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Rivista svizzera di architettura, ingegneria e urbanistica Schweizerische Zeitschrift für Architektur, Ingenieurwesen und Stadtplanung 1 2017 TESTI TEXTE | Marcello Abbiati | Matthias Alder, Silvana Clavuot e Alessandro Nunzi | Alberto Caruso | Nott Caviezel | Diego Giovanoli PROGETTI PROJEKTE | Armando Ruinelli «SIA-Service» festeggia 10 anni 1 2017 Armando Ruinelli e l’architettura della Val Bregaglia Armando Ruinelli und die Architektur im Bergell

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Rivista svizzera di architettura, ingegneria e urbanistica Schweizerische Zeitschrift für Architektur, Ingenieurwesen und Stadtplanung

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TE S T I T E X T E | Marcello Abbiati | Matthias Alder, Silvana Clavuot e Alessandro Nunzi | Alberto Caruso | Nott Caviezel | Diego GiovanoliPROGE T T I P R OJ E K T E | Armando Ruinelli

«SIA-Service» festeggia 10 anni

1 2017Armando Ruinelli e l’architettura della Val BregagliaArmando Ruinelli und die Architektur im Bergell

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In copertina: Armando Ruinelli, Atelier di Miriam Cahn, Stampa. Foto Ralph Feiner

2 ACCADEMIA DI ARCHITE T TUR A A AM a cura di Mercedes Daguerre 5 SCUOL A UNIVERSITARIA PROFESSIONALE SUPSI a cura di Manuel Lüscher 8 INTERNI E DESIGN a cura di Gabriele Neri 9 DIARIO DELL’ARCHITE T TO a cura di Paolo Fumagalli

Armando Ruinelli e l’architettura della Val Bregaglia Armando Ruinelli und die Architektur im Bergell a cura di Debora Bonanomi e Laura Ceriolo

11 EDITORIALE ARCHITE T TUR A IN VAL BREGAGL IA Alberto Caruso

13 «YOU MUST ABSOLUTELY BUILD A HOUSE IN THE BREGAGLIA» Marcello Abbiati 17 L’ARCHITET TURA STORICA IN BREGAGLIA Diego Giovanoli 22 L A FUNIVIA DELL’ALBIGNA Matthias Alder, Silvana Clavuot e Alessandro Nunzi 30 ARMANDO RUINELLI, ARCHITET TO DELL A VALLE Alberto Caruso 34 COSTANZA E COERENZA Nott Caviezel

36 CASA UNIFAMILIARE , CASTASEGNA Armando Ruinelli 40 CIMITERO SAN LORENZO, SOGLIO Armando Ruinelli 42 ATELIER DI MIRIAM CAHN, STAMPA Armando Ruinelli 46 RISTRUT TUR AZIONE CASA 63, SOGLIO Armando Ruinelli 50 TR ASFORMAZIONE E RICOSTRUZIONE DI DUE RUSTICI, ISOL A Armando Ruinelli 54 RISTRUT TUR AZIONE DI UN’ABITAZIONE, SILS MARIA Armando Ruinelli 56 APPARATI Laura Ceriolo

58 COMUNICAT I S IA a cura di Frank Peter Jäger 62 COMUNICAT I OT IA a cura di Daniele Graber 63 L IBRI a cura di Mercedes Daguerre 64 CONCORSI T I a cura di Teresa Volponi

n.1 febbraio 2017

Dai progettisti per i progettisti! Spazio interdisciplinare, interculturale, specialistico, indipendente e critico.

Con TEC21, TRACÉS, Archi e la piattaforma comune www.espazium.ch creiamo uno spazio di riflessione sulla cultura della costruzione.

Tec21 n.5-6 WerkBundStadt II – Schweizer Beiträgeespazium.ch/tec21

Tracés n.03 Nant de Drance #2espazium.ch/traces

National Holocaust Memorial and Learning CentreResi noti i nomi dei finalisti selezionati per il concorso.espazium.ch/archi

Nel prossimo numero:Progettare in sezione

Dello stesso editore:

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Gabriele NeriDocente del corso «Design in Italia: 1945-2016»

L’importanza dello studio della storia del design all’Accademia di architettura di Mendrisio è data innanzitutto da due vicinanze. La prima è disciplinare: il de-sign, per come siamo abituati a intende-re questa parola nella lingua italiana – in realtà il concetto è molto ampio e complesso – ha da sempre specifiche connessioni con l’architettura e gli ar-chitetti. Se ciò appare evidente soprat-tutto nel campo del furniture design, cioè dell’arredo, il discorso si estende in realtà a molte altre categorie di prodotti o ambiti di ricerca.

Non è un caso che siano stati proprio gli architetti, storicamente, a dare gran-di impulsi a settori come il design grafi-co, il design del prodotto, dell’illumina-zione ecc. Si pensi al lavoro di Peter Behrens per la AEG, esempio fonda-mentale per lo sviluppo del design del prodotto e della corporate image; ai tele-visori e alle radio progettate da Marco Zanuso per la Brionvega; alle lampade dei fratelli Castiglioni ecc. La lista sareb-be infinita. E poi ci sono ambiti proget-

tuali in cui spesso non è possibile fare di-stinzioni nette: penso all’architettura degli interni, alla scenografia, all’allesti-mento di mostre ecc. Nella cultura pro-gettuale italiana queste contaminazioni sono particolarmente forti. Il design rap-presenta infatti una parte fondamentale nell’opera di maestri come Gio Ponti, Franco Albini, Vico Magistretti, Carlo Mollino e tanti altri: una dimensione che non può essere ridotta ad accesso-rio della loro produzione architettonica, ma che ha funzionato da punto di incon-

tro tra scale diverse, verso un’organicità del progetto che non divide per compar-timenti stagni il lavoro dell’architetto.

Gli aspiranti architetti dovrebbero quindi imparare a guardare anche un po’ al di fuori dei loro più ridotti confini disciplinari – come del resto già impara-no a fare da molti altri docenti in Acca-demia – in modo da essere coscienti e consapevoli delle connessioni proget-tuali, culturali e materiali di questi mon-di. Credo inoltre che questa permeabili-tà tra i vari ambiti del design (letto come

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1 Pubblicità della poltrona Sgarsul progettata da Gae Aulenti, Poltronova, 1962 circa. 2–3 Manifesti di Giovanni Pintori per la Olivetti.

«progettazione») abbia un significato an-cora maggiore all’interno di una scuo-la che si propone di coltivare la figura dell’architetto «generalista», cioè di «ope-ratore totale» capace di porre domande ancor prima di dare risposte.

La seconda «vicinanza», per l’Accade-mia, è di carattere geografico: Mendri-sio si trova infatti a pochi chilometri da una delle aree più famose internazional-mente per il design: quella rete eccezio-nale di competenze, istituzioni, musei, laboratori, industrie, ecc. che tra Milano e la Brianza dai primi decenni del secolo scorso – ma con un’accelerazione cru-ciale nel secondo dopoguerra – si è evo-luta fino a diventare un punto di riferi-mento globale. Si tratta di qualcosa che non può essere ignorato dai futuri archi-tetti, e credo che ciò rappresenti un’op-portunità anche per i nostri studenti che vengono da molto lontano e che non hanno un’esatta idea del contesto al-largato nel quale si trovano. Giusto per citare qualche luogo: a Milano c’è il Pa-lazzo dell’Arte, palcoscenico e backsta-ge di tante manifestazioni culturali le-gate alla promozione e all’esposizione del disegno industriale (e non solo); c’è la Fondazione-Studio-Museo Vico Magi-stretti, la Fondazione Franco Albini e la Fondazione Achille Castiglioni, per limi-tarsi a qualche nome. Spostandosi di po-co c’è il Museo della Kartell a Noviglio, tempio della plastica; il Museo Molteni di Giussano; il Museo Storico dell’Alfa Romeo di Arese… e la lista continua.

A partire da queste premesse, attra-verso un ciclo di lezioni – a cui si aggiun-gono delle visite guidate – il mio corso cerca di fornire delle basi storiche e teori-che per inquadrare le vicende del design italiano dal 1945 ai nostri giorni come ri-sultato di una peculiare sommatoria di

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condizioni. Per capire la traiettoria che ha portato dai primi esperimenti artigia-nali al «sistema design» che si può vede-re oggi, ad esempio, al Salone del Mobile di Milano, con le sue folle oceaniche di visitatori e i grandi investimenti finan-ziari, bisogna infatti analizzare precise questioni economiche, politiche, didatti-che, industriali, tecniche, culturali e ov-viamente estetiche, che si riflettono nella storia di progettisti, imprenditori, riviste, musei, aziende, prodotti. Il mio obiettivo è dare agli studenti una maggiore con-sapevolezza storico-culturale rispetto a fenomeni progettuali molto variegati ma anche assimilati da dinamiche comuni, in modo che in futuro – ma già nell’im-mediato – possano ricavare importanti stimoli da un mondo che talvolta viene percepito soltanto per le sue sfumature più superficiali e abbaglianti.

L’assicurazione per imprenditori della Suva tutela i lavoratori indipen-denti dalle conseguenze economiche di eventuali infortuni sul lavoro,malattie professionali o infortuni nel tempo libero. Tra l’altro, la coper-tura assicurativa può essere estesa anche ai familiari che lavoranonell’azienda senza percepire uno stipendio soggetto ai contributi AVS.Per maggiori informazioni visitate il sito www.suva.ch/afi.nell’azienda senza percepire uno stipendio soggetto ai contributi AVS. Per maggiori informazioni visitate il sito www.suva.ch/afi.

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4 Mobilificio Angelo Molteni, Giussano, 1947 5 Marco Zanuso e Richard

Sapper, televisore Algol 11, Brionvega 1964. Foto di Serge Libiszewski, Milano

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Il restauro come approccio inter-disciplinare

Giacinta JeanResponsabile del corso di laurea in conservazione e restauro Paola IazurloDocente master in conservazione e restauro

Da ottobre 2016 la SUPSI ha intrapre-so il restauro del dipinto murale cinque-centesco raffigurante La pesca miracolo-sa collocato all’interno della chiesa di Santa Maria del Sasso a Morcote, con gli allievi del Master in Conservazione e Re-stauro. L’intervento, eseguito in forma di cantiere didattico, costituisce un signifi-cativo esempio di collaborazione interdi-sciplinare tra professionisti di diversi set-tori (esperti scientifici, storici dell’arte, architetti, conservatori-restauratori), non-ché di quella necessaria gradualità di ap-proccio resa possibile attraverso una pro-grammazione lungimirante del lavoro.

La chiesa di Santa Maria del Sasso, in splendida posizione panoramica su un promontorio a picco sul lago Ceresio, co-stituisce una delle più preziose testimo-nianze di epoca rinascimentale in Tici-no. Di origine medioevale, l’edificio è stato più volte modificato nel corso dei secoli e reca tracce di fasi costruttive di-verse: una storia articolata e complessa testimoniata anche dalla pluralità di sti-li delle pitture murali presenti al suo inter-no. La cappella della Pesca miracolosa si colloca nel pieno della fase rinascimenta-le, intorno al 1520: recenti studi attribui-scono i dipinti all’artista Bartolomeo da Ponte Tresa, attivo in vari cicli pittorici del territorio luganese tra cui la celebre Cappella Camuzio in Santa Maria degli Angeli a Lugano. A Santa Maria del Sas-so il dipinto principale della cappella ri-copre una notevole importanza non solo dal punto di vista artistico ma anche storico, in virtù del tema raffigurato, allu-sivo al godimento di quell’honor piscium concesso dai duchi di Milano agli abi-tanti di Morcote dal XV secolo, che con-sentiva loro piena autonomia di pesca nel lago e l’esenzione dei dazi all’interno del ducato.

L’interesse della SUPSI per la chiesa di Santa Maria del Sasso data al 2013, su sollecitazione del Comune di Morcote, a cui spetta la pertinenza dell’edificio, e dell’Ufficio dei beni culturali di Bellinzo-na con il quale la Scuola mantiene da sempre un rapporto di stretta collabora-

zione. A partire da questo momento so-no state eseguite alcune tesi e una serie di cantieri di studio, che hanno visto la partecipazione degli allievi del corso Ba-chelor in Conservazione sotto la guida del docente Marco Somaini. I cantieri e le tesi sono stati focalizzati di volta in volta sui vari cicli pittorici presenti all’in-terno della chiesa e hanno permesso di raccogliere una serie di informazioni sulla tecnica di esecuzione delle pitture e sullo stato di conservazione da queste presentato. Gli studi diretti sulle superfi-ci, qui come altrove, sono stati preceduti e accompagnati dalla raccolta sistema-tica delle fonti bibliografiche e dalla let-tura dei documenti d’archivio, che ha consentito di chiarire l’importanza arti-stica e soprattutto la storia conservativa dell’edificio e dei dipinti in esso presen-ti. Nel lavoro di ricerca storico-artistica è risultato fondamentale il supporto offer-to dall’Ufficio dei beni culturali, nella persona di Lara Calderari, e dagli storici dell’arte che hanno approfondito lo stu-dio di questi beni, come Silvia Valle Par-ri. Molte notizie o fotografie storiche me-no note sono state inoltre reperite nell’archivio della Commissione federa-le dei monumenti storici presso la Bi-blioteca nazionale di Berna, dove sono raccolti molti documenti sui beni di importanza nazionale. Queste informa-zioni sono state quindi comparate ai da-ti ottenuti dall’osservazione ravvicinata sul posto nonché alle indagini scientifi-che (di tipo non invasivo o su micropre-lievo di campione), effettuate allo scopo di chiarire alcuni aspetti particolari del-la tecnica pittorica, dei materiali costitu-tivi e soprattutto dei problemi di degra-do riscontrati. Infine, una campagna di monitoraggio ambientale, eseguita da Andreas Küng dell’Istituto Materiali e Costruzioni della SUPSI ed estesa per ol-

tre un anno, ha rilevato le condizioni ter-mo-igrometriche dell’edificio dimostran-done la relativa stabilità, in termini di inerzia termica, al variare dei parametri ambientali esterni.

Questo complesso lavoro di ricerca preliminare ha prodotto un quadro com-plessivo di conoscenze quanto mai este-so e articolato, grazie al quale è stato pos-sibile mettere a punto, in modo mirato, l’attuale progetto di restauro del dipinto raffigurante La pesca miracolosa, uno dei più rappresentativi all’interno della chie-sa ma tra i più compromessi a causa di un passato prolungato danneggiamento delle coperture nella parte soprastante.

L’intervento di restauro ha permesso di evidenziare in primo luogo la straordi-naria qualità della tecnica artistica del dipinto, maturata nell’ambito del rina-scimento lombardo, e basata sulla pie-na conoscenza da parte dell’autore della tecnica dell’affresco, un procedimento difficile che imponeva all’artista una grande abilità nel dipingere velocemen-te, ovvero prima della completa carbo-natazione della calce, su porzioni di into-naco predefinite. I dettagli delle figure resi in punta di pennello, accanto a ste-sure veloci estremamente sintetiche nel paesaggio, ci presentano un artista mol-to consapevole della tecnica dell’affre-sco e padrone dei propri mezzi espres-sivi. Ciò ha indubbiamente favorito la conservazione delle pitture fino ad oggi, nonostante i gravi problemi subiti nel corso del tempo. Tra questi, come ac-cennato, va ricordato in primo luogo il dissesto delle coperture nella parte im-mediatamente soprastante la lunetta, ben documentato da antiche foto d’ar-chivio, che ha comportato il percola-mento di acque meteoriche sulle pittu-re, l’affioramento di sali solubili e la parziale perdita della pellicola pittorica

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nella zona centrale più esposta al dan-no. A questa situazione di degrado si era cercato di porre rimedio già in passato con interventi finalizzati al recupero del-la cromia mediante l’estesa applicazio-ne di ravvivanti di natura organica, che al momento del nostro intervento appa-rivano ormai profondamente imbruniti.

La pulitura è stata quindi una fase estremamente delicata e articolata, in quanto finalizzata alla rimozione non solo dello sporco, accumulato sulla su-

1 Gli studenti in cantiere durante la pulitura. Fonte SUPSI

2 Il dipinto con alcuni tasselli di sporco. Fonte SUPSI 3 Particolare dei segni di percolamento delle

acque meteoriche sul dipinto. Fonte SUPSI 4 Particolare del ravvivante applicato in precedenti interventi. Fonte SUPSI 5 Un momento della fase di pulitura. Fonte SUPSI

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Note 1. Come l’indagine XRF, eseguita a più riprese da Giovanni Cavallo e Francesca Piqué, SUPSI-IMC,

che ha permesso di caratterizzare la tavolozza dell’artista, orientando la successiva operazione di pulitura.

2. Fondamentale in tal senso è stata l’indagine dei sali solubili presenti sul dipinto, eseguita

da Andreas Küng, SUPSI- IMC, che ha permesso di accertare l’antica origine del fenomeno.

perficie del dipinto nel corso dei secoli, ma anche dei più recenti prodotti di re-stauro ormai alterati (e costituiti da rav-vivanti organici, estese ridipinture e stuccature grossolane).

Al momento attuale il restauro è an-cora in corso: una sua conclusione è pre-vista per la fine di maggio. L’obiettivo fi-nale sarà non solo quello di stabilizzare le condizioni dell’opera neutralizzando i fattori di rischio (come i microsolleva-menti del colore imputabili alla presen-za dei sali) , ma anche il recupero della sua leggibilità, che risultava gravemen-te compromessa dalle passate vicende conservative: in quest’ottica la fase di pulitura e quella successiva di reinte-grazione delle microcadute del colore (da compiersi con prodotti reversibili nel tempo e il più possibile stabili, se-condo i criteri di riconoscibilità delle la-cune enunciati dalla teoria di restauro di Cesare Brandi) consentirà di equili-brare quelle gravi disomogeneità che caratterizzavano il dipinto determinan-done forti squilibri cromatici. Il restauro diviene in questo modo un mezzo per garantire non solo la corretta conserva-zione dell’opera ma anche la sua piena valorizzazione, secondo un termine or-mai diffuso nelle attuali politiche euro-pee dei beni culturali (e già espresso nella

Legge sulla protezione dei beni culturali del 13 maggio 1997, cap. 2 art. 19).

All’interno di un simile piano di lavo-ro pluriennale, il restauro si pone quindi come momento conclusivo di un com-plesso iter progettuale interdisciplinare, in cui si confrontano specialisti di diver-sa formazione. Dallo storico dell’arte, che permette di impostare una corretta ricerca storico artistica anche attraver-so il reperimento e il corretto uso delle fonti o il confronto tra opere analoghe, all’esperto scientifico (chimico, petrogra-fo, diagnosta), che aiuta a chiarire, attra-verso indagini mirate, i materiali costitu-tivi dell’opera1 ed eventuali fenomeni di degrado ipotizzati.2

All’interno del team, il restauratore raccoglie le informazioni preliminari, avanza le ipotesi sui problemi di degra-do presenti sull’opera, verificandone la validità sulla base delle analisi scientifi-che opportunamente indirizzate in un continuo proficuo confronto con il chimi-co o l’esperto scientifico, imposta quindi il progetto conservativo dell’opera sulla base dei dati raccolti, verificandone co-stantemente l’adeguatezza in corso d’o-pera. Il restauratore pertanto non è solo colui che puramente esegue l’interven-to ma è soprattutto colui che lo progetta alla luce delle necessità individuate,

stabilendo priorità, impostando le fasi di lavoro, scegliendo mezzi e modi ope-rativi, in stretta collaborazione con i re-sponsabili dell’Ufficio dei beni culturali. Qualora l’intervento di restauro sia conce-pito come parte di un più ampio progetto architettonico e strutturale, diviene fon-damentale il raccordo con l’architetto, che è chiamato a coordinare su ampia scala l’insieme dei diversi interventi, va-lutando assieme obiettivi e tempi, l’orga-nizzazione e la successione di lavorazio-ni distinte, in funzione della qualità del risultato. Il cantiere rispecchia in que-sto modo il principio di interdisciplinari-tà già da tempo universalmente ricono-sciuto come fondamentale requisito della disciplina del restauro, e ben ribadito dall’art. 3.6 dei Principi per la tutela dei monumenti storici in Svizzera redatti dalla Commissione Federale dei Monu-menti Storici del 2007.

