ultimi e, a causa di stringenti contingenze temporali, la fretta abbia intaccato in larga misura un lavoro invero preciso e genuino. Non pare però una motivazione soddisfacente. Soprattutto considerando che, a onor del vero, Studemund soggiornò a verona per studiare ancora una volta i passi di più ardua lettura del veronese solo in alcuni giorni del 1878 e durante l’estate del 1883, e dunque non si spiegherebbe a che cosa siano dovuti gli innumerevoli miglioramenti da lui apportati in così poco tempo alla lettura del palinsesto.

    In realtà, già sopra abbiamo accennato al necessario utilizzo di taluni reagenti chimici cui Studemund era ricorso durante gli studi compiuti nel 1867 e 1868; ebbene, nelle more di quegli anni i  reagenti avevano continuato a  sortire i  propri effetti sulle pergamene, al punto che da Studemund facilius ac plenius legi potuerunt73 i  punti del manoscritto dapprima illeggibili. In altre parole, l’azione delle sostanze, alle quali deve addossarsi la colpa di avere eliminato in alcuni folia la possibilità di addivenire al testo gaiano, questa volta, più fortunatamente, aveva prodotto l’effetto di far riaffiorare la scriptura prior, ritenuta scomparsa per sempre74.

    Come già fatto in sede di proemio all’apografo, anche per i  Supplementa Studemund delineò meticolosamente il lavoro di decifrazione compiuto ex novo sul Codice Xv (13)75.

    Prima di passare al cuore della trattazione studemundiana, occorre però fornire l’esplicazione di taluni simboli che sovente sono utilizzati dal filologo nella sua edizione

    71 STUDEMUND, G.: op. cit. 5, pp. XvII–XXXIX.72 Di questo avviso, BrIGUGLIO, F.: op. cit. 20, p. 224.73 STUDEMUND, G.: op. cit. 5, p. vII.74 È doveroso sottolineare che, seppure verosimile, la fede di Studemund nei predetti reagenti chimici appare

    oltremodo ottimistica. La dottrina ha individuato infatti in altri motivi i  felici miglioramenti che rifluirono nei Supplementa: la quasi ventennale esperienza maturata da Studemund nello studio del manoscritto gaiano, l’analisi sui singoli folia protratta da diversi anni, la grande prudenza – frutto della maturità lavorativa raggiunta – nell’approcciarsi ai codici palinsesti e, nondimeno, il contributo offerto da Krüger alla revisione del testo.

    75 STUDEMUND, G.: op. cit. 5, pp. v–XvI.

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    71Le Istituzioni di Gaio attraverso la constitutio textus dei suoi apografi

    critica dell’opera gaiana, poiché risultano necessari per comprendere appieno il lavoro svolto dallo studioso nei Supplementa. E allora, „C“ indicherà il Codice Xv (13); „C1“, il testo di esso attribuibile ai due copisti (la c.d. prima manus); „Cn“, il predetto testo oggetto di abbreviazioni (per notam); „C2“, il testo attribuibile all’anonimo correttore semidoctus coevo ai copisti76; „C2n“ il testo del correttore oggetto di abbreviazioni77.

    Ciò posto, sono precipuamente tre – secondo il fine studioso – gli errori contenuti nel palinsesto che devono essere individuati e corretti in via preventiva da coloro che si cimentano nella ricostruzione della constitutio textus del manuale gaiano: i refusi in ordine alle abbreviazioni commessi dai copisti a  causa della loro negligenza (nonché ignoranza linguistica); gli scoli e le glosse che erano probabilmente riportati nell’archetipo del veronese a margine del testo ovvero fra le righe e che sono sciaguratamente rifluiti nel testo durante la copiatura; la perdita di parole in caso di omoteleuto.