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N Hello Robot!Design e robotica al Vitra Museum

Gabriele Neri

Il tema del rapporto tra uomo e mac-china è ormai vecchio di secoli ma di continua attualità. Nelle sue infinite de-clinazioni, tale liaison stimola con parti-colare forza il mondo del design, chia-mato a dare una forma – nel senso più allargato del termine – a questo incon-tro, mediando tra ingegneria ed esteti-ca, tra invisibili algoritmi e realtà quoti-diana, tra prestazioni ed emozioni.

Una mostra al Vitra Design Museum di Weil am Rhein (fino al 14 maggio) af-fronta questo complesso argomento e più in particolare il rapporto tra design e robotica, disciplina che ci avvolge con le sue svariate e ormai onnipresenti rami-ficazioni. La robotica trascende infatti l’idea stereotipata del concetto di robot, come ci spiega Amelie Klein, curatrice della mostra: «Di solito, quando si parla di robot la gente pensa a singole unità con le sembianze di un uomo, con due gambe, una faccia, occhi e orecchie. In-vece quando parliamo di robot siamo oggi di fronte a qualcosa di molto più ampio». E quindi come possiamo ricono-scere un robot? «Non c’è una sola defini-zione, ma – in maniera molto generale – possiamo dire che un robot è qualsiasi cosa o qualsiasi luogo dotato di sensori (intesi come strumenti per misurare dei dati), intelligenza (quindi un software per interpretare i dati) e “attuatori”, cioè strumenti che possano dare una rispo-sta ai dati ricevuti con un outcome, un ri-sultato: luci, suoni, movimento, o altro. Se lo pensi in questi termini, l’immagine classica del robot sparisce, perché ogni cosa può essere un robot, se ha i requisi-ti appena descritti. Anche una città, o l’intero ambiente in cui viviamo».

La mostra ci accompagna in maniera graduale alla scoperta di questa varietà, attraverso un percorso che va dai più co-muni stereotipi fino agli orizzonti futuri. Nella prima sezione si incontra infatti il mondo novecentesco della fantascienza e della pop culture, molto affascinante ma spesso lontano dalla realtà: oltre ai tanti robot giocattoli degli anni Cinquan-ta, Sessanta e Settanta, in mostra c’è an-che R2-D2, il celebre droide di Star Wars.

La seconda sezione guarda invece al mondo dell’industria, in cui l’effetto del-la robotica è stato dirompente non solo dal punto di vista pratico: l’impiego dei robot nel mondo del lavoro reca infatti con sé lo spettro della sostituzione e dun-que della minaccia, evocando scena-

ri molto complessi. Emblematica, dal punto di vista simbolico, è l’installazio-ne Robotlab, in cui si vede un robot che compone manifesti mischiando insie-me vari termini e concetti presenti nella propria memoria. Ogni manifesto è di-verso dall’altro, contraddicendo la natu-ra industriale del processo e lasciando a ogni visitatore l’interpretazione di un la-voro che da meccanico diventa qual-cos’altro: creativo?

Con la terza sezione si entra final-mente nel vivo della questione, con una carrellata di casi studio che dimostrano le applicazioni della robotica nella vita di tutti i giorni. Uno dei più interessanti è il documentario Alice Cares, di Sander Burger, che fa vedere un esperimento scientifico fatto con tre signore anziane bisognose di attenzione e cure, alle pre-se con una bambina-robot capace di memorizzare, parlare, muoversi ecc. Guardando l’interazione tra le signore e questa specie di bambola vengono evo-cate molte questioni etiche e sociali in cui anche il design fa la sua parte. Ed in-fine, nella quarta sezione, si affronta un

grado ulteriore di dialogo tra uomo e ro-bot: quello che avviene nell’ambiente co-struito – con edifici o città capaci di «im-parare» dall’esperienza acquisita o dalle informazioni immagazzinate in tempo reale – e ancor più con l’integrazione della robotica nei nostri corpi biologici tramite protesi e sensori sempre più sviluppati.

Che ruolo ha il design in tutto que-sto? Un ruolo più importante di quello che sembra a prima vista: quello di fonda-mentale interprete e mediatore tra due mondi che non sono mai stati così in-trecciati.

1 Sander Burger, Alice Cares, 2015, Fotogramma. Fonte KeyDocs/Alice Cares. 2 Yves Gellie, Human Version 2.07 Nexi, 2009. Fonte Yves Gellie, Galerie du jour agnès b,

Galerie Baudoin Lebon

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tu aggreghi, noi aggreghiamo. E il progetto?

Paolo Fumagalli

Aggregare un Cantone: il TicinoIl Cantone Ticino si è lanciato nell’ag-

gregare città, borghi e villaggi. A oggi si è passati – tra il 1980 e il 2016 – da un Ti-cino composto di 247 comuni a un Ticino di 130 comuni. E nuove aggregazioni so-no auspicate – se non imposte – per ridur-re ulteriormente il numero dei comuni.

Benissimo, si direbbe. Con queste fu-sioni si semplificano le strutture politi-che e funzionali, dai Municipi ai Consigli comunali, dalla contabilità alle pratiche amministrative, e poi l’organizzazione dei servizi essenziali, la raccolta dei rifiu-ti, la manutenzione di strade e parchi, le scuole, l’assistenza agli anziani, e così via. Un’unica gestione centrale per prov-vedere a questi compiti, fondamental-mente di carattere politico–gestionale, amministrativo e finanziario.

È con questi concetti che in diverse fasi Lugano ha aggregato molti comuni che la circondano: dal 1972 al 2013 la cit-tà ha fagocitato 21 comuni, e si estende dall’alto della Valcolla fin su al monte San Salvatore, fino a Carona. Quella che è chiamata «nuova Lugano» conta ora circa 65’000 abitanti. Analogo il proces-so di aggregazione dell’Alto Mendrisiot-to: tra il 2004 e il 2013 il comune di Men-drisio ha aggregato 9 comuni, e la «nuova Mendrisio» conta ora oltre 15’000 abitan-ti. E poi le aggregazioni di alcune valli del Sopraceneri, come la valle di Blenio rimasta con due soli comuni, Acquaros-sa e Blenio. E la formazione del comune di Serravalle, mentre un analogo pro-cesso avviene nelle Centovalli e in Val-lemaggia. Da ultimo la «nuova città di Bellinzona», nata dall’aggregazione di Bellinzona, Camorino, Claro, Giubiasco, Gnosca, Gorduno, Gudo, Moleno, Monte Carasso, Pianezzo, Preonzo, Sant’Anto-nio, Sementina.

Io aggrego una valle: come?Ovvio, se io aggrego tra loro i comuni

di una valle, ognuno con pochi abitanti, per prima cosa semplifico la gestione politico-amministrativa, quella delle fi-nanze e quella funzionale. Affinché non sia ogni singolo comune ad avere le sue strutture – con le difficoltà nel trovare le persone disponibili per Municipio e Consiglio comunale – e a provvedere ai propri servizi essenziali, ma che ci sia un’unica coordinazione centrale per ge-

stire queste incombenze, fondamental-mente di carattere amministrativo e di utilità pubblica.

Benone. Ma. Ma con la fusione dei vil-laggi di una valle, creata con questi soli concetti, ho la pretesa di dire che ho for-mato un «nuovo comune»? Ma che cavo-lo di comune ne salta fuori? Forse un uni-co grande villaggio esteso dalla cima dei monti al fondo della valle, un insie-me sfilacciato senza logica che mai tro-verà coerenza urbana? O forse questo «nuovo comune» è in realtà uno solo dei villaggi – quello più grande – con una serie di «villaggi satelliti», dispersi un po’ verso i monti, un po’ verso valle? E in questo caso, quale il ruolo del «villaggio più grande» e rispettivamente quali le re-lazioni e la considerazione che il «villag-gio satellite» avrà nel «nuovo comune»?

Mah, vai a capirlo. I criteri che fanno da guida nella pro-

mozione dell’aggregazione sono perfetti dal punto di vista amministrativo, ma nulla dicono di altre questioni – altret-tanto importanti, o meglio detto fonda-mentali – di carattere identitario, di ca-rattere sociale, di carattere urbano e territoriale e paesaggistico. Si tratta in-somma di criteri legati alla qualità, di un ordine superiore rispetto a quelli puramente tecnici, amministrativi. Fon-damentali. Ma ignorati.

Tu aggreghi una città: come?Se si unisce una città con le cittadine

e i borghi e i villaggi che la attorniano, il

tema è ben diverso da quello precedente. Non si tratta infatti di aggregare tra loro dei piccoli isolati comuni di una valle al-pina, ma di unire un insieme di entità ur-bane già contigue, dove ognuna di queste è cresciuta e si è configurata per conto suo, indifferente a quella vicina, finché la sua sfilacciata periferia è andata a sbatte-re contro la periferia del comune contiguo.

La faccenda è quindi ben più com-plessa. In realtà sono stati fusi tra loro non dei comuni, ma degli agglomerati. vale a dire dei comuni già impastati tra loro, con l’obiettivo dichiarato di voler formare una «nuova città», con il comu-ne più popoloso a costituirne il polo cen-trale, circondato dagli ex borghi e citta-dine e villaggi divenuti dei «quartieri».

Un bel grattacapo. Certo, si è semplificata l’amministra-

zione, c’è un solo sindaco, un solo muni-cipio, un solo consiglio comunale, un solo ufficio abitanti e un solo ufficio tecnico. Ma si è voluto innescare un processo li-mitato ai soli criteri di carattere ammini-strativo, ignorando invece – come nelle valli – gli altri criteri, quelli indispensabi-li per creare una «vera» città, inerenti la qualità, vale a dire relativi al modello di città che si vuole creare, alle sue caratte-ristiche e sue proprietà e specificità.

Si tratta di questioni essenziali, è la qualità che avrebbe dovuto essere di guida, primaria, rispetto alle questioni politico-amministrative. Si è proceduto invece solo con quest’ultime.

La scorciatoia più semplice, insomma.

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Blenio

Acquarossa

Serravalle

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Noi abbiamo aggregato: ma il progetto della città non c’èAltro che unica città, altro che «grande

Lugano» o «grande Mendrisio» o «grande Bellinzona».

Non lo si è fatto prima come si dove-va, occorre farlo adesso, cosa ben più difficile: fare un progetto, il progetto del-la «nuova città». Basato su criteri che sia-no chiari, fondati su quelle scelte che so-no fondamentali per sapere quale città si vuole creare. Occorre definire tutto ciò che è pertinente all’abitante, dei suoi spazi di vita, delle sue abitudini, dei suoi luoghi d’incontro e di socializzazione. Definire tutto ciò che è pertinente alle relazioni già esistenti tra di ex comuni oggi quartieri, e rispettivamente quali relazioni si vogliono modificare o creare verso il centro – o meglio: i centri – della «nuova città». E poi specificare il valore dell’identità di ogni quartiere dentro la «nuova città», e come s’intende procede-re per non distruggerla, l’identità. E defi-nire, anzi determinare, quali garanzie avrà il nuovo quartiere, come potrà farsi valere, difendere i suoi interessi e speci-ficità, quale sarà – indipendentemente dalla sua grandezza e popolazione – il suo ruolo e la sua influenza decisionale dentro la «nuova città».

E poi: il progetto della «nuova città» dovrà analizzare e determinare la geo-grafia e il paesaggio della «nuova città», tenere conto delle forti disparità delle di-verse entità urbane, degli elementi na-turali e antropici preminenti e quelli di valore storico o di memoria, nonché pre-vedere il possibile sviluppo edificatorio. E ancora: il progetto dovrà essere atten-to a tutte le strutture inerenti il lavoro e le attività economiche. Senza dimenticare ciò che finora è stato ignorato: gli spazi negletti che esistono tra gli odierni quartieri, quegli spazi residui che con urgenza devono essere a loro volta pro-gettati. Perché? Perché con la creazione della «nuova città» sono proprio queste aree residue ad essere importanti, per-ché tolti i limiti politici dei singoli comu-ni, è proprio il verde in senso lato, i prati, i boschi, i pendii, le aree residue, a costi-tuire in primo luogo il «legante» tra quar-tiere e quartiere, nonché lo strumento per creare identità e qualità.

Non solo l’architetto, non solo l’urbanistaÈ indispensabile fare il progetto della

«nuova città». Ma non può essere una so-la persona a decidere tutto, a tenere in mano la matita – architetto o urbanista

che sia, luminare tuttofare. Ma occorre creare un gruppo di lavoro composto da persone con competenze specifiche e differenti, certamente guidato da un ar-chitetto – per il suo ruolo generalista e le sue pertinenze specifiche – affiancato da un politico a rappresentare gli inte-ressi e le attese dei comuni e della popo-lazione, e poi da un architetto del paesag-gio, da un pianificatore, da un ingegnere, un economista, uno storico. Solo così si potrà affrontare e saldare tra loro le com-petenze di ognuno per raggiungere un ri-sultato ottimale. Con un ulteriore tassel-lo, indispensabile, anche se difficile da affrontare: coinvolgere la popolazione.

Ma prima di toccare la matita occor-re – come detto – essere in chiaro su una cosa: che città si vuol creare. Si vuole creare una città omogenea in ogni sua parte urbana, con una coerenza estesa su tutta la sua superficie, oppure creare una città composta di quartieri, ognuno con una propria identità? E come conci-liare, nel primo caso, le individualità esi-stenti, sociali o urbane che siano? E co-me dare senso e logica alla «nuova città», se è fatta di tanti quartieri, ognuno con una propria individualità?

La guida a un architetto esterno al TicinoE infine, per affrontare questo compi-

to complesso, mi chiedo se chi guida il gruppo di lavoro non debba essere un architetto esterno al Cantone, non un ti-cinese. Qualcuno libero da ogni vincolo, né con le amministrazioni né con gli abi-tanti, in grado di valutare il tutto senza condizionamenti emotivi di chi ci abita dentro, senza timori reverenziali e con-dizionamenti di sorta, qualcuno esterno insomma agli interessi di parte, politici, economici, urbanistici.

Importante: qualcuno che venga da Göschenen in su – dalla Svizzera france-se o tedesca – che guardi l’eterogeneo impasto urbano e ne valuti il paesaggio con occhi nuovi: i nuclei abitati, il territo-rio, la geografia, i valori storici e archi-tettonici e paesaggistici. E ciò che è irri-solto, indecoroso, le brutture. E che con tali occhi sappia guidare il politico, l’am-ministratore, l’architetto del paesaggio, il pianificatore, l’ingegnere, l’economi-sta, lo storico che compongono il grup-po di lavoro.

Anche se, se sono ben informato, le cose stanno andando in tutt’altra dire-zione.

Ahimè.

1 La valle di Belnio e i comuni aggregati 2 L’area di Bellinzona 3 L’area di Lugano 4 L’area di Mendrisio

In nero i comuni aggregati, in verde i comuni che hanno rinunciato.

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Bellinzona

Lugano

Mendrisio

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Architettura in Val BregagliaLe opere recenti di Armando RuinelliAlberto Caruso

Delle tre valli grigionesi di lingua italiana che formano, con il Canton Ticino, la Svizzera italiana, la Bregaglia è la più attraversata e, contemporaneamente, la meno conosciuta. Dal punto di vista del paesaggio costruito, così come viene percepito dal viaggiatore in automobile, la Bregaglia offre due scenari diversi, separati dalla frontie-ra di Castasegna. A sud della dogana, gli antichi borghi sono anticipati da periferie un po’ disordinate, casette multicolori e piccoli capannoni prefabbricati, recinzioni e inse-gne. A nord della dogana, i villaggi di Castasegna, Bondo, Promontogno, Vicosoprano, Stampa e Casaccia sono compatti, austeri, monocromatici. Appena dopo la dogana di Castasegna, la stazione di servizio Agip disegnata da Peppo Brivio nel 1963, con i sin-golari manufatti a fungo, dichiara subito che la frontiera culturale è netta, che qui il ter-ritorio viene trattato con una colta cura. E poi c’è Soglio, che si raggiunge da Bondo, salendo tra i castagni fino a un terrazzo dal quale si gode una estesa vista sulle alte montagne innevate che dividono la Bregaglia dalla Valtellina e dalla Valmalenco. Per la sua situazione, lontana dalla strada cantonale, la maggior parte dei viaggiato-ri che attraversano la Bregaglia per andare in Engadina non conosce l’esistenza del villaggio medioevale di Soglio.

Negli antichi abitati della Bregaglia non ci sono fabbricati residenziali abban-donati e degradati, né nuove casette sparse – come più spesso si registra nella parte italiana della valle – perché è diffusa e consolidata la cultura della manutenzione. Le antiche case dei villaggi, in pietra o rivestite di intonaco di colore bianco e con il tetto in piode, sono in stato dignitoso, e gli innesti moderni si distinguono per la silenziosa qualità con cui dialogano con il contesto. L’economia non è vivace ma è solida. Alla pastorizia, alla colture del castagno e della vite e alle tradizionali attività artigianali si è aggiunto un turismo di appassionati di camminate e ascensioni in montagna, cultu-ralmente molto diverso da quello che frequenta i costosi impianti sciistici engadinesi.

La Val Bregaglia è una pausa di calma tra le sensazioni di disagio provocate dal disordine insediativo del paesaggio italiano della Valchiavenna, che occulta al viaggiatore la dura bellezza delle sue montagne, e le emozioni provocate dallo spet-tacolo molto celebrato dei grandi laghi e delle cime del Bernina che dominano l’alto-piano dell’alta Engadina, che le ripide rampe del Maloja separano dalla Bregaglia. È una pausa di riflessione, che invita i viaggiatori/osservatori meno frettolosi e più attenti al territorio a pensieri sui modi alternativi di costruire e vivere la montagna.

L’architettura di Armando Ruinelli è la compiuta espressione del modo di costruire e vivere la montagna della Bregaglia. Ruinelli è un architetto autodidatta, la cui profonda cultura traspare in filigrana in ogni dettaglio dei suoi progetti. Abita e lavora a Soglio, in una condizione singolarmente urbana. La elevata densità degli edifici del villaggio gli ha fatto apprezzare la forte socialità delle relazioni umane, in-sieme alla parsimonia dei mezzi costruttivi ed espressivi necessari all’abitare. Una condizione simile a quella che lega il lavoro di Gion Caminada al villaggio di Vrin, ma che tuttavia differisce da quella, proprio perché i villaggi della Val Bregaglia non sono solari come Vrin, formati da abitazioni aperte verso il paesaggio, ma sono vere città in miniatura che presidiano i percorsi della valle, con le strette strade sempre all’ombra, che riparano dal vento d’inverno e dal sole d’estate. Ogni lavoro di Ruinelli differisce dal precedente, perché la sua ricerca avanza continuamente, ma soprattutto perché ha messo a punto (insieme a Fernando Giovanoli, con il quale è associato dal 2000) un approccio progettuale finalizzato all’appropriatezza della soluzione di ogni specifico tema da risolvere. È una qualità che, anche se con un’accezione un po’ diversa, Rui-nelli chiama Massstäblichkeit, ovvero misura, senso della scala, rispetto al contesto. È un approccio che obbliga ad affrontare ogni tema – il cui contesto è sempre diverso dal precedente – rimettendo in discussione le convinzioni precedentemente accu-mulate, e ricorrendo ogni volta alle motivazioni fondative del progettare.

In diverse occasioni, rivolgendo la nostra attenzione alle prove architettoni-che più capaci di stabilire relazioni significative con il contesto, di offrire un contributo materiale, costruttivo, all’abitare come fatto sociale, abbiamo denunciato le tendenze – dominanti sulle riviste importanti e, ancora di più, sui media online – a esibire l’ar-chitettura come forma di spettacolo ed espressione di individualismo. Le opere di Ar-mando Ruinelli, che invitiamo i lettori di Archi a visitare, sollecitano invece riflessioni sulle ragioni per cui ha un senso esercitare questo mestiere, e invitano all’autocritica.

«Senza provocare cesure e senza negare la contemporaneità, la nostra architettura è sobria e modesta, non vuole lasciare un segno esibito, ma diventare essa stessa fatto normale per un determinato luogo, una traccia per ciò che sarà costruito dopo». Armando Ruinelli, 2012

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Architektur im BergellDie neuesten Arbeiten von Armando RuinelliAlberto Caruso

«Unsere Architektur ist nüchtern und bescheiden, ohne Einschnitte zu bewirken oder das Zeitgenössische

zu negieren. Sie will kein für sich stehendes Zeichen hinterlassen, sondern selbst ein “normaler Fakt” für einen bestimmten Ort werden, eine Spur für das, was danach gebaut werden wird».

Armando Ruinelli, 2012

Unter den drei Graubündner Tälern italienischer Spra-che, die gemeinsam mit dem Kanton Tessin die italienische Schweiz bilden, ist das Bergell das am häufigsten durchquer-te und gleichzeitig das am wenigsten bekannte Tal. Im Hin-blick auf die bebaute Landschaft, die der Reisende aus dem Auto erlebt, bietet das Bergell zwei unterschiedliche Szenari-en, die durch die Grenze von Castasegna getrennt werden. Südlich des Zollamtes liegen vor den alten Dörfern ungeord-nete Vorstadtgebiete, bunte Häuschen und kleine Fertigbau-hallen, Zäune und Werbeschilder. Nördlich des Zollamtes bieten die Dörfer Castasegna, Bondo, Promontogno, Vicoso-prano, Stampa und Casaccia einen kompakten, strengen und monochromatischen Anblick. Kurz hinter dem Zollamt von Casatasegna markiert die 1963 von Peppo Brivio entwor-fene Agip-Tankstelle mit den einzigartigen pilzförmigen Bau-ten eine klare kulturelle Grenze. Hier wird das Gebiet mit Umsicht und Kenntnis verwaltet.

Dann kommt Soglio, ein Dorf, das man von Bondo aus erreicht, indem man zwischen den Kastanien bis zu einer Terrasse aufsteigt, von der aus man eine weite Sicht über die hohen, verschneiten Berge geniesst, die das Bergell vom Veltlin und dem Valmalenco trennt. Aufgrund der Lage weit entfernt von der Kantonsstrasse kennt der Grossteil der Rei-senden, die das Bergell auf dem Weg ins Engadin durchque-ren, das mittelalterliche Dorf Soglio nicht.

In den alten Ortszentren des Bergells gibt es weder ver-lassene und zerfallene alte Wohngebäude noch neue Häuser in zersiedelter Landschaft wie im italienischen Teil des Tals, da die Erhaltungskultur hier verbreitet ist und sich seit lan-gem bewährt hat. Die alten Dorfhäuser aus Stein oder mit Verkleidung aus weissem Putz und Natursteinplattendach befinden sich in gutem Zustand und die eingefügten Neu-bauten zeichnen sich durch den stillen Dialog mit ihrem Kon-text aus. Die Wirtschaft ist nicht dynamisch, aber solide. Weidewirtschaft, Kastanien- und Weinanbau sowie traditio-nelles Handwerk werden durch einen Tourismus von Berg-wanderern ergänzt, die sich kulturell von den Besuchern der kostspieligen Skigebiete im Engadin unterscheiden.

Das Bergell bietet eine Ruhepause zwischen den von der unordentlichen Besiedlung der italienischen Landschaft im Valchiavenna ausgelösten negativen Empfindungen, die dem Besucher die harte Schönheit der Natur vorenthält, und den Gefühlen, die von dem hoch gelobten Bild der grossen Seen und den Bernina-Gipfeln ausgelöst werden, die die Hochebene des Hochengadins dominieren, das durch die steilen Wände des Maloja vom Bergell getrennt wird. Eine Ruhepause, die Reisende und Beobachter ohne Eile und mit einem Blick auf die Landschaft zu Überlegungen über alter-native Bau- und Lebensweisen in den Bergen einlädt.

Die Architektur von Armando Ruinelli bringt die Bau- und Lebensart in den Bergen des Bergells perfekt auf den Punkt. Ruinelli ist als Architekt Autodidakt und seine umfas-sende Bildung scheint filigran durch jedes Detail seiner Pro-jekte. Er lebt und arbeitet in Soglio unter ungewöhnlich urba-nen Bedingungen. Dank der hohen Dichte der Dorfgebäude geniesst Ruinelli die engen zwischenmenschlichen Be-

ziehungen gemeinsam mit dem sparsamen Einsatz der zum Wohnen erforderlichen Bau- und Ausdrucksmittel. Diese Si-tuation erinnert an den Zusammenhang zwischen der Arbeit von Gion Caminada und dem Dorf Vrin, ist jedoch anders, da die Dörfer des Bergells nicht wie Vrin sonnenverwöhnt sind und aus zur Landschaft hin geöffneten Häusern bestehen. Es handelt sich vielmehr um echte Miniaturstädte hoch über den Wegen durch das Tal, mit engen Gassen im Schatten, die im Winter vor dem Wind und im Sommer vor der Sonne schützen.

Jedes Bauvorhaben von Ruinelli unterscheidet sich von dem vorhergehenden, da er kontinuierlich weiter forscht und (gemeinsam mit Fernando Giovanoli, der seit 2000 sein beruflicher Partner ist) einen Projektansatz entwickelt hat, der auf die Angemessenheit der Lösung für jede spezifische Aufgabenstellung abzielt. Diese Qualität nennt Ruinelli, wenn auch mit einer etwas anderen Bedeutung, Massstäb-lichkeit im Verhältnis zum Kontext. Es handelt sich um einen Ansatz, mit dem bei jedem Thema – dessen Kontext immer unterschiedlich ist – die in der Vergangenheit gewonnenen Überzeugungen auf den Prüfstand gestellt werden und die dem Entwerfen selbst zu Grunde liegenden Motivationen er-neuert werden.

Wir haben bereits zu verschiedenen Anlässen unsere Aufmerksamkeit auf architektonische Werke gerichtet, die bedeutungsvolle Beziehungen zu ihrem Kontext aufbauen und einen materiellen und baulichen Beitrag zum Wohnen als sozialem Handeln leisten, und die in den renommierten Fachzeitschriften und in noch stärkerem Mass in Online-Me-dien dominante Tendenz kritisiert, Architektur als Spektakel und individuelle Ausdrucksform zu zelebrieren. Die Arbeiten von Armando Ruinelli, die wir unseren Lesern präsentieren, laden dagegen zum Nachdenken über den Sinn unseres Be-rufs und zur Selbstkritik ein.

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1–2 Peppo Brivio, stazione di rifornimento a Soglio, 1963. Foto Alberto Flammer

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LIA«You must absolutely

build a house in the Bregaglia»Habitat e abitanti della BregagliaMarcello AbbiatiStorico dell’arte

Spesso genericamente associata al nome di Alberto Giacometti, la Val Bre-gaglia sembra rappresentare per il turista medio solamente un passaggio obbliga-to per risalire il Maloja e recarsi a godere le bellezze paesaggistiche e culturali offer-te dalla vicina Engadina.

L’ampio e certamente più ameno altopiano engadinese, contraddistinto da un imprimatur artistico straordinario e un favoloso jet set, sembra costituire una sorta di controcanto al solco ruvido e profondo della Val Bregaglia. «Il leggiadro e serio carattere collinoso, lacustre e selvoso di quest’altopiano»1 è sempre apparso ai viaggiatori in drammatico contrasto con il precipizio che si spalanca al di là del Maloja, «probabilmente la discesa in Italia più brusca e insieme quella che tocca di più la sensibilità e la vitalità», come ebbe a definirla Ernst Bloch.2 Non deve stu-pire dunque se la fama dell’Engadina, anche in virtù delle proprie bellezze paesag-gistiche, abbia sempre superato di gran lunga quella della Bregaglia, anche quale meta turistica: questa popolarità è stata ulteriormente accresciuta dalla notorietà di cui godono, a livello internazionale, le personalità artistiche che vi soggiornava-no, mentre la Bregaglia viene spesso laconicamente ricordata solo come «la patria di Alberto Giacometti».

Eppure a livello geografico la Bregaglia rappresenta un unicum: estenden-dosi dal lago di Sils fino alle porte di Chiavenna, si colloca a ridosso di quel tripli-ce spartiacque che, pure a livello culturale, ha determinato la fisionomia del cuore dell’Europa, identificando questa vallata quale luogo di transizione e di parziale se-dimentazione d’influenze multiculturali.

Personalmente trovo particolarmente stuzzicante il fatto che la Bregaglia, a seconda del background culturale di chi la percorre, possa apparire tetra e gla-ciale, oppure un sorridente preludio del Meridione latino: se il cancelliere bernese Gottlieb Sigmund Gruner trovava la Bregaglia una «spaventevole regione (...), le cui cavità sono inzeppate di orribili carichi di ghiaccio e di neve»,3 il parroco engadi-nese Ernst Lechner gioiva invece della «rigogliosa vegetazione arborea (...) fichi, peschi, fiori appartenenti alla flora del mezzogiorno – farfalle e scorpioni vestiti di splendidi colori (...)» che annunciavano «al viandante di trovarsi alle soglie dell’Ita-lia».4 La valle di Bregaglia è ancora suddivisa in due parti – Sopraporta e Sottoporta – dalla barriera fortificata costruita in tempi remoti a Promontogno, laggiù dove la Maira (il torrente di valle) si strozza in un canyon profondo. Territorialmente, queste due aree risultano polarizzate in senso opposto: Sottoporta, comprendendo i comu-ni di Bondo, Soglio e Castasegna, subisce maggiormente il clima meteorologico e culturale della vicina Italia; Sopraporta, con i comuni di Vicosoprano, Casaccia e Stampa, è davvero terra di confine, e risente maggiormente della cultura di matrice germanica della vicina Engadina. Così anche le famiglie notabili che hanno fatto la storia politica della Bregaglia: i Castelmur, i Prevosti e gli Stampa dominavano l’alta valle ed erano tradizionalmente alleati con il principe-vescovo di Coira; i Salis risiedevano a Soglio e Bondo, appoggiando volentieri le rivendicazioni del vescovo di Como prima, dei Visconti e degli Sforza poi.

Questa alternanza ondivaga di elementi culturali nordici o meridionali sembra percorrere anche la storia economica e sociale della vallata: ricordo una fra-se, forse di Ernst Scheidegger, che identifica Chiavenna quale «capitale segreta della Bregaglia». I borghi di valle infatti non potevano rivaleggiare in termini di ricchezza e densità di popolazione con il capoluogo valchiavennasco, che oltretutto vantava fiorenti industrie e un vivace artigianato locale, e quindi non di rado i traffici mercan-tili che attraversavano la Bregaglia trovavano quale hub preferenziale proprio Chia-venna, decentrando l’asse economico a favore della Valchiavenna. Non è quindi un caso che in Bregaglia, nonostante l’introduzione della Riforma (pare già dal 1529), l’italiano avesse preso il posto del tedesco come lingua della Chiesa e dell’ammini-strazione: questo accadeva anche in ragione del fatto che numerosi ministri riforma-ti – uno tra tutti, Michelangelo Florio – provenissero dall’Italia, oltre ovviamente al

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ciottolate di Soglio, Bondo e Vicosoprano; i più arditi tentano ascese verso lo spigolo nord del Badile; gli amanti della na-tura vagabondano per boschi e alpeggi di media montagna, raccogliendo fiori selvatici e ammirando i graniti perlacei e i ghiacci della Bondasca. Si tratta soprattutto di turisti di mezza età o addirittura anziani, di amanti della montagna, e non di rado anche di artisti o intellettuali, venuti in valle sul-le orme dei grandi che li hanno preceduti: Varlin, Max Ernst, Balthus, Friedrich Dürrenmatt, Ferdinand Hodler, Cuno Amiet, Nietzsche… Spesso la Bregaglia diventa il buen ritiro per spiriti eletti o ritenuti tali, come già Capalbio in Toscana o Montemarcello in Liguria: evidentemente la severa pen-sosità del suo paesaggio spinge a elucubrazioni assorte e creative.

Poi in autunno, quando ombre lunghe e cerulee inizia-no a riempire gli anfratti tra le rocce, la valle nuovamente si svuota e ripiomba nel silenzio. È la stessa stagione in cui Alberto Giacometti, nato il 10 ottobre 1901 proprio a Stam-pa in Bregaglia, usava ritornare a casa dalla madre Annetta, ormai anziana: pur avendo eletto Parigi sua patria adottiva, Alberto tornava in valle ogni autunno, «quando quella lun-ga crepa nella roccia, dove erano incastrate anche le case di Stampa come efflorescenze minerali, si inzuppava di penombra e (…) la signoria delle vette di granito, con i loro schianti e le loro rovine, imponeva all’universo l’austerità geo-logica e cosmica del grigio».5

Proprio il 16 ottobre 2016 si è chiusa la retrospettiva de-dicata ad Alberto Giacometti, presso il Museo Ciäsa Granda e l’Atelier Giacometti di Stampa, per i 50 anni dalla morte dell’artista. Questa mostra è solo un esempio delle nume-rose iniziative culturali organizzate in Bregaglia durante la stagione turistica: un’offerta relativamente ricca in rappor-to all’estensione e alla densità demografica della regione, di soli 251,45 km² per una popolazione stimata, nel 2013, di circa 1.564 residenti effettivi. I momenti di incontro cultu-rale offerti dalla valle sono perlopiù organizzati e sostenuti da numerose associazioni e società ufficiali non lucrative presenti sul territorio, tra le quali vale per lo meno la pena di annoverare la Società Culturale di Bregaglia, sezione del-la Pro Grigioni Italiano, la cui mission è la salvaguardia e la promozione della cultura locale e regionale attraverso mani-festazioni e iniziative sul territorio a carattere socio-cultura-le. L’impressione è che la Bregaglia di oggi sia una sorta di curioso ecosistema culturale da difendere e tutelare, anche attraverso robusti incentivi economici di cui si fa carico indi-rettamente il Canton Grigioni, cui la valle a livello ammi-

fatto innegabile che rifiutare il tedesco significava, per le au-tonomie locali, allontanarsi di fatto dal controllo del vesco-vo di Coira. Ancora, dai resoconti di viaggio ottocenteschi emerge spesso come il tipico bregagliotto sembri assomma-re fisionomie e temperamenti certamente latini a una mora-lità e un carattere tipicamente svizzero.

Il passato è tutt’ora presente nella Bregaglia contem-poranea.

Infatti solo nel 2010 è avvenuta la fusione dei cinque antichi comuni della valle – Castasegna, Bondo, Soglio, Stampa e Vicosoprano – in un’unica entità giuridica, an-nullando di fatto la supremazia giurisdizionale dei borghi maggiori (Soglio e Vicosoprano) a favore di una redistribu-zione più equa dei diritti e delle autonomie. Anche il desti-no dell’immigrazione percorre trasversalmente la storia del territorio giungendo all’oggi: fin dal Quattrocento vengono registrate forti ondate migratorie che portavano i brega-gliotti a intraprendere attività commerciali in tutta Europa, gestendo pasticcerie, drogherie o caffè, senza dimenticare il celebre cabaret parigino Le Chat Noir, fondato nel 1881 dall’oriundo Rodolphe Salis. Questo fenomeno non era cau-sato solamente dalla povertà diffusa, ma era dettato anche dal bisogno di sottrarsi al severo controllo sociale, ai duri la-vori nei campi o dell’allevamento, alla limitatezza delle scar-se risorse agricole in rapporto a una situazione demografica di sovrappopolamento. Quest’ultimo dato appare davve-ro sorprendente oggigiorno, se si pensa che il borgo di So-glio (tra l’altro insignito nel 2015 del titolo di «più bel villaggio della Svizzera») contava nel 1801 408 abitanti, mentre ora è abitato stabilmente da sole 114 persone: un trend negativo che interessa peraltro tutta la vallata.

La depressione demografica della Bregaglia – che è ca-ratteristica di numerose regioni dell’area alpina – viene par-zialmente compensata dal massiccio flusso turistico (e re-lativo indotto economico) dei mesi estivi, e generalmente si esaurisce quando i magnifici castagneti del versante solivo abbandonano al suolo le loro livree dorate e brune. L’offerta alberghiera non è particolarmente variegata ma spesso di grande qualità, e certamente costituisce un introito rilevan-te nell’economia di valle: basti pensare all’eclettico Hotel Bregaglia di Promontogno (progettato dal celebre architetto Sottovia nel 1875) oppure la settecentesca Casa Battista a Soglio, dove usavano soggiornare, tra gli altri, Giovanni Se-gantini e Rainer Maria Rilke.

Da giugno in poi francesi, tedeschi, anglosassoni, ita-liani e anche giapponesi si riversano nelle tranquille vie ac-

1 Affiche del 1945 che pubblicizza la corriera postale delle Alpi. Fonte Museo della comunicazione, Berna 2 Théophile Alexandre Steinlen, Tournée du Chat Noir de Rodolphe Salis. Fonte Wikimedia Commons 3 Il villaggio di Soglio in autunno. Foto Marcello Abbiati 4 L’antica rampa del Malögin, che già in epoca romana superava il Passo del Maloja per raggiungere il Passo del Settimo. Foto di Ernst Scheidegger 5 La nuova stazione della funivia dell’Albigna, realizzata dallo studio d’architettura Alder Clavuot Nunzi nel 2016. Foto Alder Clavuot Nunzi 6 La chiesa gotica di San Gaudenzio a Casaccia. Foto Marcello Abbiati 7 Palazzo Salis a Bondo. Foto Marcello Abbiati

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LIAnistrativo appartiene. Anche nel 2016 il Governo grigione

ha infatti approvato un accordo di prestazioni con l’Ufficio federale della cultura per il periodo 2017-2020, che prevede contributi per un importo complessivo di circa 21,2 milioni di franchi. In cambio, il Cantone deve adottare misure vol-te a salvaguardare e a promuovere la lingua e la cultura ro-mancia e italiana, sostenere organizzazioni e istituzioni attive in questo settore, promuovere l’attività editoriale ed erogare aiuti finanziari per la salvaguardia e la promozio-ne della lingua italiana nei media. Questo piano strategico coinvolge le organizzazioni linguistiche – Lia Rumantscha e Pro Grigioni Italiano, l’ Agentura da Novitads Rumantscha –, riguardando anche le misure di salvaguardia e di promozio-ne delle lingue adottate autonomamente dal Cantone.