    I  refusi che rientrano nella prima tipologia possono essere felicemente emendati. Sebbene infatti l’archetipo da cui venne copiato il veronese doveva essere pieno di abbreviazioni – poiché venuto alla luce in un periodo in cui, come afferma Studemund, si eccelleva nell’ars notandi78 – tuttavia, coloro che trascrissero il manoscritto non erano padroni di quell’arte al pari degli antichi copisti e sciolsero talune abbreviazioni in maniera erronea, mentre altre le confusero con abbreviazioni diverse. Per avere contezza di questo fenomeno basta visionare l’index notarum posto in calce all’apografo79, il quale è richiamato peraltro anche nell’apparato critico della versione editoriale studemundiana ove si invita il lettore, con l’inciso „conf. Ca pag.“, a consultare quando necessario il corretto modo di intendersi di una particolare abbreviazione. a titolo di esempio, può richiamarsi l’excerptum Gai. I 43, in relazione al quale nell’apparato critico dell’edizione di Studemund l’inciso praescribit Goeschen, postscribit Cn, conf. Ca pag. 286 vuole significare che in luogo di praescribit è stata trascritta, a  causa di un errore nell’abbreviazione, la parola postscribit80; e difatti dall’index notarum si evince limpidamente come le abbreviazioni di prae e post siano molto simili81.

    Ma gli errori che concernono le abbreviazioni non sono così gravi al pari di quelli che concernono le glosse. Su queste è d’uopo una constatazione che potrebbe trarre inizialmente in inganno. Si consideri anzitutto che Gaio, dal momento che scrisse le sue Institutiones a fini didattici, non offrì spiegazioni ulteriori e ridondanti oltre a quelle dovute né si dilungò nella riproposizione ultronea delle definizioni. Tutt’altro: il giurista degli antonini è passato alla storia del diritto per il suo stile asciutto e semplice, forse pure eccessivamente elementare. Cionondimeno, accade talora che alcuni passi del veronese siano viziati proprio dal fatto che, a causa della fretta dei copisti nel finire quanto prima il lavoro, costoro hanno omesso interi periodi e frasi. E molti studiosi che prima di Studemund curarono le edizioni di Gaio, rivolgendo i loro studi maggiormente alle integrazioni delle svariate lacune che colpivano la prosa gaiana, si ingannarono proprio perché ritennero che il Codice Xv (13) fosse contaminato da poche glosse.

    76 Cf. supra, p. 13.77 STUDEMUND, G.: op. cit. 5, pp. XIv–Xv.78 Ibid., p. XX: constat [...] archetypum ea aetate exaratum fuisse, qua artis notandi studia laetissime uigerent.79 Ibid., pp. 253–312.80 KrUEGEr, P./STUDEMUND, G.: op. cit. 42, p. 1115.81 STUDEMUND, G.: op. cit. 5, p. 286.

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    72 Francesco Alberto Santulli

    Sulla base di un confronto con le fonti parallele del testo istituzionale gaiano82 – in primis le Istituzioni giustinianee – è però pacifico secondo Studemund riscontrare la presenza di glosse anche nel nostro Codice83. La maggior parte di questi passi adulterini si sostanziano