Inizialmente popolata dai Celti e, forse, dagli Etruschi, la Bregaglia divenne in seguito uno snodo nevralgico della rete viaria romana, poiché attraverso il Maloja e il passo del Giulia (oggi Julierpass) o, in alternativa, attraverso il passo del Settimo (Septimerpass), merci e persone potevano rag-giungere agevolmente la dorsale della catena alpina e da lì scendere fino ai territori del bacino del Reno e del Danubio. Si potrebbe affermare che da allora la situazione non è drasti-camente cambiata, poiché la Bregaglia è attualmente colle-gata all’Engadina e alla Valchiavenna dalla sola strada can-tonale n. 3: per far fronte all’aumento (modesto) del traffico automobilistico, già nel 1960 Vicosoprano si era dotata di una circonvallazione, imitata nel 1975, 1991 e 2003 da Borgonovo, Promontogno e Castasegna. In valle, diversamente dall’En-gadina, non esistono aeroporti, e le stazioni ferroviarie più vi-cine sono Chiavenna, gestita da Trenord, e St. Moritz, gestita dalla Ferrovia retica: per raggiungere la valle occorre quindi montare sui pittoreschi autobus gialli de La Posta svizzera, sperando di non soffrire il mal d’auto e i tornanti. In realtà un progetto di collegamento ferroviario tra la Valtellina e l’Enga-dina, via Bregaglia, era già stato valutato e poi accantonato dal Governo federale svizzero a metà Ottocento: la linea fer-roviaria, a scartamento ridotto, avrebbe dovuto collegare Co-ira – la capitale del Canton Grigioni – a Chiavenna, approfit-tando della modesta altitudine del passo del Maloja (1815 m slm), passando per Thusis, Tiefencastel e l’Oberhalbstein. Nel 1910, con l’inaugurazione della linea del Bernina (il cele-bre «trenino rosso»), il Cantone perdeva definitivamente l’in-teresse per il progetto, in primis perché questa già garanti-va un collegamento con l’Italia tramite la Val Poschiavo, ma anche per la difficoltà a rifornire d’energia un’eventuale linea ferroviaria elettrificata. Solo a metà Novecento si è avuto in Bregaglia un periodo di espansione economica legato al settore energetico: nel giro di pochi anni veniva realizzato il lago artificiale dell’Albigna, sopra Vicosoprano, grazie a una diga di sbarramento alta 115 metri, seguita dalla costruzio-ne di 5 centrali idroelettriche, 2 complessi residenziali per i dipendenti e un nuovo ospedale. Recentemente il complesso dell’Albigna, realizzato dalla società elettrica di Zurigo nel 1955-1959, è stato oggetto di riqualificazione architettonica da parte dello studio di architetti bregagliotti Alder Clavuot Nunzi, che ha curato il restyling della funivia che da Pran-zaira porta alla diga, superando un dislivello di quasi 1000 metri. Quasi in contemporanea, una doppia mostra – L’Albi-gna di Emil Zbinden al Museo Ciäsa Granda e Una giornata sull’Albigna di Urs Beyeler presso la Galleria Il Salice di Ca-stasegna – ha celebrato i sessant’anni della costruzione della diga, attraverso la grafica d’arte e la fotografia di repor-tage. Certamente suggestiva per dimensioni e posizione, quest’opera di alta ingegneria ha ispirato anche l’architetto bregagliotto Armando Ruinelli, che afferma di aver ripreso, nei suoi calcestruzzi battuti, l’andamento delle linee isobari-che di sedimentazione delle acque del bacino.

La spinta economica che a metà del secolo scorso ha dinamizzato la valle si era manifestata non solo a livello d’ingegneria del territorio ma anche attraverso temi archi-tettonici, quando l’architetto bregagliotto naturalizzato zu-righese Bruno Giacometti (fratello del più celebre Alberto) veniva chiamato a progettare nuovi alloggi per i lavoratori, tra gli antichi castagneti di Brentan presso Castasegna, non lontano dal confine italiano. Si tratta di un insediamento di sapore modernista, costruito intenzionalmente a una certa distanza da nuclei urbani storici per smorzarne l’impatto ambientale e consentirne un’articolazione più libera, rispon-dente agli ideali urbanistici della città ricca di verde, artico-lata e non monotona.

Tralasciando questa parentesi moderna – breve ma si-gnificativa – l’architettura vernacolare bregagliotta sembra generalmente rientrare nei parametri tipologici legati all’ economia agropastorale medio-alpina. La coltura del casta-gno, introdotta dai Romani, insieme alla pax, già nel I seco-lo d.C., e quella della vite affiancavano e integravano infatti la magra pastorizia alpestre. L’andamento insediativo degli abitati storici appare abbastanza denso, sostanzialmen-te privo di episodi urbanistici contemporanei brutalizzanti ed eccessivamente invasivi, e tendenzialmente omogeneo nelle sue caratteristiche rurali: fanno eccezione alcune

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emergenze architettoniche di carattere gentilizio presenti a Vicosoprano e particolarmente a Soglio, dove il volume glo-bale del complesso palaziale rinascimentale della famiglia Salis emerge poderoso dalla trama del borgo rurale. Anche la chiesa di San Gaudenzio a Casaccia – oggi ancora in rovina dall’epoca della profanazione cinquecentesca perpetrata dai riformati – appare un unicum di forme tardogotiche, rappre-sentando un prezioso indizio della sopravvivenza di quella

«penetrazione spirituale puramente germanica»6 lungamen-te e accanitamente osteggiata dai valligiani. In questa bre-ve panoramica di peculiarità architettoniche occorre per lo meno ricordare Villa Garbald, costruita nel 1862 (e rinnovata nel 2004 dagli architetti Miller & Maranta) a Castasegna per il funzionario di dogana Agostino Garbald dal celebre archi-tetto amburghese Gottfried Semper, e naturalmente Palazzo Salis a Bondo. Palazzo Salis nasceva dal capriccio della no-bildonna inglese Mary Fane – moglie dell’inviato britannico presso le Tre Leghe Girolamo Salis (nato nei Grigioni ma na-turalizzato inglese) – la quale, non sopportando la rigidezza del clima e l’ambiente provinciale di Coira, aveva seccamen-te indicato al marito di trasferire la propria residenza a sud delle Alpi, il più vicino possibile al sole dell’Italia. «If you are risolved to stay here, you must absolutely build a house in the Bregaglia», scriveva nel 1759 al marito l’ostinata contes-sa inglese, e già nel 1766 Girolamo si rassegnava ad avviare i lavori per la costruzione dell’unica villa settecentesca su territorio grigione. Nonostante i contesti ambientali diversis-simi, il sobrio edificio di gusto italiano appare per certi versi cugino di certe tenute inglesi tardobarocche e neopalladia-ne: realmente straniante è l’effetto della contrapposizione tra la colta cifra architettonica e il selvaggio ambiente circostan-te, caratterizzato da distese prative e meli selvatici, dominato dalle ombre lugubri del massiccio della Bondasca.

Palazzo Salis, per me, simboleggia ed esprime l’ineffa-bile fascino champêtre della Bregaglia, dove genuinamente si fondono ancora oggi ruralità, natura e arte.

Sie müssen unbedingt ein Haus im Bergell bauen Das häufig mit dem Namen Alberto Giacomettis in Zusammenhang gebrachte Bergell-Tal scheint für den durchschnittlichen Touristen nur eine Station auf der Durchfahrt zu den landschaftlichen Schönheiten und dem kulturellen Angebot des nahe gelegenen Engadins zu sein. Unter dem geographischen Gesichtspunkt ist das Bergell jedoch einzigartig. Es erstreckt sich vom Sils-See bis vor die Tore Chiavennas und liegt daher an der dreifachen Wasserscheide, die das Herz Europas auch in kultureller Hinsicht geprägt hat. Die Vergangenheit ist auch im heutigen Bergell noch präsent. Erst 2008 wurden die fünf alten Gemeinden des Tals – Castasegna, Bondo, Soglio, Stampa und Vicosoprano – zu einer rechtlichen Einheit verschmolzen. Der derzeitige demografische Rückgang im Bergell wird teilweise durch die zahlreichen Touristen in den Sommermonaten kompensiert, der normalerweise endet, wenn die prächtigen Kastanienwälder auf der Sonnenseite ihre goldenen und braunen Blätter abwerfen. Erst gegen Mitte des 20. Jahrhunderts kam es zu einem von dem Energiesektor bewirkten wirtschaftlichen Aufschwung. In wenigen Jahren wurde der Stausee von Albigna angelegt. Darauf folgten fünf Wasserkraftwerke, zwei Wohnsiedlungen für Mitarbeiter und ein neues Krankenhaus. Abgesehen von diesem Ausflug in die Moderne entspricht die traditionelle Architektur des Bergells den klassischen Mustern der Weidewirtschaft in den mittleren Alpen. Die Ausnahme bilden einige Gebäude adliger Familien in Vicosoprano, Soglio und natürlich der Palazzo Salis in Bondo. Trotz des unterschiedli-chen Umfeldes erscheint das nüchterne, italienisch geprägte Bauwerk mit bestimmten englischen Gutshöfen des Spätbarock und des Neopalladianismus verwandt. Der Gegensatz zwischen der eleganten Architektur und der wilden Umgebung, die in dem düsteren Schatten des Bondasca-Massivs liegt und von weiträumigen Wiesen und wilden Apfelbäumen geprägt ist, wird verfremdend. Palazzo Salis symbolisiert und verkörpert den unvergängli-chen ländlichen Charme des Bergells, in dem auch heute noch ländlicher Charakter, Natur und Kunst miteinander verschmelzen.

Note 1. L. Bonesio, Engadina e Bregaglia paesaggi dell’anima, in «Notiziario della Banca Popolare di Sondrio», 99, dicembre 2005, p. 103. 2. E. Bloch, Da Maloja a Chiavenna, in «Notiziario

della Banca Popolare di Sondrio», 102, dicembre 2006, p. 104. 3. G.S. Gruner, Reisen durch die merkwürdigsten Gege-

den Helvetien. Zweyter Teil, London 1778, p. 174. 4. E. Lechner, Das Thal Bergell (Bregaglia) in Grau-

bunden. Natur, Sage, Geschichte, Volk, Sprache etc. nebst Wanderungen, Leipzig 1874, p. 31.

5. P. Bellasi, Il sogno che urla e comanda. Metafora di una valle delle Alpi, in I Giacometti. La valle, il mondo, Milano 2000, p. 32. 6. G. Segantini, La Bregaglia, in «Quaderni Grigioni

Italiani», anno V, n. I, ottobre 1936, p. 5.

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LIAL’architettura storica

in BregagliaDiego GiovanoliStorico dell’architettura

Durante le ricerche propedeutiche alla pubblicazione del volume Costruiro-no la Bregaglia, uscito nel 2014, la valutazione del paesaggio abitato ha favorito la let-tura delle abitazioni, in particolare degli edifici maggiormente diffusi, delle dimore rurali e borghesi e dei rustici nei nuclei popolati, sui prati e sui monti.

La Val Bregaglia svizzera, dal 2010 amministrativamente unificata in un unico comune da Maloja a Castasegna, è un eccellente laboratorio storico di ricer-ca architettonica che spazia da poco meno di 600 a oltre 2000 metri di area insedia-ta e coltivata. Altrettanto interessanti per la loro sorprendente continuità culturale sarebbero i fenomeni insediativi e architettonici che interessano, da Villa di Chia-venna a Chiavenna, la porzione italiana della valle, non trattata in questo contributo.

Lo studio della storia delle case rivela che in epoca moderna ogni valle alpi-na ha sviluppato una morfologia architettonica propria, diversa dai canoni medioe-vali preesistenti. A tale patrimonio rinascimentale accumulato dal Cinquecento al primo Ottocento verrà accostato dopo la metà del XIX secolo il linguaggio architet-tonico europeo, accademico, applicato anche alle strutture comuni. L’equilibrio fra il tutto e le parti, che governava fino ad allora la mente dei costruttori, venne sosti-tuito dalla prospettiva riferita all’asse centrale.

In linea di principio dal periodo rinascimentale a tutto il barocco i costrut-tori locali adottarono il principio della ripartizione o divisione degli elementi edilizi, contrariamente al principio dell’addizione degli stessi elementi adottato in altre val-li, ad esempio in Engadina.

Nel campo dei materiali, l’edilizia in Bregaglia progredisce dal legno al sas-so, dalla parete lignea rivestita a muro intonacato all’edificio in muratura. Il patri-monio edilizio medioevale pare essere stato meno diversificato delle morfologie e delle tipologie sviluppate in epoca moderna.

Una valle alpina laboratorio di progettazione dello storicoNegli ultimi decenni il patrimonio storico locale è stato riconosciuto, stu-

diato e qualificato di pari passo con la radicale trasformazione socio-economica del territorio alpino. Oltre alle numerose pubblicazioni, basti ricordare la recente conse-gna del premio Wakker dello Heimatschutz e la nomina di Soglio a più bel villaggio della Svizzera. Bondo e Vicosoprano non erano in gara, altrimenti avrebbero avuto voti molto incoraggianti. Accanto e in parte dentro i nuclei storici le case nuove si riferiscono al linguaggio internazionale con timbri regionali più o meno percettibili.

Case Stalle Caseifici Metàti Castagne

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Soglio 83 3 6 6 – 79 4 – – 1 – – – –

Pianloco – – – – – 75 8 2 7 – – – – –

Däir 20 5 – – 8 62 2 – 13 5 – – – –

Tombal/Plän Vest 19 4 – – 10 29 2 – 34 2 1 – – –

Munt dent 17 4 – – 12 63 – – 36 1 2 1 – –

Selva – – – – – 74 4 – 9 – – 73 12 6

Totale 139 16 6 6 30 382 20 2 99 9 3 74 12 6

167 533 12 92

804

1 Censimento edifici 1983. Fonte Soglio, insediamenti e costruzioni,

Birkhäuser 1997, p. 16 1

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A loro volta le case e le stalle del passato non sono mera archeologia architettonica, anzi, attendono di essere riconsegnate alla storia debitamente restaurate o ristrut-turate. L’offerta di edifici storici da riqualificare spazia su tutta la gamma tipologica delle dimore: umili dimore uni-familiari, imponenti case residenziali del Settecento, baite sui monti e sul passo alpestre del Maloja. Sono fuori uso la stragrande maggioranza delle stalle bovine e caprine di paese, senza contare quelle che sorgono sui prati, nelle sel-ve e sui monti. Ciò risulta dalla composizione dell’azienda agricola storica che contava una dimora in paese, una sui monti e una terza in alpe, nonché una stalla e più in paese, una o due stalle sui monti, una parte di stalla nella selva e la relativa cascina di essiccazione. Nel 2015 l’inventario del territorio di Bondo elencava in paese 92 dimore unita-mente alle loro 74 stalle distribuite in piano, tutte o quasi fuori uso, e due tipologie caratteristiche del luogo, 17 crotti e 11 cascine di essiccazione delle castagne (in italiano dot-to: metàto); attualmente è in funzione una sola cascina. In queste cifre non figurano le baite e le stalle sui monti an-tichi, Laret, Splügh, Lera, Lumbardui, Selvartigh, Cugian, Cant, Ciresc, Lizol, tutti dotati di alcune baite con cantine a refrigerazione naturale e delle relative stalle bovine. L’in-ventario edilizio di Soglio pubblicato nel 1994 elenca un to-tale di 395 edifici distribuiti sui 28 gruppi edilizi.

Situazione attualeIn Bregaglia e in particolare a Soglio, negli insedia-

menti stanziali, le case di vacanza superano la quota del 20% prescritta dalla Legge sulle abitazioni secondarie del 2 marzo 2015. L’articolo 9 del capitolo 4 della legge citata,

oltre a parificare la dimora al rustico e a proporre la prote-zione delle stalle bovine, recita: «Il valore protetto dell’edi-ficio non risulta compromesso, in particolare se l’aspetto esterno e la struttura edilizia basilare restano sostanzial-mente immutati». La regola che prescrive la conservazione «sostanzialmente immutata» è una novità assoluta e inve-rosimile nella storia dell’architettura rurale. Negli insedia-menti che superano la quota del 20% di abitazioni seconda-rie, a condizione che gli edifici vengano preliminarmente protetti, gli edifici civili verranno conservati alla pari delle stalle rustiche. La prassi si ricollega alle prescrizioni fino-ra in vigore nei nuclei storici importanti. La conservazione dell’aspetto esterno e della struttura basilare di una stalla richiede un approccio progettuale diametralmente oppo-sto a quello di una dimora storica, già fondamentalmente predisposta alle funzioni abitative con le finestre e le porte riferite alla struttura dei piani dell’edificio. Dotare una stal-la storica di finestre nega l’identità stessa dell’edificio ru-stico e delega la fatica insuperabile alla sensibilità dei pro-gettisti e alla pazienza delle commissioni edilizie. A partire dal 1970 la trasformazione della destinazione d’uso degli edifici rustici, pur mantenendone l’aspetto originario, è nel frattempo divenuto una consuetudine.

Ipotesi di cantiereLe regole pianificatorie dei nuclei storici postulano in

via di principio la conservazione dell’edificio storico. È com-pito del committente e del progettista riconoscerne la pecu-liarità e la struttura edilizia di base, i due aspetti di cui tener conto secondo le regole del nucleo storico vigenti da decenni e a norma della legge sulle abitazioni secondarie del 2015.

2 Un edificio anteriore al Seicento: la ridotta struttura è a locale unico sovrapposto

3 Tipologia diffusa da fine Seicento a metà Settecento; umile dimora singola con stalla

a lato. La dimora comprende un locale terreno in muratura parzialmente intonacata, due spa-zi al primo piano solitamente in incastellatura lignea rivestita con una cortina muraria

e camera precaria nel sottotetto. Il committen-te chiede un grado di abitabilità confortevole nelle strutture storiche oppure la loro sostitu-zione a nuovo. La sostituzione a nuovo

è legalmente realizzabile, ma, se propone la copia dell’esistente, risulta avvilente. 4 Una dimora composita del Seicento a Muntacc 5 Le finalità della tutela dell’edificio di alto ceto,

detto Gadina, situato a Casaccia, contempla-no il restauro conservativo del palazzo con

il giardino attiguo. Oltre alla manutenzione del tetto di piode è auspicabile il restauro delle

decorazioni esterne. L’intera struttura residen-ziale ha carattere monumentale. La porzione dell’edificio costruita nel 1594 contiene

tre abitazioni sovrapposte nell’incastellatura lignea rivestita di muratura all’esterno;

l’aggiunta sul retro datata 1685 è una spa-ziosa dimora signorile con sala terrena, e con stüa, cucina e camera sopra. Lo spazio semin-terrato con soffitti voltati a croce sorretti da un pilastro centrale era usato come fondaco.

Il palazzo è una dimora patrizia del tardo Cinquecento costruita dai Prevosti e ampliata

in epoca barocca dai von Salis, un’altra eminente famiglia locale. Con la Ciäsa granda a Stampa e le case palaziali Prevosti e Castelmur a Vicosoprano è una delle maggiori

strutture patrizie della valle, emblema dell’egemonia territoriale dell’alta valle nel settore dei trasporti 6 La casa datata 1727 è il fulcro di un’azienda

agricola storica con orto e due stalle bovine. Il volume di tre piani e solaio accorpa due abitazioni appaiate a lato dei corridoi centrali che evolvono dal piano delle cantine a volta,

al livello nobile con le stüe foderate e la cucina, alle stanze da letto sul terzo livello con un capiente solaio di essiccazione dotato di ballatoio. La struttura è ortogonale in pianta

e simmetrica in prospetto. Le due finestre con inferriata inginocchiata e apertura quadrilobata sotto il colmo sono il marchio architettonico locale della tipologia binata del Settecento

7 Nel 1852 l’emigrante Giovanni Pontisella fece erigere a Stampa una casa di conio borghese

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affiancata a una rimessa per la carrozza. La struttura abitativa di tre livelli con mez-

zanino sotto il tetto a tre spioventi è stata disegnata dal capomastro Giovanni Battista Pedrazzini. Il piano terra è contraddistinto da un insolito trio di porte che disimpegnano i locali a volta predisposti a destinazione commerciale. Le facciate con intonaco civile scialbato sono impostate su registri simmetrici di finestre rettangolari in cornice viva

8 La grande struttura abitativa binata, regolare e geometrica, con annessi laterali aggiunti nell’Ottocento, fu costruita nel 1741. L’abito esterno con intonaco civile scialbato e conci alterni a graffio sugli angoli è singolare per

via delle finestre a strombo. L’asse mediano divide l’edificio in due porzioni identiche.

Il corridoio centrale con volta a triplice

crociera disimpegna in sovrapposizione due appartamenti verso mattina e due verso sera. Le cantine sono a struttura voltata, la stüa foderata è a sud e la cucina dietro, le stanze da letto sul quarto piano e in soffitta. In futuro, pur conservando l’aspetto esteriore e miglio-rando la già eccellente abitabilità, si pone la questione dell’autonomia dei disimpegni alle singole abitazioni senza interferire con

il substrato storico 9 Una dimora a quattro livelli, tipologia ricorren-

te dal tardo Cinquecento a tutto il Seicento. Tali dimore comprendono in successione verti-cale un locale interrato, uno spazio terreno

in muratura parzialmente intonacata, due spazi al primo piano solitamente in incastel-latura lignea rivestita con una cortina muraria e camera precaria nel sottotetto. In facciata

sono presenti decorazioni d’epoca, in questo caso graffiti di pregio. Le dimore si prestano per la riabilitazione conservativa possibilmen-te senza volumi aggiunti

10 Le case affrescate, come la dimora doppia si-tuata al centro di Borgonovo, sono abbastanza rare in Bregaglia. L’edificio di tre piani

e mezzo è stato affrescato nel 1681 e restau-rato in facciata nel 1978. Secondo la tradizione locale la successione dei piani propone le cantine a volta nel seminterrato, due abitazioni sovrapposte nei piani superiori con stüa, cucina e saletta voltata a botte e abbellita

da tre crociere. Le due stüe sovrapposte sono impreziosite da soffitti con trave mediana

a sostegno dei travetti trasversali scorniciati

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11 La tradizionale cascina abbina sotto il colmo due unità private di essiccazione. La struttura, databile intorno al 1850 e tuttora allo stato originale, sorge a Castasegna

12 I metati, ovvero le cascine di essiccazione delle castagne, disposti in gruppo come nella periferia di Bondo, rappresentano strutture minori e di gran fascino tipiche del patrimonio storico della bassa valle

13 La grande stalla singola a sei pilastri datata 1762 a Promontogno deve le sue dimensioni alle opportunità del transito merci sulla strada cantonale. Il fienile è tradizionalmente servito da una scala esterna, il tetto coperto di piode

14 La stalla doppia situata sui prati di Promon-togno appartiene a una tipologia rara con timpano sul fronte che accomuna i due rustici. Al momento è concepibile solo la manutenzio-ne ordinaria

15 Le stalle singole sono volumi solitamente a due livelli di 5 per 6 metri, alti 6-8 metri, con un piano terra in muratura intonacata.

Il pavimento del pianterreno, usato come stal-la, era selciato oppure tavolato. Le travi della soletta al primo piano sorreggono tronchi interi o dimezzati, oppure grossi lastroni di pietra, negli esempi più antichi. Porte esterne sui due livelli, servite da scale, se necessario

16 La cascina in disuso per essiccare le castagne è situata a Castasegna

17 L’edificio costruito ad uso crotto per il vino e le derrate alimentari, con cella refrigerata da sorgenti naturali di aria fresca, ricorre solo a Bondo e in località Guaita a Castasegna, ap-pena oltre il confine di Stato. Vi si conservava il proprio vino ed era ambito luogo di convivio.

Un esempio della tipologia del crotto; l’ultimo di essi è stato costruito a Bondo nel 1884 Foto D. Giovanoli

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LIACoordinate economico-culturali

del territorio bregagliotto storicoMentre attualmente la suddivisione gestionale del

territorio e la destinazione utilitaria di un tempo è oggetto di progressivo oblio collettivo, lo spazio storico risulta regolato da codici consuetudinari in parte codificati nei regolamenti delle comunità agricole.

Motori economici del passato e settori di committenzaIl patrimonio architettonico diffuso nei villaggi, sui

maggesi e sugli alpeggi fu stimolato nei secoli in modo pre-valente dall’economa agricola, che ha generato la prepon-derante porzione rustica del costruito, centinaia di dimore accanto ad altrettante stalle nei villaggi, le molteplici stalle bovine diffuse sui prati, le cascine nel castagneto, le nume-rose baite private con la relativa stalla sui maggesi e sugli alpeggi a gestione familiare, e le soste alpestri consortili.

Lungo la strada cantonale nei nuclei storici di Ca-saccia, Vicosoprano, Stampa, Promontogno e Castasegna si assiepano le grandi case dell’economia di commercio e di trasporto, dimore solitamente plurifamiliari costruite dai magnati locali, edilizia pregiata, di tipo patrizio nel Cinque e nel Seicento, borghese nel Settecento, con le relative stalle di sosta dei cavalli. Il transito alpino influì solo indirettamente sul tessuto edilizio storico, ma stimolò in modo percepibile l’edilizia pubblica, il Pretorio e la Ca da Sett, e anche l’offerta privata di soste, stalle, locande, osterie e negozi. Prima della metà dell’Ottocento alle persone in cammino bastavano gli ospizi, le taverne e i rifugi documentati già nel Cinquecento.

Nel Seicento e in modo particolare nel Sette e nell’Ot-tocento gli emigranti fortunati in commercio e artigianato hanno investito cospicue fortune in palazzine e ville che co-stituiscono tuttora l’architettura locale di gran pregio. In un primo tempo l’economia turistica si insediò a Maloja, Soglio e a Vicosoprano nelle grandi dimore nobiliari e originò dopo il 1870 nuovi alberghi, pensioni e ristoranti in quasi tutti gli abitati storici. Il settore delle case di vacanza nuove o ristrut-turate è tuttora dinamico.

La trama urbana e la rete viaria storicaIl territorio insediato stanzialmente manifesta in

Bregaglia due sistemi antitetici: i villaggi di Bondo, Borgono-vo, Casaccia, Castasegna, Soglio e Vicosoprano sono abitati fortemente agglomerati e strutturati da tendenze centripe-te. Sono invece distribuiti a nodi edilizi elementari, composi-ti o allineati a collana gli abitati di Caccior, Coltura, Muntac, Pungel, Roticcio e Stampa. Il canone centripeto o agglome-rato opposto a quello diffuso a nodi di origine familiare è presente anche nella Bregaglia italiana e nelle valli alpine contigue, la Mesolcina, la Val Poschiavo e la Valtellina.

A parte gli allargamenti della strada cantonale co-struita intorno al 1840 e gli innesti delle strade campestri in connessione con le migliorie fondiarie dopo il 1940, gli inse-diamenti storici sono riferiti alla rete viaria medioevale com-posta da un vicolo direttore e da ramificazioni secondarie. In epoca medioevale tutte le piazze attuali nei nuclei storici della Bregaglia non esistevano. Semmai non superavano le dimensioni di un crocevia allargato, oppure appartenevano al ceto alto e connotavano lo spazio architettonico privato davanti alle case signorili costruite nel tardo medioevo, ad esempio dai Salis a Soglio. In verità le piazze attualmente esistenti sono attributi squisitamente settecenteschi ovve-ro iniziative barocche dei ceti alti locali.

Il paesaggio storicoAlle differenze altimetriche e di conseguenza cli-

matiche corrispondeva una divisione dei versanti vallivi in fasce o gradini: il piano con le strutture stanziali, il monte e l’alpe con le strutture gestite temporaneamente. L’economia agro-pastorale storica era costruita su pochi concetti essen-ziali: l’indiviso contrapposto al diviso concerne la proprietà comune contrapposta al bene privato. A sua volta il traso permetteva l’uso collettivo dei terreni privati, il tenso limita-va lo sfruttamento del bosco comunale.

Nessi culturali Anche in Bregaglia le forme vernacolari del costruito

storico mutano da abitato ad abitato e sono diverse alla pe-riferia del territorio rispetto alle case lungo la direttrice del transito, esattamente come i dialetti locali. Le stesse forme assimilano il passaggio climatico dal fondo della valle alle zone alte.

Die historische Architektur im BergellUnter dem Begriff architektonisches Kulturerbe versteht man die Gebäude, die im Laufe der Jahrhunderte von der bäuerlichen Wirtschaft geprägt wurden. Der Begriff Erbe entstammt der modernen Wahrnehmung des Historikers. Die Alpendörfer bestehen aus Wohnhäusern und landwirt-schaftlichen Gebäuden, die organisiert und gestaltet wurden, um das gemeinsame Leben der Bauern und ihrer Tiere zu sichern. Sie werden von einem aus dem Mittelalter übernommenen Gassengeflecht miteinander verbunden. Die Dorfplätze gehen auf strukturelle Eingriffe aus dem 18. Jahrhundert zurück. Die landwirtschaftlichen Gebäude können ihre Funktion heute fast nicht mehr erfüllen, besitzen aber trotzdem einen unumstrittenen ästhetischen Wert. Im Gegensatz zu dem, was in der Renaissance für die gehobene Architektur geschah, lässt sich der ländliche Raum nicht vervollkomm-nen oder in eine architektonische Formsprache verwan-deln, die dessen Vorzüge reflektiert oder hervorhebt. Das architektonische Kulturebene ist ein wertvolles und schützenswertes Gut. Der Erhalt des Erbes auch in seiner einfachsten Form entspricht einem neuen und gleichzeitig offensichtlichen Ziel, dass noch vor einer Vorstellung für seine konkrete Umsetzung formuliert wurde.

Cenni bibliografici – D. Giovanoli, Facevano case. 1450-1950. Saper vedere le dimore e i rustici nel Grigioni

italiano e nella limitrofa Lombardia, Pro Grigioni Italiano, Coira 2009 – D. Giovanoli, Costruirono la Bregaglia, Casanova, Coira 2014.

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Drehkreuz und SchwenktüreSystem Gutschlich AGModell Dolomit - 2 Arm

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1 Stazione a monte della funivia vista dalla diga dell’Albigna 2 Diga e stazione a monte nel paesaggio dell’Albigna

La funivia dell’AlbignaRinnovo e ridisegnoMatthias Alder, Silvana Clavuot e Alessandro NunziArchitetti

La diga dell’Albigna è un’opera di proporzioni monumentali inserita nell’a-spro panorama montano della Val Bregaglia. Per quanto riguarda forma e aspetto, segue la sua funzione e la necessaria logica statica.

Il rinnovamento integrale della funivia ha comportato per prima cosa la co-struzione di una teleferica di cantiere, la cui funzione primaria era quella di assicu-rare il collegamento con la diga per la sua manutenzione con qualsiasi condizione atmosferica.

Oltre alle esigenze funzionali, era necessario rendere ragione della grande rilevanza e risonanza dell’impianto per l’azienda elettrica ewz di Zurigo e per l’opi-nione pubblica.

Il punto di partenza della ricerca di una forma per le stazioni a monte e a valle è stata la volontà di un rivestimento minimo ed economico della sala macchi-ne. Attraverso lo stesso linguaggio industriale sono state organizzate, a fianco, le restanti funzioni, riunendo l’infrastruttura della funivia sotto un unico involucro e conferendole una figura significativa a livello topografico.

Presso la stazione a valle, sita in posizione di spicco in un’ansa del fondo-valle, l’avvolgente struttura in acciaio è stata piegata e rialzata per ospitare sotto di sé la funzione centrale di servizio lungo il muro della sala macchine. La deformazio-ne scultorea contraddistingue l’edificio, lo àncora al luogo e lo apre al tempo stesso al visitatore in un gesto invitante. Sotto al bordo piegato dell’involucro si sviluppa uno spazio che si estende in verticale e collega in modo diretto il piano stradale alla funivia. Attraverso una scala aggettante in calcestruzzo bocciardato si accede alla costruzione in acciaio che ricorda le intercapedini della diga con il loro aspetto sa-crale e che segna, con la progressiva salita, l’inizio della via verso l’Albigna.

La stazione a monte, sita circa 900 m più in alto e distante quasi 2500 m di fune, si contrappone con un corpo massiccio alle pieghe della sua corrispondente

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LIAa valle. Un basamento in calcestruzzo funge da contrappe-

so al tiro delle funi e si colloca ai piedi della diga che si in-nalza alle sue spalle. Su questo coronamento uno scheletro di acciaio completa la figura aprendosi verso valle e assot-tigliandosi verso la diga all’altezza delle travi. Nella finitura delle facciate la pesantezza del basamento in calcestruzzo viene riportata in equilibrio attraverso il trattamento delle superfici e l’involucro metallico, un equilibrio che media fra monumentalità e struttura filigranata, congiungendo a livel-lo formale la diga e la stazione con tutti i suoi aspetti tecnici.

La cabina in arrivo si accosta alla pedana che è appe-sa alle travi del tetto e che, sotto alle funi, entra direttamen-te nella sala macchine. Una scala conduce alla pancia del massiccio basamento e un portellone nella parete obliqua di

calcestruzzo si apre quindi verso il panorama alpino ai piedi della diga.

Nel piano tecnico si collocano la macchine e diversi locali accessori (sala trasformatore, generatore elettrico di emergenza, sala di controllo) per la tecnica degli impianti di trasporto a fune; inoltre si trovano i servizi sanitari, la sala comandi, i locali di servizio e di deposito per l’esercizio e il traffico turistico.

Per quanto riguarda la struttura, quella principale è in calcestruzzo e acciaio, con rivestimento delle facciate in pannelli in lamiera ondulata. I locali riscaldati sono stati in-seriti con una struttura isolata di montanti di legno e rivesti-ti con pannelli di lamiera di acciaio zincata o lastre in fibro-cemento intonacate.

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Stazione a monte 3 Pianta del piano di arrivo all’impianto 4 Pianta del piano tecnico 5 Pedana di arrivo 6 Vista frontale 7 Vista laterale 8 Prospetto laterale con rampa d’ingresso 9 Sezione trasversale

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Be t o n d e cke , 200 m mLa k r e u z w e ise m it St e in w o lle 60 Kg ./m 3D am p fsp e r r e A lu Sisa le x 518Fe r m ace ll G ip sfase r -P la mA n st r ich N CS S1010-R 70B

V e r z in k t e s B le ch p an e e l au f U K ge n ie t e t , 2 m mU K , H in t e lü mW in d d ich t u n g G y so V e n t FS 100B r an d sch u t z fe n st e r Jan iso l C4 E I90, R A L 7026Le ib u n g sb r eLa St e in w o lle 60 Kg ./m 33-Fach G ip sfase r -P la m f ü r F 90, 37.5 m mA n st r ich N CS S1010-R 70B

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Sch n t e e fän ge r, M o d e ll P icco lo 18/76M o n t an a SP 18/76, Be sch ich t u n gCO LO RCO AT P R ISM A ® 50 µ m , Fa r b e O r io nM o n t an a SP 153/280IP E 180 Län g st r äge rH EB 400 D ach t r äge rU N P 300 a ls Be t o n k r o n eH EB 340 Län g st r äge rU N P 350 a ls Be t o n k r o n e

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N o r ap lan U n i 2647, 2 m mH e iz m a nFe r m ace ll Po w e r p an e l-T E , 25 m mFe r m ace ll G ip sfase r -E st r ich E le m e n t e , 2 x 25 m mD äm m u n g Sw issp o r X P S 500, 80 m mFe u ch s r s L mBe t o n p la 0 mM e t a llt ü r e Jan iso l Eco n o m y 50H EB 340 D ach st ü t z eBe t o n f u n d am e n t e

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1 Gancio paraneve, modello Piccolo 18/76 2 Montana SP 18/76, rivestimento 3 COLORCOAT PRISMA® 50 μm, colore Orion 4 Montana SP 153/280 5 Longherone IPE 180 6 Trave tetto HEB 400 7 UNP 300 come coronamento in calcestruzzo Longherone HEB 340 8 UNP 350 come coronamento in calcestruzzo 9 Soletta in calcestruzzo, 200 mm 10 Struttura a graticcio 2 x 50 mm incrociata con lana di roccia 60 kg/m3

11 Barriera antivapore Alu Sisalex 518 12 Lastra in gessofibra Fermacell, 12,5 mm 13 Vernice NCS S1010-R70B 14 Pannello in lamiera zincata rivettato sul bordo inferiore, 2 mm 15 Bordo inferiore, retroaerazione, 30 mm 16 Tenuta antivento Gyso Vent FS 100 17 Finestra antincendio Janisol C4 EI90, RAL 7026 18 Intradosso F90 con impiallacciatura in castagno 19 Struttura a graticcio 2 x 50 mm incrociata con lana di roccia 60 kg/m3

20 Tripla lastra di gessofibra da 12,5 mm per F90, 37,5 mm 21 Vernice NCS S1010-R70B 22 Noraplan Uni 2647, 2 mm 23 Stuoia termica posata in malta a letto sottile, 10 mm 24 Lastra Powerpanel TE Fermacell, 25 mm 25 Elementi di pavimento continuo in gessofibra Fermacel, 2 x 25 mm 26 Isolamento Swisspor XPS 500, 80 mm 27 Barriera antivapore Swissport Bikuvap LL Eva, 3,5 mm 28 Lastra di calcestruzzo, 300 mm 29 Porta in metallo Janisol Economy 50 30 Sostegno tetto HEB 340 31 Fondamenta in calcestruzzo

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FUNIVIA ALBIGNA

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Stazione a valle 10 Pianta del piano di partenza dell’impianto 11 Pianta del piano di entrata 12 Dettaglio sezione della facciata 13 Vista 14 Scale d’ingresso e sala d’attesa 15 Sezione trasversale Disegni Alder Clavuot Nunzi

Foto Giorgio Della Marianna, Alder Clavuot Nunzi

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LIA Stazione a valle

I carichi risultanti della funivia vengono scaricati nel terreno di fondazione mediante una costruzione a pali e rin-forzi di fondazione. La struttura di fondazione sotterranea sporgente sotto l’edificio della stazione si è dimostrata una soluzione vantaggiosa. Una variante di trasferimento del carico tramite ancoraggi nella roccia è stata rigettata per questioni tecniche ed economiche.

Al fine di mantenere in esercizio il più a lungo possibile la vecchia funivia come impianto di cantiere per i lavori di costruzione della stazione a monte e dei plinti di fondazio-ne, nonché di ridurre al minimo i tempi di costruzione della stazione a valle dopo il loro smantellamento, la fondazione a pali di sinistra, posta fuori dalla vecchia stazione, è stata re-alizzata in anticipo. La parte adiacente dell’edificio e la fon-dazione a pali di destra, che si sono trovati in parte nel pozzo delle pulegge preesistente, hanno potuto essere adeguata-mente realizzati dopo lo smontaggio del vecchio impianto a fune e dopo lo smantellamento della vecchia stazione a val-le, senza alcun intoppo e nel rispetto dei tempi.

La sottostruttura della facciata protesa in avanti è stata dimensionata come un telaio resistente a flessione, sospeso senza sostegni nell’area di accesso. Per il dimensio-namento della struttura del tetto sul lato monte, con i suoi piloni obliqui lunghi circa 13 m disposti nel terzo anteriore, sono stati considerati come criteri determinanti, oltre ai ca-richi gravitazionali, anche il carroponte e gli effetti sismici.

Stazione a monteLa struttura costruttiva della stazione a monte è am-

piamente comparabile con quella della stazione a valle. Sic-come la stazione a monte doveva essere realizzata per pri-ma e al di fuori dell’area dell’edificio preesistente, a livello di pianta è stato possibile evitare di dover procedere per fasi. Presenta una peculiarità: l’intercapedine della fondazione a pali è sfruttata come nuovo accesso invernale alla diga.

Degno di nota è il fatto che, secondo l’apposita perizia, doveva essere considerato un valore caratteristico del cari-co da neve pari a 13,2 kN2 con corrispondente accumulo di neve per le parti aggettanti del tetto. Grazie a una struttura resistente alla flessione prevalentemente incernierata e ai pilastri che si rastremano verso il basso è possibile trasferire in maniera affidabile questi elevati carichi nelle pareti di cal-cestruzzo alte fino a 12 m. La struttura del portale è ancorata in basso per assorbire le sollecitazioni.