    82 L’importanza delle „Parallelstellen“ nello studio del Codice veronese e più in generale delle Istituzioni di Gaio è di facile spiegazione. Si consideri che le Institutiones di Gaio cessarono verosimilmente di essere consultate dopo la compilazione delle Istituzioni giustinianee o, al più tardi, dopo quella della Parafrasi di Teofilo; quest’ultimo, al fine di redigere la sua opera, potrebbe avere attinto proprio al testo di Gaio. Da allora (secondo SCHELTEMa, H. J.: L’einsegnement de droit des antécesseurs. In Byzantina Neerlandica, II. Leiden : E. J. Brill, 1970, p. 18 il dies a quo coincide con il 534) fino al 1816, non vi sono tracce nelle fonti che testimoniano la possibile consultazione dell’opera gaiana. I soli brani del manuale gaiano che potevano leggersi erano quelli riprodotti nel Digesto e nelle altre fonti parallele giuridiche e letterarie, oltre allo schema generale riportato nelle Istituzioni di Giustiniano (sebbene risultava impossibile scindere in esse il reale apporto fornito da Gaio rispetto al testo genuinamente giustinianeo). Posta la tradizionale divisione delle „Parallelstellen“ in giuridiche e letterarie, tra le prime rientrano i Tituli ex corpore Ulpiani, i Fragmenta Augustodunensia, la Collatio legum Mosaicarum et Romanarum (Lex Dei quam praecepit Dominus ad Moysen), l’Epitome Gai, le Institutiones e il Digesto giustinianei, la Parafrasi di Teofilo, il Papiro di Ossirinco XvII n. 2103, la Pergamena di antinoe, mentre le fonti parallele letterarie sono il Commentario ai Topica di Cicerone di Boezio, le Origines di Isidoro di Siviglia, l’Institutio de arte grammatica di Prisciano. Numerosi sono gli studi sulle singole fonti parallele, cf. SCIaLOJa, v.: Frammenti antegiustinianei di autun. In BIDR. XI (1898); aLBErTarIO, E.: Tituli ex corpore Ulpiani. In BIDR. XXXII (1922); HUNT, a. S.: The Oxyrhynchus papyri, v. XvII. London : Egypt Exploration Society, 1927; FErrINI, C.: Delle origini della Parafrasi greca delle Istituzioni. In Opere di Contardo Ferrini, I. Milano : Hoepli, 1929; vOLTErra, E.: Collatio legum Mosaicarum et Romanarum. In Memorie della Regia Accademia nazionale dei Lincei. Serie vI, vol. III (1930); aLBErTarIO, E.: Sulla „Epitome Gai“. In Atti del Congresso Internazionale di Diritto Romano di Roma, I. Pavia : Fusi, 1934; araNGIO-rUIZ, v.: Frammenti di Gaio n. 1182. In Papiri Greci e Latini (Pubblicazioni della Società Italiana per la ricerca dei papiri greci e latini in Egitto), XI, nn. 1182–1222. Firenze : ariani, 1935 (ora in Studi epigrafici e papirologici. Napoli : Giannini, 1974); arCHI, G. G.: L’„Epitome Gai“. Studio sul tardo diritto romano in Occidente. Milano : Giuffrè, 1937 (rist. Napoli : Jovene, 1991); araNGIO-rUIZ, v.: La compilazione giustinianea e i suoi commentatori bizantini. In Scritti in onore di Contardo Ferrini. Milano : Hoepli, 1946; G. LONGO, s. v. Lex romana Wisigothorum. In Novissimo Digesto Italiano, IX. Torino : Utet, 1963; C. a. CaNNaTa, Sui „fragmenta Augustodunensia“. In Studi in onore di Biondo Biondi, I. Milano : Giuffrè, 1963 (ora in: Scritti scelti di Diritto Romano, I. Torino : Giappichelli, 2011); idem: Sull’origine dei „Fragmenta Augustodunensia“. In SDHI. XXIX (1963) (ora in: Scritti scelti di Diritto Romano, I. Torino : Giappichelli, 2011); DE FraNCISCI, P.: Saggi di critica della Parafrasi greca, delle Istituzioni giustinianee. In Studi in onore di Biondo Biondi, I. Milano : Giuffrè, 1965; CaNCELLI, F.: s. v. Tituli ex corpore Ulpiani. In Novissimo Digesto Italiano, XIX. Torino : Utet, 1973; COrBINO, a.: Il rituale della „mancipatio“ nella descrizione di Gaio. In SDHI. XLII (1976); NELSON, H. L. W.: op. cit. 8; vaCCa, L.: L’Epitome Gai. In Index. XXI (1993); MErCOGLIaNO, F.: „Tituli ex corpore Ulpiani“. Storia di un testo. Napoli : Jovene, 1997; avENarIUS, M.: Der pseudo-ulpianische liber singularis regularum: Entstehung, Eigenart und Uberlieferung einer hochklassischen Juristenschrift. Göttingen : Wallstein, 2005; BrIGUGLIO, F.: La paternità di Gaius in una scritta ritrovata del Codice veronese delle Institutiones. In Minima epigraphica et Papyrologica. XI (2008), pp. 205s.; MaNTOvaNI, D.: Costantinopoli non è Bologna. La nascita del Digesto fra storiografia e storia. In MaNTOvaNI, D./PaDOa SCHIOPPa a. (a cura di): Interpretare il Digesto. Storia e metodi. Pavia : IUSS Press, 2014, pp. 105–134 e MaNTOvaNI, D.: Tituli e Capita nelle Institutiones di Gaio e nell’Epitome Gai. Contributo allo studio del paratesto negli scritti dei giuristi romani. In SCDR. XXvIII (2015), pp. 587–622.