La sottocostruzione dei locali di comando interni è stata anch’essa realizzata prevalentemente in acciaio. Per questio-ni operative è stata ritenuta come la più idonea una struttura obliqua, per lo più senza pilastri a livello dell’officina.

Questioni costruttiveOltre alle consuete complicazioni dell’edilizia d’al-

ta montagna, è stata posta particolare attenzione alle tradi-zionali superfici in calcestruzzo a vista bocciardato con re-lativo trattamento idrorepellente. Siccome per la stazione a monte il calcestruzzo è stato realizzato sul posto, è stata imprescindibile un’ampia campionatura in loco. La minuzio-sa pianificazione delle fughe di lavoro delle alte pareti di cal-cestruzzo è stata funzionale non solo all’aspetto finale, ma anche a uno svolgimento ragionato dei lavori.

Per i massicci elementi costruttivi è stato scelto un cal-cestruzzo a indurimento lento con ridotta temperatura del calcestruzzo fresco. Grazie al rigoroso rispetto dei tempi di disarmo, così come alla durata e ai metodi di maturazione, è stato possibile ottenere un calcestruzzo di ottima qualità.

Grazie allo straordinario impegno di tutti i sogget-ti coinvolti è nata così un’opera complessivamente riuscita, per non dire eccellente.

PiloniNumero piloni 3Altezza pilone 1 (altezza fune) 30,0 mAltezza pilone 2 (altezza fune) 25,0 mAltezza pilone 3 (altezza fune) 17,0 mUscita intermedia (lato unico) pilone 2Forza di appoggio massima delle funi portanti al pilone 1 (per linea) 440 kN

Ancoraggio funi portantiSistema Ancoraggio fisso presso entrambe le stazioniAncoraggio presso la stazione a monte Colonna ø 2’600 mmForza di trazione massima di una fune traente 562 kNForza di trazione massima di una linea 1124 kN

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16 Modellazione strutturale stazione a valle 17 Modellazione strutturale stazione a monte 18 Assonometria pilone 1. Fonte Garaventa AG 19 Sezione plinto pilone 1 Modellazioni Edy Toscano SA

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LIAFondazione a plinti

Tutti i pilastri di fondazione poggiano su plinti. Questi ultimi sono realizzati su misura degli ancoraggi e pertanto completati con un getto di calcestruzzo di riempimento solo dopo la posa.

La disposizione geometrica dei 4 punti di appoggio consente in parte di realizzare una platea comune, riducen-do così le forze simmetriche in direzione trasversale a forze interne più vantaggiose dal punto di vista della certificazio-ne di stabilità al ribaltamento e allo scorrimento.

La costruzione della fondazione per il pilastro 1 si è rive-lata un vero rompicapo progettuale e costruttivo. Il pilastro in questione è infatti posto in un punto molto ripido e difficil-mente accessibile, nelle immediate vicinanze di un settore di protezione delle acque. Si è rivelata qui vantaggiosa una co-struzione compatta. Questo principio costruttivo si è rivelato funzionale ai fini di un costo equilibrato dei lavori per le mo-vimentazioni di terra e per la posa in opera del calcestruzzo.

Autore: Edy Toscano SA

Impianto di risalitaSi tratta di una moderna funivia a va e vieni con due

veicoli che presentano entrambi una capienza di 8 persone o massimo 1200 kg.

Per il trasporto di materiale, le cabine per le persone possono essere sostituite da dispositivi di sollevamento. In questo caso il peso massimo arriva a 5000 kg, compreso il dispositivo di sollevamento (carico in sospensione).

Procedura seguita per il cavoSono state riutilizzate le funi della vecchia funivia. Con

la vecchia linea sono state inoltre inserite due cosiddette funi ausiliarie, ancorate davanti alle stazioni.

Dopo la costruzione di stazioni e piloni, le funi ausilia-rie sono state congiunte con le nuove funi e tirate da valle a monte mediante un verricello. La forza di trazione massima del verricello a monte era pari a 16 t, mentre a valle è stata applicata come freno una forza massima pari a 8 t, affinché le funi portanti scorressero sopra il bosco senza impigliarsi negli alberi.

In corrispondenza delle stazioni le funi portanti sono state avvolte attorno alle colonne e successivamente tese alla massima forza di trazione. La fune traente è stata suc-cessivamente chiusa ad anello continuo a monte con il con-trappeso e a valle mediante l’azionamento.

Autore: Garaventa AG

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Der Seilbahn AlbignaDie von dem Züricher Energieunternehmen ewz in Auftrag gegebene neue Seilbahn von Albigna führt bis zu dem gleichnamigen Staudamm. Zur Modernisierung der Seilbahn mussten auch die Tal- und die Bergstation erneuert werden, die bei begrenzten Investitonssummen das Unternehmen repräsentieren, Anklang bei der Öffentlichkeit finden und gut in die Landschaft eingebettet werden sollten. Aus diesem Grund wurde eine einfache Wellblechhülle verwendet. Die Konstruktion besteht dagegen aus Stahl und ruht auf einem Betonsockel. Die beiden Stationen sind jedoch nicht identisch, sondern unterscheiden sich durch funktionale Anforderungen an die Zugangstreppe und an das Dach, das bei der Talstation über die Fassade hinweg auskragt, in der sich die Seilbahn-kabine befindet. Das Dach der Bergstation ist kompakter gestaltet und entspricht im Wesentlichen dem Grundriss am Boden. Unter einer geneigten und überstehenden Seite der Talstation werden die Treppe und der Wartebereich untergebracht. Da es sich um ein Bauwerk für das Hochgebirge handelt, wurde der aufgeraute Beton mit wasserabweisenden Mitteln behandelt. Für die Bergstation wurde er vor Ort unter Zusatz von Verzögerern gemischt. Nennenswert sind auch die Pfeiler – der höchste ist 30 Meter hoch –, die Aufstiegsanlagen und die für die Inbetriebnahme der Tragseile zum Einsatz gebrachten Verfahren.

┌ Ubicazione: Pranzaira, Vicosoprano Committente: ewz, Elektrizitätswerk der Stadt Zürich, ZurigoArchitettura: Alder Clavuot Nunzi Architekten, Soglio Ingegneria civile: Edy Toscano SA, Pontresina Tecnica degli impianti di trasporto a fune: Garaventa AG, Seilbahntechnik, Rotkreuz Date: concorso 2014, realizzazione 2016

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LIA Armando Ruinelli

architetto della valleLe prime opere Alberto Caruso

Heinrich Tessenow spiegava che la semplicità e la povertà non hanno nulla in comune. La semplicità può rappresentare una grande ricchezza espressi-va, mentre la povertà è spesso l’effetto della varietà formale, che è il contrario della semplicità. Il percorso professionale di Armando Ruinelli, fin dalla metà degli anni Ottanta, si svolge interpretando la lezione di Tessenow, e dimostra come la sempli-cità sia l’esito finale di un faticoso processo razionale.

Nel 2012 il lavoro di Ruinelli+Partner è stato pubblicato nella prestigiosa collana De aedibus della lucernese Quart Verlag. Questo numero di Archi, che illu-stra alcune delle opere più recenti, ha l’ambizione di essere un aggiornamento della pubblicazione di Quart. Per consentire, tuttavia, ai lettori di comprendere il percor-so progettuale di Ruinelli, è necessario offrire qualche informazione sul suo lavoro precedente, dal quale abbiamo selezionato tre architetture.

La falegnameria di Spino, del 1990, è un manufatto dalla distribuzione ele-mentare, costituito da un basamento di beton e da un’elevazione tripartita di legno. La sua forma risolve in modo magistrale le questioni dell’inserimento ambientale. Più solitamente, infatti, i fabbricati artigianali vengono costruiti lontano dai nuclei antichi, per la difficoltà di mettere in relazione la loro volumetria con i vecchi edifici. Al critico di passaggio, la sua forma scalinata suggerisce un’adesione dell’autore al vocabolario formale degli architetti Analog di Zurigo, ma in realtà il suo disegno è ispirato ai terrazzamenti con i quali è lavorata la montagna situata dietro all’edifi-cio, mentre la maggiore delle tre quote del tetto riproduce l’altezza delle case alline-ate sulla strada e si riduce verso il fiume assecondando la pendenza naturale.

La sala polivalente di Bondo, del 1995, è situata sul bordo del letto del tor-rente, in una situazione orograficamente complessa. Sul basamento di beton, il lun-go corpo di fabbrica di legno è illuminato da una grande finestra a nastro che corre lungo il perimetro e, anche grazie all’aggetto del volume verso la strada che corre a valle, segnala l’eccezionalità dell’attività sociale ospitata. Gli ingressi e i raccordi con le aree circostanti a quote diverse, le relazioni del manufatto con il contesto, sono risolti in modo efficace. Verso sud, un lungo piazzale fa da grande atrio, mentre a nord una passerella collega la sala all’antico fabbricato oggi sede municipale.

La riqualificazione di una stalla a Soglio, del 2009, e la sua trasformazione in abitazione è, dei tre che presentiamo, il progetto più complesso per il concetto di recupero e di modifica d’uso che rappresenta e per le tecniche costruttive adotta-te. Già pubblicato in Archi 2/2011 (insieme alla casa e atelier per un fotografo, del 2003, sita nel terreno antistante), questo progetto è un esercizio sulla possibilità di operare trasformazioni radicali dei manufatti antichi – che costituiscono l’insieme significativo dell’abitato e che per questo vanno protetti – adottando scelte spaziali e strutturali adeguate e colte. Rimossa la copertura, ai quattro grandi muri angola-ri di pietra è stata accostata una nuova struttura portante in beton, che ha consen-tito di concepire con libertà spazi contemporanei resi stimolanti dalla relazione tra i materiali antichi e quelli moderni. Le grandi aperture che ventilavano la stalla sono state protette da tavole di legno a tutta altezza che, occultando i serramenti, con-feriscono un aspetto figurativamente ambiguo alla costruzione, che acquista una qualità architettonica nuova. È la messa in opera di quella continuità che Ruinelli persegue in ogni progetto, con il realismo che Tessenow definisce «la misura che ogni opera stabilisce con quanto l’ha preceduta».

1 Heinrich Tessenow, Casa Nau-Roeser, Lostau 1912. Fonte Marco De Michelis, Heinrich Tessenow 1876-1950, Milano 1991

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Falegnameria a Spino 2 Pianta piano terra 3 Sezione longitudinale 4 Scorcio dal basso 5 Vista complessiva Disegni Ruinelli Associati Architetti

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Foto Michael Bühler

Foto Franco Rigamonti

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Sala polivalente a Bondo 6 Vista crepuscolare 7 Sezione longitudinale 8 Pianta primo piano 9 Pianta piano terra 10 Vista complessiva

Disegni Ruinelli Associati Architetti

Foto Ralph Feiner

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Armando Ruinelli, Architekt des TalsDer berufliche Werdegang von Armando Ruinelli konzent-riert sich seit Mitte der achtziger Jahre auf eine Interpretati-on der Lehren von Tessenov und zeigt, dass die Einfachheit in der Architektur das Endergebnis eines mühsamen rationellen Prozesses ist. Einige Informationen über Ruinellis frühe Arbeiten sind unverzichtbar, damit die Leser die Entwicklung seiner Projekte verstehen können. Die Schreinerei von Spino löst die Fragen der Einbettung in den Kontext durch die dreigliedrige Form meisterhaft. Der Multifunktionsraum von Bondo mit der Auskragung des Baukörpers in Richtung Tal hebt die Besonderheit der hier stattfindenden gesellschaftlichen Aktivitäten hervor. Die Umwidmung eines Stalls in Soglio ist aufgrund der Renovierung und Nutzungsänderung und angesichts der verwendeten Bautechniken ein komplexeres Vorhaben.

Foto Piero Conconi

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Ex stalla a Soglio 11 Vista interna 12 Sezione longitudinale 13 Pianta piano terra 14 Scorcio esterno Foto e disegni Ruinelli

Associati Architetti

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LIA Costanza e coerenza

Lettera di Nott Caviezel ad Armando RuinelliCaro Armando,

visto che si tratta di te e che il tuo lavoro non cessa di affascinarmi e cat-turarmi, dopo qualche esitazione ho accettato di riflettere sulla tua opera metten-do su carta i miei pensieri per Archi. Ritenevo infatti di aver detto tutto quello che avevo da dire nel mio esteso contributo nella monografia a te dedicata edita dalla Quart. Ora cercherò di ripercorrere nella mente le tue opere e di considerare nuo-vamente il tutto. Le mie impressioni di quel tempo sono ancora vivide. Chissà se la Musa mi bacerà regalandomi nuove consapevolezze? Mi sono forse sfuggiti aspetti che varrebbe la pena di indagare?

Riflettere sull’architettura è più semplice che non scrivere della stessa. I pensieri volano e si esauriscono, le riflessioni incompiute rimangono un elemento sfuggevole, nient’altro che una miniera di idee... Quanto misero è limitarsi a medi-tare sulle tue riuscite opere. Generate dalla mente, hanno infine preso forma su una solida base: stabili, utili e belle. Lo sai di chi parlo. Il suo codice, spesso citato, non riesce oggi più a illuminarci in un’epoca in cui in molti luoghi vengono erette costru-zioni prive di bellezza, veri e propri insulti alla durabilità nella loro limitazione a una breve vita utile. Naturalmente sei consapevole che una buona architettura fornisce risposte convincenti a tutte le domande, che a loro volta, lo si voglia o no, seguono determinati criteri che riguardano il tutto così come il particolare. Un edificio sod-disfa la funzione che gli viene assegnata? Possiede qualità esterne ed entra in una relazione convincente con ciò che lo circonda, con l’ambiente e con il paesaggio? È coerente come un tutto e genera una proficua interazione fra la sua parte interna ed esterna? Le sue dimensioni sono adeguate? Sono adatti i materiali scelti e il modo in cui è realizzato? Se la risposta è «sì», significa che è già stato fatto molto. Si tratta a ogni modo di aspetti risolvibili in maniera del tutto razionale, se si ha confidenza col mestiere che gli architetti dovrebbero padroneggiare. Chi esplora la tua architet-tura percepisce l’esistenza di ulteriori dimensioni che, pur realmente presenti, non possono essere apprezzate dalla sola ragione.

Chi si dedica all’osservazione delle tue opere e ne rileva la logica attraverso la ragione, comprende una componente importante del loro aspetto materiale. È sempre evidente perché non si perde nelle chiacchiere di forme e materiali, altro-

«Avendo il loro insegnamento [degli antichi] come punto di partenza cercheremo di approntare soluzioni nuove e di conseguire così una gloria pari alla loro, se possibile anche maggiore». Leon Battista Alberti, De re edificatoria

Appunti di viaggio di un artista fiammingo del Quattrocento. Giovanni da Fano, Costruzione del tempio Malatestiano, miniatura dell’Hesperis di Basinio da Parma, Parigi, Bibliothèque de l’Arsenal

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LIACastasegna e l’atelier/magazzino dell’artista Miriam Cahn

a Stampa – dimostrano la tua crescita attraverso l’attenzio-ne per i compiti costruttivi sempre nuovi. Adeguati alla loro funzione e alla loro ubicazione, convincono ancora una volta per la riduzione dei mezzi a livello di progetto, per i materiali scelti nonché per l’esecuzione. Con questa vicinanza alla ge-nuinità del mestiere, il «Weiterbauen» diviene con tutta evi-denza un approccio progettuale credibile.

I miei più cari saluti, Nott* Vienna, 19 dicembre 2017

* Nott Caviezel, già caporedattore di werk, bauen+wohnen, professore all’Università tecnica di Vienna, presidente della Commissione federale dei monumenti storici. Traduzione di Andrea Bertocchi

Konstanz und Konsistenz In Form eines Briefes ergänzt der Autor seinen vor Jahren in einer Monografie erschienenen Text über Armando Ruinelli und dessen Werk. Auf der Basis jenes Beitrags ist im Brief vom soliden Handwerk des Architekten die Rede. Fest, nützlich und schön seien seine Gebäude. Während Festigkeit und Nützlichkeit rational überprüft werden können, entzieht sich die Schönheit selbst bei Alberti der nüchternen Betrachtung. Die Ästhetik der Architektur Ruinellis liege wesentlich in ihrer Wahrhaftig-keit, die ihrerseits aus dem historischen Bestand heraus Kraft und Poesie schöpft. Insofern reihen sich seine Bauten im nobelsten Sinne in eine erneuernde Tradition der Geschichte einer Landschaft und eines Ortes ein, ehrlich und nicht geschwätzig. Hier anzuknüpfen und nicht mimetisch platt weiterzubauen, sondern aus den Zeit-schichten des Bestehenden heraus zu entwerfen, Weiter-bauen nicht als hohles Statement zu proklamieren, sondern als qualitative Weiterentwicklung zu verstehen, gehört zur hohen Schule. Ruinellis Bauten tragen Erinnerung weiter, lassen Stimmungen und Sinnlichkeit zu erfahren. Wenn sich Alt und Neu begegnen, ist der «harmonische Kontrast» (Max Dvorák) gefragt, den Ruinelli meisterhaft beherrscht, weil er im Stande ist, zur Essenz der Dinge vorzustossen. Als zeitgenössischer Dialekt wird Ruinellis Architektur im trägen Fluss der althergebrachten Sprache verständlich. Die Anspielung auf Alberti weiterführend, erinnert der Brief schliesslich an den Begriff der Konformität. Die eigentlich so nahe liegende «convenienza» oder «confor-mità» ist als wesentliches Harmonieprinzip der Architektur heutzutage in Vergessenheit geraten, wo es doch gerade beim Weiterbauen essentiell ist. Diesem alten Gebot verpflichtet, bereichert die Architektur Ruinellis – gleichge-richtet und doch anders als der Bestand – in Fortsetzung der Tradition die Gegenwart.

ve tanto diffuse. Sono forse un romantico se individuo nel-la riduzione e nella limitazione l’aspetto più veritiero delle tue opere? Era Ruskin che nel XIX secolo parlava di verità e sincerità dell’architettura aborrendo illusioni e menzogne. Percepisco anche in te la sua predilezione per l’esistente, che porta in sé storia e storie che animano il presente. Senza alcun eccesso di pathos. Ne sono certo: anche tu ti addentri in quanto ti circonda, nel luogo e nel paesaggio. In loro gia-ce il ricordo, un’esigenza primaria dell’uomo che per questo motivo può togliere tanto all’eredità culturale. Al principio non c’è forse il sentimento in grado di percepire sensazioni ed esperire la sensualità? Voglio dire, su questa base anche il tuo fiuto e la tua pronunciata intuizione per le dimensioni, ilcorpo, la forma e i materiali «creano», generando in fondo una forza poetica con grande ambizione.

Tutti parlano di costruzione continua, conferendo tuttavia al concetto significati molto diversi fra loro. Men-tre alcuni creano consapevolmente fratture mettendo in scena le proprie opere e se stessi, tu hai scelto il percorso opposto. L’opzione più difficile, a parer mio, visto che non ti accontenti di un’imitazione mimetica, non intendi la co-struzione continua come banale affermazione, bensì come perfezionamento sotto il profilo qualitativo. Progettare par-tendo dal patrimonio storico è alta scuola, dimostrargli il do-vuto rispetto è per te una necessità. In questo modo, ciò che fai è in un certo senso conservazione dei monumenti storici. Oltre un secolo fa Georg Dehio, Alois Riegl e Max Dvorák, tre antesignani della moderna conservazione del patrimo-nio storico, invocavano che tale attività non fosse mossa da una ricerca del piacere, ma divenisse un esercizio di pietà. Pietà verso opere passate dimostratesi in grado di resiste-re sino al presente: singoli edifici, il paese, il paesaggio. Un tale rispetto non comportava una cristallizzazione, quanto piuttosto sviluppo e innovazione. Max Dvorák, che non si occupò solo di conservazione dei monumenti storici ma an-che sapientemente dell’avanguardia dell’epoca, si espresse a favore di un «armonico contrasto» fra vecchio e nuovo. Che ciò non rappresenti una contraddizione lo dimostrano le tue nuove costruzioni, i tuoi cambiamenti di destinazione d’uso e le tue ristrutturazioni di edifici preesistenti. Anche questa è alta scuola, visto che la ricerca di un contrasto adeguato richiede innanzitutto di avvicinarsi all’essenza delle cose. La tua architettura genera senso e influenza anche perché in un certo modo si rende comprensibile quale dialetto con-temporaneo nel lento fluire del linguaggio tradizionale.

I nonconformisti godono di una certa attenzione, lad-dove il conformismo è gravato da un’insipida noia. Nel qua-dro della storia dell’architettura, uno dei valori fondamen-tali è fin da Vitruvio la conformità architettonica. Come ebbe modo di formulare Georg Germann, anche Alberti, che quindici secoli dopo riprende sotto molti aspetti Vitru-vio, tratta la convenienza, se non addirittura la conformità, quale armonico principio guida dell’architettura. Il motivo non è qui la pietà quanto piuttosto la convinzione che a li-vello architettonico il nuovo debba essere custodito nel vec-chio, e sua volta il vecchio nel nuovo. Di conseguenza, solo la raggiunta consapevolezza della diversità del patrimonio consente l’adeguamento del nuovo. Così come il ricordo, an-che il desiderio di continuità è un’esigenza primaria dell’uo-mo. Vista così, caro Armando, la tua architettura è vocata alla conformità nel senso più nobile, una conformità elogia-ta già molto tempo prima di noi da autorevoli architetti e teorici. Preservando lo stesso orientamento del patrimonio esistente pur sottolineando la propria diversità, la tua ar-chitettura arricchisce il presente in quanto proseguimento della tradizione. Hai un lungo respiro e dimostri costanza e coerenza. Le tue opere più recenti – la casa unifamiliare di

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foto Ralph Feiner

Casa unifamiliare, Castasegna

La progettazione di questo nuovo edificio segue il ter-reno e il suo pendio e trova delle soluzioni architettoniche adeguate e espresse dalla sezione.

Il tetto nel suo fronte principale è in contropendenza ri-spetto al terreno, abbassandosi dal prospetto principale a sud verso la linea di impluvio della falda. L’innalzamento della falda conferisce un effetto slanciato all’edificio, che è compatto, lungo e stretto.

La composizione delle facciate è risolta con bucature in formati diversi, tra loro legati da rapporti proporzionali. La su-perficie degli esterni è ottenuta con intonaco monostrato in malta di calce, cemento e ghiaietto, applicato e «lavato» a mano.

All’interno, la lunga scala e il corridoio permettono di leggere l’edificio in tutta la sua lunghezza e altezza.

La costruzione è essenziale, declina l’archetipo del muro «a tutto spessore», costituito da un unico mattone con funzio-ne strutturale e isolante. Le solette sono in calcestruzzo a vista e i pavimenti in betoncino autolivellante, finito ad olio, a mano dagli stessi proprietari. La cucina è concepita come un «labora-torio» e realizzata in calcestruzzo nero, gettato sul posto.

Si tratta di una casa costruita con poche risorse e mate-riali utilizzati al grezzo. Tuttavia il budget ridotto non ha com-promesso né la qualità architettonica né la ricerca composi-tiva, compresi il progetto del dettaglio e la cura artigianale.

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┌ Committenza: Siska Willaert e Arnout Hostens, Castasegna Architettura: Ruinelli Associati Architetti - Armando Ruinelli, Soglio Collaboratori: F. Giovanoli, A. Innocenti Ingegneria civile: Moreno Giudicetti, Edy Toscano AG, St. Moritz Fisica della costruzione: Kuster + Partner AG, Coira Fotografia: Ralph Feiner, Malans Date: progetto e realizzazione 2012-2013

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A Villa Garbald, 1862-1864, arch. Gottfried Semper, restauro 2002/2003, arch. Miller & Maranta B Roccolo, 2003/2004, arch. Miller & Maranta

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A Costruzione copertura inclinata – Calcestruzzo, 25 cm – Barriera al vapore (tipo EVA), 0.3 cm – Isolamento termico (tipo swissporPUR Alu lose), 16 cm – Impermeabilizzazione, guaina polimerica bituminosa (tipo EGV3 lose), 0.3 cm – Impermeabilizzazione, guaina polimerica bituminosa (tipo EP4 flam wf), 0.4 cm – Fibra sintetica/tessuto non tessuto – Ghiaia, 5 cm

B Costruzione muro perimetrale fuoriterra – Mattone di laterizio isolante (tipo Porotherm PTH T7 – 42.4), 42.5

C Costruzione copertura ingrsso – Calcestruzzo, pendenza 0.5% - 1%, spessore min 18 cm – Ghiaia, spessore max 12.5 cm

D Costruzione soletta controterra – Betoncino autolivellante, 9 cm – Strato di separazione (tipo Trenn/Gleitlage PE-Folie), 0.2 mm – Isolamento termico (tipo swissporPUR Alu), 14 cm – Impermeabilizzazione (tipo VA 4), 0.4 cm – Platea in calcestruzzo, 20 cm – Magrone, 5 cm

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1 Pianta piano entrata 2 Pianta piano primo 3 Sezione longitudinale 4 Sezione di dettaglio

Testo e disegni Ruinelli Associati Architetti

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foto Ralph Feiner

Cimitero San Lorenzo, Soglio

Il progetto di restauro del cimitero prevede la sistema-zione delle fosse, la pavimentazione dei percorsi e la predi-sposizione per la tumulazione delle ceneri nel terreno.

Negli ultimi anni sempre più è richiesta la possibilità di inserire l’urna cineraria direttamente nella terra, in modo anonimo, in un contenitore che si dissolve disperdendo le ceneri. Un elemento indipendente, come per esempio una ta-vola o una grande pietra, riporta i nomi dei defunti.

L’idea di progetto è di porre le iscrizioni in uno spec-chio d’acqua, nel quale, insieme ai nomi, si riflettono il cielo e le montagne.

Abbiamo introdotto perciò due fontane: una approvvi-giona l’acqua per annaffiare i fiori, l’altra contiene i nomi dei defunti.

Le fontane sono collocate in corrispondenza del pas-saggio di quota tra le due porzioni in cui è strutturato il cimi-tero, delimitando e precisando i due livelli. Il fondo della fon-tana è in leggera pendenza e, come su un leggio, si possono leggere bene i nomi dei defunti incisi su una serie di piastre di bronzo industriale. Le fontane sono in calcestruzzo scu-ro perché l’effetto specchiante è accentuato da una vasca nera riempita di acqua. L’acqua scorre continuamente nella vasca, immessa sotto la superficie in modo silenzioso, vibra leggermente per effetto del vento che, senza far rumore, ge-nera poetiche immagini animate di cielo e nuvole.

┌ Committenza: Comune di Bregaglia, Comune di Soglio Architettura: Ruinelli Associati Architetti - Armando Ruinelli, Soglio Collaboratori: F. Giovanoli, S. Giovanoli Ingegneria civile: Beat E. Birchler, Zernez Fotografia: Ralph Feiner, Malans Date: progetto e realizzazione 2010

foto Ruinelli Associati Architetti

1 Sezione trasversale 2 Vista laterale

Testo e disegni Ruinelli Associati Architetti

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foto Ralph Feiner

Atelier di Miriam Cahn, Stampa

L’edificio di nuova costruzione è sia un contenitore per materiali e opere sia uno spazio di lavoro per l’artista.

Si tratta di un prisma monolitico e compatto, in agget-to su un basamento arretrato, come se il pesante contenitore fosse «sospeso» sul terreno in pendenza tra la strada e il fiume.

Si intendeva far emergere la destinazione d’uso ar-tigianale dell’edificio e allo stesso tempo un certa qualità dell’architettura.

La soluzione suggerita risiede nella scelta del materia-le: il calcestruzzo coniuga le due aspirazioni, è un materiale industriale, ma il progetto del cassero gli conferisce espres-sività architettonica. Viene utilizzato un calcestruzzo «po-vero», dove il cassero lascia intravvedere l’imprecisione. La ricerca della soluzione adatta al controllo dell’imperfezione è stata molto impegnativa e condotta attraverso prove e mo-delli in scala 1:1. La scelta ricade su di un calcestruzzo bian-co che porta il segno del cassero «imperfetto» in assi grezze; le finestre delle facciate hanno un ordine «gigante»; i serra-menti industriali sono in ferro.

La copertura è in ghiaia; la lattoneria è sostituita da una gomma sintetica, per conferire all’edificio uniformità di colore e materiale.

┌ Committenza: Miriam Cahn, Stampa Architettura: Ruinelli Associati Architetti - Armando Ruinelli, Soglio Collaboratori: F. Giovanoli, T. Guerrazzi, A. Innocenti, P. Sterni Ingegneria civile: Beat E. Birchler, Zernez Fotografia: Ralph Feiner, Malans Date: progetto e realizzazione 2014-2016

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– Stratigrafia – da interno verso esterno – – Lastre truciolare 1,9 cm – Barriera vapore Ampatex DB 90 – Lana di roccia 16 cm – Elemento in calcestruzzo prefabbricato 25 cm

1 Pianta 2 Sezione trasversale 3 Dettaglio serramento filomuro

Testo e disegni Ruinelli Associati Architetti

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foto Ruinelli Associati Architetti

Ristrutturazione Casa 63, Soglio

Il progetto di restauro si è concentrato sull’architettura dell’edificio esistente che, sebbene modesto, presentava al-cuni caratteri interessanti, da conservare.

Ambienti come la stüa e le camere sono stati restaura-ti, mentre ogni nuovo intervento è ben visibile, come la cuci-na, realizzata in lamiera su disegno, e il bagno, con il grande tavolo nero in calcestruzzo gettato sul posto.

Risulta evidente che il progetto contemporaneo si di-stingue come riconoscibile e successivo alla struttura origi-naria.

Uno dei problemi riscontrati in fase progettuale è sta-ta l’altezza ridotta dei locali, perciò sono state adottate delle soluzioni adeguate per occupare poco spazio con le nuove solette interpiano. La soletta in calcestruzzo tra il piano terra e il primo piano ha uno spessore di soli 16 cm, in cui è incluso tutto, illuminazione, riscaldamento e trattamento finale (il calcestruzzo è stato lisciato a mano il meglio possibile). Lo stesso principio è stato adottato con la soletta in legno tra il primo piano e il piano sottotetto, che, con uno spessore di 12 cm, svolge la funzione di soffitto e pavimento.

L’intervento ha tenuto conto degli aspetti energetici con il minimo necessario, optando per una coibentazione in-terna con intonaco isolante.

┌ Committenza: Fam. Schmid, Celerina Architettura: Ruinelli Associati Architetti - Armando Ruinelli, Soglio Collaboratori: F. Giovanoli, S. Giovanoli, T. Guerrazzi Ingegneria civile: Beat E. Birchler, Zernez Fisica della costruzione: Kuster + Partner AG, Coira Fotografia: Ruinelli Associati Architetti, Soglio Date: progetto

e realizzazione 2016

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1 Sezione trasversale 2 Pianta piano secondo 3 Pianta piano terreno 4 Pianta primo piano 5 Pianta piano seminterrato

Testo e disegni Ruinelli Associati Architetti

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foto Ruinelli Associati Architetti

Trasformazione e ricostruzione di due rustici, Isola

Il progetto affronta due temi, la trasformazione di una stalla con fienile in abitazione e la ricostruzione di un edifi-cio ad esso adiacente e indipendente, originariamente uti-lizzato come cascina per la produzione del formaggio. L’in-tervento collega le due piccole costruzioni con un passaggio interrato, invisibile dall’esterno per non turbare l’equilibrio dell’insediamento.

I due edifici sono trattati in modo autonomo, pur aven-do degli elementi che permettono di leggerli come interven-to unitario, per esempio la continuità della pavimentazione.

La stalla presenta un basamento in pietra, consolidato e intonacato a calce e cemento e rifinito in calce con l’aggiun-ta di sabbia molto fine, e un fienile al piano superiore realizza-to con sistema costruttivo ligneo (Blockbau) al cui interno è stata «inserita» una stanza di larice massiccio, essenza tipica della zona. Il portone del fienile, originariamente a due ante, è stato reinterpretato con una grande porta-finestra in larice, come tutti i serramenti della stalla, chiusa da un pannello scorrevole in legno intagliato. Le restanti aperture sono state ricavate con interventi minimi sulla travatura.

La cascina mantiene posizione e forma originaria e so-stituisce al muro in pietra intonacato un nuovo muro in cal-cestruzzo, isolato e intonacato. L’interno è in calcestruzzo a vista, ottenuto con cemento bianco. Il cassero è stato com-posto con tavole a taglio sega di spessore variabile tra i 12 e i 15 cm. Le aperture riprendono la tipologia preesistente di finestre molto piccole (circa 25 x 40 cm), sguinciate, ad ecce-zione di una grande finestra a ovest che incornicia il panora-ma del lago di Maloja. Le parti in legno sono qui in quercia, essenza che si accosta al calcestruzzo meglio del larice.

L’esterno è in intonaco di calce e cemento, graffiato il giorno dopo la posa per conferirgli un aspetto ruvido. Le ante esterne sono qui in lamiera grezza. La pavimentazione di en-trambi gli edifici è in malta battuta, ottenuta con l’aggiunta di polvere di marmo e impregnata di sapone di marsiglia.

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┌ Committenza: Fam. Meuli, Zurigo Architettura: Ruinelli Associati Architetti - Armando Ruinelli, Soglio Collaboratori: F. Giovanoli, A. Curti, T. Guerrazzi, A. Innocenti, P. Sterni, S. Giovanoli Ingegneria civile: Moreno Giudicetti, Edy Toscano AG, St. Moritz Fisica della costruzione: Kuster + Partner AG, Coira Fotografia: Ruinelli Associati Architetti, Soglio Date: progetto e realizzazione 2012 – in corso

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1 Sezione trasversale dei due edifici 2 Sezione della cascina, con vista della stalla 3 Pianta primo piano 4 Pianta piano terreno 5 Pianta piano interrato

Testo e disegni Ruinelli Associati Architetti

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foto Ralph Feiner

Ristrutturazione di un’abitazione, Sils Maria

Il progetto consiste nella ristrutturazione di una parte di edificio residenziale situato nella piazza di Sils Maria, ori-ginariamente a destinazione rurale.

La casa è stata sventrata, conservando i muri perime-trali, isolati esternamente con un cappotto intonacato, e la struttura del tetto, ancora visibile. Le distribuzioni interne sono state eseguite con nuove solette in calcestruzzo e con le partizioni verticali necessarie per un programma degli spazi molto articolato.

I pavimenti dei locali principali sono in parquet di ro-vere, le pareti sono intonacate in grigio scuro, mentre i sof-fitti hanno un leggero effetto lucido dato dal gesso bianco trattato con cera d’api. Gli ambienti di servizio presentano finiture in ceramica. La nuova scala, in rovere massiccio con corrimano in legno e parapetto in rame, ha un andamento «scultoreo», e mette in evidenza la cura del dettaglio. In que-sta casa è stato disegnato tutto: i letti, gli armadi e la cuci-na, con un uso colto di materiali locali reinterpretati in veste contemporanea.

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┌ Committenza: Fam. Rittweger, Sils Maria Architettura: Ruinelli Associati Architetti - Armando Ruinelli, Soglio Collaboratori: F. Giovanoli, A. Curti, P. Sterni, L. Wieland Ingegneria civile: Beat E. Birchler, Zernez Fisica della costruzione: Kuster + Partner AG, Coira Fotografia: Ralph Feiner, Malans Date: progetto e realizzazione 2014

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0 1 105 1 Pianta sottotetto 2 Pianta primo piano 3 Pianta piano terreno

Testo e disegni Ruinelli Associati Architetti

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Laura Ceriolo

Guida sentimentale alle Piccole architetture di montagna: Val Bregaglia* Non è un’inesattezza che l’aggettivo Piccole sia scritto in maiuscolo: le

architetture che vi presentiamo sono piccole solo in quanto a dimensioni, mentre sono notevoli qualitativamente, sia quelle di nuova edificazione sia quelle storiche. Non è neppure vero che tutte abbiano piccole dimensioni, perché in questa guida, sentimentale perché opera una scelta affettiva che non le comprende proprio tut-te, alcune sono più grandi, altre addirittura si presentano a scala territoriale, opere di ingegneria come le dighe dell’Albigna (1959), la strada a serpentina del Maloja (1828) e, in misura minore, la diga del Maloja (1980).

La diga ad arco del Maloja, situata nella valle del Forno, protegge i paesi della Bregaglia dalle inondazioni del fiume Orlegna durante le stagioni di piena.

L’imponente diga a gravità dell’Albigna, macro-struttura in calcestruzzo ad andamento planimetrico spezzato appartenente ormai al paesaggio della Bre-gaglia, che al suo interno somiglia a una cattedrale, non solo per la forma, ma anche per l’atmosfera, è un segno per chi percorre la valle e al tempo stesso si confonde con le sue montagne. Fatta costruire dalla società elettrica zurighese «ewz», ali-menta la centrale idroelettrica di Castasegna, dove, nel castagneto di Brentan, fu costruito un intero villaggio di case, oltre a quelle di Vicosoprano, per i dipendenti dell’azienda, dette ancora oggi «case ewz», della cui progettazione fu incaricato l’ar-chitetto Bruno Giacometti.

La strada a tornanti che si arrampica inesorabilmente e tortuosamente al passo Maloja, con i suoi alti muri in pietra naturale che la arginano, dotati di speroni di rinforzo distribuiti sulla loro superficie, si presenta anch’essa come un progetto a grande scala che incide l’erto versante della valle fino a raggiungere, oltre il passo, l’ampia alta Engadina.

Negli anni Sessanta sono numerosi altri i progetti che modificano il volto della valle: piccole architetture ora a scala «urbana», in beton, si integrano in un paesaggio sì verde, ma fatto anche di montagne rocciose. La struttura «a fungo», ombrello in calcestruzzo per la protezione dei gestori e dei clienti della stazione di rifornimento City SA a Farzett, progettata dal ticinese Peppo Brivio (1962), è sorta in occasione della costruzione delle circonvallazioni che liberarono dal traffico i vil-laggi bregagliotti e rimane oggi un simbolo del passaggio degli italiani per la Bre-gaglia – dai lavoratori frontalieri ai villeggianti dell’Engadina. Per l’adeguamento alla nuova viabilità fu costruito anche il casello rosso della dogana di Castasegna (1959), ora ufficio postale, un lato a livello strada e l’altro sospeso sulla scarpata e sorretto da pilastri a sbalzo, altra opera di Bruno Giacometti.

Il tipo a torre, di cui la torre Belvedere che domina la valle dal passo del Ma-loja è antesignana in Bregaglia, è riproposto in chiave contemporanea sia dall’am-pliamento di Villa Garbald, il «Roccolo» di Castasegna, ad opera di Miller e Maranta, sia più recentemente da Hans-Jörg Ruch, che costruisce in località Roticcio presso Vicosoprano il Rifugio Bregaglia. Si tratta di una dimora che sorge sul lato soleggia-to della vallata, dal volume rettangolare verso il paese, ma che dal fondovalle appa-re come una torre sottile. Le pareti esterne sono in calcestruzzo con inerti (emersi dopo lavaggio ad alta pressione) derivanti da pietrisco locale da scavo, ciò che ren-de la costruzione ancora più ancorata al luogo in cui è sita.