    83 Così, STUDEMUND, G.: op. cit. 5, p. IX; idem, Apographum, cit., p. XX. Si veda anche SOLaZZI, S.: Glosse a  Gaio. In Scritti di diritto romano, vI. Napoli : Jovene, 1972, pp. 153–484. In particolare, gli studi del Solazzi, compiuti nell’epoca dell’interpolazionistica, secondo DE MarTINO, F.: Siro Solazzi (1875–1957). In Iura IX (1958), p. 149, rappresentano una „vera miniera di originali osservazioni critiche, qualunque sia la posizione da assumere intorno al problema centrale del testo veronese“. Come è noto, infatti, le c.d. glosse a  Gaio costituiscono una questione assai controversa in dottrina, tra l’altro ridimensionata nel corso del tempo. Cf. inoltre KNIEP, F.: Der Rechtsgelehrte Gaius und die Ediktskommentare. Jena : Fischer, 1910, pp. 36s.; araNGIO-rUIZ, v.: Sul „liber singularis regularum“. appunti gaiani. In BIDR. XXX (1920), pp. 178–219; BESELEr, G.: romanistische Studien. In Tijdschrift voor Rechtsgeschiedenis. X (1930), pp. 161s.; WOLFF, H. J.: Zur Geschichte des Gaiustextes. In Studi in onore di Vincenzo Arangio-Ruiz nel XLV anno del suo insegnamento,

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    73Le Istituzioni di Gaio attraverso la constitutio textus dei suoi apografi

    in pochi o comunque singoli vocaboli, con i quali i glossatori avevano tentato di rafforzare la struttura dei periodi ovvero di rendere questi più efficaci. Nella sua edizione critica, Studemund ha avuto cura di racchiudere tra parentesi quadre [ ] le suddette glosse, oltre a darne menzione nell’apparato critico84.

    L’ultima tipologia di errori concerne le parole che dalla prosa gaiana sono state espunte in caso di omoteleuto. Ciò è facilmente dimostrabile facendo ricorso, ancora una volta, alle fonti parallele, specie alla Collatio legum Mosaicarum et Romanorum, alle Istituzioni e al Digesto di Giustiniano85. Studemund nella sua versione editoriale ha provveduto a racchiudere tra virgolette < > e a scrivere in corsivo i vocaboli, parte dell’originaria prosa gaiana, che non furono ricopiati dagli svogliati trascrittori poiché incappati nelle lacune per omoteleuto86.

    Ora, alla luce della classificazione di refusi anzidetta, Studemund non nega che le difficoltà maggiori da lui incontrate siano sorte nella ricostruzione del testo gaiano piuttosto che nella correzione degli errori commessi dai copisti del manoscritto. In tutto o in parte, molte pagine del codice palinsesto erano rimaste illeggibili, pertanto l’approccio nel colmare le lacune della pergamena doveva essere di estrema cautela. Lo studioso preferì mantenere taluni passi incompleti a costo di lasciare la prosa gaiana turpemente sconnessa, anziché, per dirla con Plauto, parlare invano e perdere tempo, infilando a forza nel testo frasi errate e molto incerte87. Quella relativa alla diversa precisione delle varie trascrizioni precedenti all’opera studemundiana è difatti una questione assai delicata, stanti gli enormi rischi che può comportare l’accettazione di talune letture senza la possibilità di una verifica sul testo della pergamena. ragion per cui la ratio seguita da Studemund appare affatto condivisibile: tutte le trascrizioni dovevano trovare un riscontro tangibile nei segni presenti sul Codice veronese, poiché è solo attraverso un modus operandi di tal genere che l’originaria prosa gaiana può essere rinvenuta, serenamente e senza ipocrisie, al di sotto della scriptura superior. Fuori da tale ambito operativo, „si entra in un campo del tutto diverso, quello dell’opinatio divinatrix, in cui ci si muove lungo il labile filo delle congetture, dove unico oggetto di petizione è il probabile“88.

    Iv. Napoli : Jovene, 1953, pp. 171s. e WIEaCKEr, F.: Textstufen Klassischer Juristen. Göttingen : vandenhoeck & ruprecht, 1960 (rist. Göttingen : vandenhoeck & ruprecht, 1975).

    84 STUDEMUND, G.: op. cit. 5, p. IX. In particolare, tra queste glosse rientrano a detta di Studemund (ibid., n. 7) tanto le rubriche di titoli apposte dall’anonimo correttore quanto le altre ricopiate dal primo copista, presenti nell’archetipo del veronese e invece assenti nell’originario testo gaiano.

    85 Si veda POLENaar, B. J.: Ad Gaium Institutionum Codicem Veronensem. In Mnemosyne. A Journal of Classical Studies. Iv (1876), pp. 115s.

    86 STUDEMUND, G.: op. cit. 5, p. X. Nella versione editoriale curata da Studemund sono invece riportate semplicemente in corsivo le lettere che non potevano affatto scorgersi sul codice gaiano, oppure potevano essere confuse con altre simili, o ancora che erano del tutto diverse da quelle riportate sul manoscritto; questi casi sono accuratamente spiegati nelle note dell’apparato critico (cf. ibid., pp. XIII–XIv). In esso, oltre alla eventuale discrepanza tra la scriptura decifrata nel codice e la resa editoriale, e a talune selezionate congetture di dotti studiosi, sono state raccolte ampiamente le lezioni – discordanti rispetto al veronese – offerte dalle fonti parallele al manuale gaiano. Si ricordi, infine, che nello spazio sovrastante le note (cioè tra il testo gaiano e l’apparato critico) è raccolto l’indice di quelle fonti che dalle Istituzioni di Gaio sono rifluite – pedissequamente o quasi – nel Digesto o nelle Istituzioni di Giustiniano o in altri testi giuridici. Laddove il testo delle predette fonti si conformava del tutto al testo gaiano, ciò è stato indicato con il simbolo „=“; quando invece vi erano talune differenze, si è utilizzata la dizione „fere=“; dove invece appariva che il testo gaiano fosse stato modificato più liberamente, le discrepanze con tali passi sono state richiamate dalla dizione „conf.“; infine, allorquando è lo stesso Gaio a  rimandare a  taluni passi del suo testo, sono stati indicati precisamente quali fossero tali paragrafi gaiani (cf. ibid., pp. Xv–XvI).

    87 Ibid., p. XII.88 In questo senso, BrIGUGLIO, F.: op. cit. 22, p. 12.

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    74 Francesco Alberto Santulli

    Ebbene, l’acribia studemundiana è ben dimostrata negli Addenda et corrigenda, e per dare concreta tangibilità a quanto affermato – se mai ve ne fosse bisogno – mi permetto di rimandare ancora ai risultati tratti dalla ricerca che ho compiuto in ordine al confronto sinottico sulle tre fondamentali opere di cognizione delle Istituzioni di Gaio, i due apographa e i Supplementa89.

    In ogni caso, si ricordi che Studemund, durante i soggiorni veronesi utili alla redazione dell’apografo, emendò anzitutto un numero non indifferente di punti del manoscritto che, nel corso degli anni, avevano fatto sorgere innumerevoli questioni controverse e altrettanti dubbi interpretativi, oltre naturalmente alle correzioni e integrazioni che lo stato della pergamena consentiva ancora di fare. Lo stesso Göschen aveva ammesso che la prima trascrizione, da lui effettuata, era di certo emendabile. Come abbiamo visto, erano poi seguite le revisioni fornite da Bluhme, che avevano portato altre integrazioni al testo, a  prezzo tuttavia di ulteriori danni alle già fragili pergamene.

    Pur dedicandosi Studemund nel suo apografo ai suddetti puncta dolentes, tuttavia, le lacune più vaste rimasero irrisolte. E ciò emerge proprio dal continuo ricorso che effettuava sovente alle schede di Göschen e di Bluhme, pure relativamente a parti del manoscritto che oggi appaiono facilmente decifrabili. Questi passi possono essere individuati con facilità nell’apografo studemundiano poiché, come detto sopra, i caratteri integralmente tratti dalle Schede di Göschen sono racchiusi all’interno di parentesi tonde ( ), mentre all’interno di parentesi quadre [ ] sono quelli tratti dalle Schede di Bluhme. Ebbene, con la pubblicazione dei Supplementa, mediante aggiunte e correzioni Studemund ritornò anche su tali lacerti, dapprima ritenuti illeggibili a causa dell’uso smodato dei reagenti chimici.

    4 La completa ricostruzione del manuale istituzionale: hoc opus, hic labor est90

    È pacifico che la base imprenscidibile ai fini della conoscenza del Gaio veronese resti tuttora saldamente ancorata allo studio dell’apographum del 1874 e dei successivi Supplementa.

    risulta infatti incontrastato che i Supplementa di Studemund costituiscano il risultato di un lavoro affatto maturo e privo di condizionamenti esterni, ove, nella maggior parte dei casi, sono correttamente riprodotti i segni originali del manoscritto veronese. L’acribia che Studemund ha profuso in essi è innegabile, basti per c