L’uso e la lavorazione dei materiali di cui sono costruite, dettagli a scala macroscopica, contraddistinguono le architetture della Bregaglia. Dal legno alla pietra naturale a quella artificiale, il calcestruzzo in particolare, composto a sua vol-ta dall’aggregazione di pietrisco locale, tutti i materiali sono lavorati con maestria e originalità, pur nel rispetto dei luoghi, della tradizione e delle caratteristiche pro-prie di ciascuno. Una bellezza e un’armonia fatta di architetture rarefatte, che sca-turiscono dalla luce e dalle ombre di questa vallata.

* Le architetture non menzionate nel testo sono state commentate in altri saggi e progetti presentati in questo numero di Archi.

Carta topografica.Fonte Ufficio federale di topografia

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18 Spino, Falegnameria, 1990,

arch. Armando Ruinelli

19 Bondo, Sala polivalente, 1995,

arch. Armando Ruinelli

20 Bondo, Palazzo Salis, 1766-1775, arch. Francesco

Croce, restauro esterno 1997-1998

21 Bondo, Chiesa riformata San Martino,

consacrata nel 1250, affreschi 1480,

modificata nel 1617 e nel 1763, restauro 2011

22 Promontogno, Hotel Bregaglia, 1875-1877,

arch. Giovanni Sottovia

23 Promontogno, Müraia e Nossa Donna, XII-XIX sec.

24 Coltura, Palazzo Castelmur, 1723, ampliamento

1850-1854, arch. Giovanni Crassi Marliani

25 Stampa, Museo di valle Ciäsa granda, 1581,

restauro 1721 e 1953

26 Stampa, Atelier Giacometti, stalla del XVIII sec.

trasformata nel 1906 da Giovanni Giacometti

27 Stampa, Magazzino per l’artista Miriam Cahn,

2014-2016, Ruinelli Associati Architetti

28 Vicosoprano, località Roticcio, Rifugio

Val Bregaglia, 2014, Ruch & partner architekten

29 Vicosoprano, Casa unifamiliare, 2012,

arch. Renato Maurizio

30 Vicosoprano, Pretorio, torre rotonda seconda metà

XIII sec., restauro 1592, pretorio riedificato nel 1583

31 Vicosoprano, Nuove stazioni della Funivia dell’Albigna,

arch. Alder Clavuot Nunzi, località Pranzaira

Opere*

1 Chiavenna, Palazzo Balbiani, Castello, XV sec.

2 Chiavenna, Collegiata di San Lorenzo, XI-XVIII sec.

3 Chiavenna, Palazzo Salis, XVI sec.

4 Chiavenna, Palazzo Pestalozzi-Pollavini, XVI sec.

5 Chiavenna, Palazzo Pretorio, XVI sec.

6 Piuro, Palazzo Vertemate Franchi, XVI sec.

7 Castasegna, Stazione di rifornimento a Farzett,

1962-1963, arch. Peppo Brivio

8 Castasegna, Casa unifamiliare, 2013,

Ruinelli Associati Architetti

9 Castasegna, Villa Garbald, 1862-1864,

arch. Gottfried Semper, restauro 2002-2003,

arch. Miller & Maranta

10 Castasegna, Roccolo, 2003-2004,

arch. Miller & Maranta

11 Castasegna, quartiere ewz, 1957-1959,

arch. Bruno Giacometti

12 Soglio, Palazzi Salis, XVI-XVIII sec.

13 Soglio, Cimitero San Lorenzo, 2010,

Ruinelli Associati Architetti

14 Soglio, Ristrutturazione casa 63, 2016,

Ruinelli Associati Architetti

15 Soglio, Casa atelier fotografico, 2003,

Ruinelli associati architetti (cfr. Archi 2/2011)

16 Soglio, Riqualificazione stalla, 2009,

Ruinelli associati architetti (cfr. Archi 2/2011)

17 Soglio, Casa unifamilare, 2015,

Ruch & partner architekten

32 Vicosoprano/Albigna, Diga, 1954-1959, ing. W. Zingg

33 Casaccia, Vestigia della Chiesa San Gaudenzio,

citata intorno al 840, costruita a nuovo nel

1514-1518, consolidamenti e restauri 2009-2015

34 Diga del Maloja

35 Maloja, la strada a serpentina del passo, 1827-1828,

ingegneri Richard La Nicca e Ulysses von Gugelberg

36 Maloja, Case plurifamiliari, 2006-2014,

arch. Renato Maurizio

37 Maloja, Villa Segantini, villa della Châletfabrik

Kuoni 1882; atelier 1898, arch. Giovanni Segantini

38 Maloja, Hotel Kursaal Maloja, 1882-1884,

arch. Jules Rau

39 Maloja, Torre belvedere, arch. Ruch

40 Isola, Trasformazione di una stalla e ricostruzione di

una cascina, 2012-2017, Ruinelli Associati Architetti

41 Sils, Ristrutturazione casa unifamiliare, 2014,

Ruinelli Associati Architetti

In rosso le opere presentate nella rivista. In grigio

quelle visitabili, ma non pubblicate, elencate da sud a

nord, al confine con l’Engadina, fino ad arrivare a Sils.

* Per opere intendiamo qui i manufatti di rilievo

presenti in Val Bregaglia – che geograficamente

si conclude a fondo valle con la città italiana

di Chiavenna – siano essi monumenti storici,

ingegneristici o architettonici.

Sils

BondoPromontogno

Spino

Coltura

Casaccia

Castasegna

Soglio

Silvaplana

StampaVicosoprano

Maloja

Isola

Lago di Albigna

Lago di Sils

Lago di Silvaplana

Chiavenna

Piuro

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Basi per l’applicazione del metodo BIM

Manfred HuberProf. Manfred Huber, arch. dipl. ETH SIA, presi-dente commissione SIA 2051 BIM, contitolare aardeplan Architekten ETH SIA, responsabile Kompetenzzentrum Digitales Entwerfen und Bauen, FHNW

Con il quaderno tecnico SIA 2051 - BIM, in consultazione, la SIA stila un importante testo utile alla compren-sione di questo nuovo metodo. È in elaborazione anche un altro docu-mento sull’impiego pratico del BIM.

Il Building Information Modelling (BIM) è ormai sulla bocca di tutti, soprattutto da quando si è tenuta la fiera «Swissbau 2016». Gli architetti e i progettisti si con-frontano con questo nuovo metodo, sem-pre più utilizzato. Anche i committenti ri-chiedono sempre più l’impiego del BIM, fiduciosi che questo strumento innovati-vo apporti un netto miglioramento nei processi di progettazione, costruzione e gestione, agevolando la realizzazione di opere qualitativamente migliori.

Nel contempo, gli esperti del settore discutono sulle possibilità di impiego del BIM. Le opinioni divergono fortemente, e per molti il nuovo metodo suscita qual-che perplessità. Con il quaderno tecnico SIA 2051 «Building Information Model-ling (BIM) – basi per l’applicazione del metodo BIM», posto in consultazione a inizio luglio, la SIA apporta un importan-te contributo atto a chiarire e oggettiva-re la discussione in materia. Il quaderno tecnico è stato stilato da una commissio-ne di 18 specialisti, provenienti da tutti i gruppi professionali SIA. Nel documento sono confluiti anche know how ed espe-rienze raccolti in seno a scuole universi-tarie, CRB e KBOB.

Consenso a livello terminologicoLa commissione si è accordata, defi-

nendo per il quaderno tecnico una serie di principi fondamentali. Il Building In-formation Modelling è un metodo che utilizza i modelli delle opere in formato digitale. Tali modelli sono una raccolta di dati informativi, rappresentano un’astra-zione della realtà e illustrano nel contem-po le caratteristiche delle opere. Per in-fondere, sin dall’inizio, chiarezza a livello terminologico, il quaderno tecnico defi-nisce l’acronimo BIM e numerosi altri ter-mini utilizzati in concomitanza con l’ap-plicazione. Il documento descrive inoltre

l’organizzazione di una procedura BIM con il suo componente principale, il pia-no di sviluppo del progetto BIM. In que-sto ambito si approfondiscono aspetti come la formulazione dell’obiettivo, i contenuti dei modelli e la loro coordina-zione. Sono spiegate anche le forme e la portata delle diverse possibilità di impie-go del BIM e la conseguente integrazio-ne dei modelli di opere. Il quaderno tecni-co definisce le persone coinvolte e il loro ruolo, assegnando le rispettive mansioni e responsabilità. Il capitolo conclusivo, intitolato «Prestazioni», illustra in modo chiaro come la fornitura di prestazioni possa cambiare con l’applicazione del metodo BIM. Questo aspetto viene spie-gato con le quattro domande «Quan-do?», «Cosa?», «Chi?» e «Quanto?». Nel con-tempo si definisce come tenere conto di possibili cambiamenti negli esistenti re-golamenti per gli onorari. Si fa riferimen-to anche ai cambiamenti relativi alle di-sposizioni contrattuali e agli ambiti giuridici coinvolti (p. es. diritto di utilizzo).

Nessun nuovo sistema di classificazione Il quaderno tecnico SIA 2051 costitui-

sce una base per l’applicazione del meto-do BIM ed è utile alla comprensione, per-tanto esso non fa volutamente alcun riferimento ad altre norme o regolamen-ti. Nel documento si rinuncia espressa-mente a stabilire un nuovo sistema di classificazione, definire nuovi attributi o fissare principi qualitativi o quantitativi sulla fornitura di prestazioni e sulla rela-tiva remunerazione, dimostrando invece come il metodo possa essere già impie-gato con le norme, i regolamenti e gli standard in vigore. In futuro tuttavia sarà necessario adeguare gli strumenti di la-voro esistenti o crearne di nuovi, tenendo conto della progressiva digitalizzazione delle procedure di progettazione e realiz-zazione. Per farlo sarà necessario racco-gliere maggiori esperienze in materia di best practice.

Contemporaneamente al quaderno tecnico è in programma la pubblicazione del documento SIA D0256 BIM. Stilato sotto la supervisione della commissione SIA 2051, esso si compone di due parti: nella prima si approfondiscono le sfide che l’implementazione del BIM implica all’interno di un’azienda; nella seconda, più corposa, si illustra invece un progetto modello, realizzato mediante il BIM. Qui l’applicazione del metodo BIM è spiegata in modo concreto e pratico. Sono definiti i vari elementi del piano di sviluppo del progetto BIM e il loro nesso con i modelli digitali. Per quanto concerne le presta-zioni, il documento mostra come sia pos-sibile armonizzare la retribuzione sulla base dei regolamenti per gli onorari at-

tualmente in vigore. Il documento SIA D0256 rappresenta dunque, per i suoi contenuti, un importante complemento, orientato alla prassi, del quaderno tecni-co SIA 2051, il cui scopo principale è crea-re una base di comprensione comune.

Lacune nel modello IFCIl quaderno tecnico e la documenta-

zione agevolano in modo considerevole l’impiego del BIM nella prassi quotidia-na, tuttavia per progettare con il BIM la via non è ancora del tutto priva di ostaco-li: né il quaderno tecnico né la documen-tazione definiscono infatti le caratteristi-che degli oggetti impiegati nei modelli delle opere in formato digitale. Tali carat-teristiche sono oggi descritte nel formato IFC (ISO 16739).

Il formato IFC è un modello di dati completo e solido, ma ha qualche lacuna. Diverse caratteristiche (p. es. materiali) e attribuzioni relative alle fasi di progetta-zione, costruzione e gestione, non sono standardizzate. Su scala europea, per eli-minare tali lacune si stanno compiendo sforzi considerevoli con il CEN TC 442 BIM. Ciononostante la Svizzera dovrà adattare caratteristiche e attribuzioni in base alla cultura della costruzione elveti-ca, ad es. rendendole accessibili median-te un database pubblico delle caratteri-stiche. Una soluzione che, tra l’altro, in Austria viene già offerta agli utenti, con le generazioni di software più all’avan-guardia. Senza un’ulteriore standardiz-zazione delle caratteristiche e delle cor-rispettive fasi, l’interoperabilità resterà limitata.

┌Il quaderno tecnico SIA 2051Sarà presumibilmente pubblicato nell’autunno 2017. Non è ancora stata definita la data in cui il quaderno tecnico sarà pubblicato in italiano. Trovate la bozza e il relativo formulario su: www.sia.ch/vernehmlassungen

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Riflessioni di fine anno

Stefan CadoschPresidente SIA

Sguardi, Svizzera 2050, Netzwerk Digital – anche nel 2017 la SIA parte-cipa al dibattito pubblico in veste di vettore e catalizzatore di un pensiero responsabile, sostenibile e all’avan-guardia.

Qualche mese fa, la popolazione sviz-zera ha detto «no» all’abbandono accele-rato dell’energia nucleare. C’è già chi af-ferma che con questo rifiuto, il popolo sovrano abbia voluto dire «no» alla rinun-cia all’atomo. Io la penso diversamente, e anche la nostra futura presidente della Confederazione, Doris Leuthard, è dello stesso parere: «La popolazione vuole l’u-scita dal nucleare, ma l’abbandono av-verrà progressivamente, e non in modo precipitoso».

La lungimirante trasformazione del nostro sistema energetico dovrà avvenire in modo ben riflettuto, partendo innanzi-tutto dalla decarbonizzazione per rime-diare al riscaldamento climatico. Dob-biamo però anche allontanarci da un ciclo di produzione energetica che genera emissioni e comporta rischi imponderabi-li. Ciò giustifica pienamente un abban-dono pianificato dell’energia nucleare, come previsto dalla Strategia energeti-ca 2050.

Produzione di calore a zero emissioniDato che il motore decisivo per lo svi-

luppo della produzione di energia rigene-rativa è la domanda stessa, è quest’ultima che va aumentata. Ed è qui che entriamo in gioco noi, architetti e ingegneri. Il par-co immobiliare svizzero consuma il 49% di energie fossili e il 14% di energia nuclea-re. Siamo quindi noi, con le nostre propo-ste e soluzioni, a dovere convincere le persone che continuano a riscaldare le proprie case a olio, gas e legna, ad op-tare per le tecnologie a zero emissioni. Attraverso le ottimizzazioni d’esercizio è possibile contenere enormemente il con-sumo di energia elettrica. Questi approc-ci non sono che singoli esempi di come possiamo condizionare e limitare in mo-do importante la dipendenza della nostra società dall’energia fossile e nucleare.

Il fatto che sia possibile evitare emis-sioni nocive e creare nel contempo un plusvalore a livello sociale, economico e di cultura della costruzione, l’hanno di-mostrato a chiare lettere, una volta di più, anche i progetti candidati al riconosci-mento SIA «Umsicht – Regards – Sguardi

2017». Proprio per questo attendo con grande impazienza uno degli appunta-menti cruciali di questo nuovo anno: la cerimonia di premiazione, che si terrà il 22 marzo nella nuova ala del Museo na-zionale di Zurigo. «Sguardi» è uno stru-mento di sensibilizzazione e una fonte d’ispirazione, un invito a seguirci in que-sto cammino verso una lungimirante trasformazione del patrimonio costruito svizzero.

Progetto di ricerca «Svizzera 2050»Rinnoviamo il nostro appello anche

con un altro impegno importante: il pro-getto di ricerca «Svizzera 2050 - territori e opere». L’obiettivo è quello di elaborare una visione unitaria dello sviluppo terri-toriale, volutamente orientata allo stesso orizzonte temporale della Strategia ener-getica, poiché le trasformazioni in mate-ria energetica e di pianificazione territo-riale sono strettamente legate. Si tratta di un progetto fondamentale che, oltre ad offrire una visione di quella che sarà la Svizzera nel 2050, ci fornirà anche in-formazioni preziose per la prassi profes-sionale dei membri SIA. Inoltre ci permet-terà di capire in quale direzione articolare le norme e orientare i nostri corsi di for-mazione continua e perfezionamento pro-fessionale. Con questo progetto la SIA sottolinea, non da ultimo, il ruolo pionieri-stico che assume nell’ambito di un’orga-nizzazione lungimirante, innovativa e di alto valore qualitativo dello spazio vitale svizzero.

BIM: sfide e occasioniLa terza sfida con cui la SIA dovrà con-

frontarsi è la digitalizzazione. La «fan-tascienza che diventa fatto scientifico», queste le parole usate dal futurologo Gerd Leonhard in occasione del Dîner SIA 2016 per descrivere l’evoluzione delle

tecnologie dell’informazione. Ciò che tale trasformazione possa significare comin-ciamo solo ora a immaginarlo, ma quel che è certo è che l’evoluzione informatica avrà ripercussioni profonde sul lavoro di noi architetti, architetti paesaggisti, urba-nisti e ingegneri, cambiando sostanzial-mente il nostro profilo professionale e il nostro ruolo nella società. Personalmen-te vivo questi sviluppi come una sfida e trovo entusiasmante poter essere prota-gonisti di questo momento della storia. Se contribuiamo attivamente a forgiare questo momento storico, con l’intervento di «Netzwerk Digital» e dei gruppi profes-sionali SIA, si presenteranno nuove vie e possibilità per l’architettura e l’ingegne-ria e si apriranno altre prospettive. Dob-biamo però anche condurre un dibattito sui vantaggi, ma anche sui limiti di tale evoluzione, soprattutto perché con la pro-gressiva digitalizzazione, vi è anche una parte crescente di popolazione che si preoccupa per il futuro.

Colgo l’occasione per rivolgere i miei più calorosi ringraziamenti a tutti coloro che hanno sostenuto la nostra Società in quest’anno trascorso, sia nell’ambito di progetti come «Sguardi» o «Svizzera 2050», oppure «Netzwerk Digital», ma anche nell’elaborazione delle nostre norme o col-laborando in seno al Comitato, ai gruppi professionali, alle sezioni, alle commis-sioni e all’Ufficio amministrativo. Costru-iamo insieme un futuro degno di essere vissuto!

Stefan Cadosch, presidente SIA, aprile 2016, a Zugo. Foto Manu Friederich

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«SIA-Service» festeggia 10 anni

Frank Peter Jäger Redattore responsabile Pagine SIA [email protected]

Sono già trascorsi dieci anni da quando la SIA ha lanciato «SIA-Servi-ce», un ventaglio di prestazioni rivolte alle ditte affiliate. Mike Siering (co-fondatore) e David Fässler (responsa-bile dal 2014) tirano un bilancio in-termedio.

Come nasce l’idea di «SIA-Service» nel 2006?

Mike Siering: In quel periodo gli studi di progettazione avevano espresso l’esi-genza di ricevere informazioni che andas-sero anche oltre i temi tecnici e specialisti-ci legati alla costruzione. La richiesta verteva soprattutto sulla possibilità di ac-quisire un know how di base in materia di gestione aziendale. Su iniziativa del no-stro ex presidente, Daniel Kündig, abbia-mo messo a punto alcune prime offerte ri-volte alle ditte: consulenza in materia di gestione aziendale, rilevamento statisti-co e salariale, borsa d’impiego e così via.

Dal 2006, il profilo della SIA si è trasfor-mato in modo sostanziale. Ciò ha avuto del-le conseguenze per SIA-Service?

Mike Siering: È vero, le prestazioni SIA si sono sempre più diversificate, il che ha certamente influito anche sulle offerte di SIA-Service. Inoltre, per alcuni servizi, si sono ottimizzate alcune modalità, facili-tando l’utenza, per esempio nel caso del rilevamento statistico e salariale (prima disponibile in forma di dossier, oggi ac-cessibile per via elettronica). Ora basta-no pochi clic per confrontare gli indici economico-aziendali della propria ditta con la media del settore. Con SIA-Service cerchiamo inoltre un dialogo diretto con le ditte affiliate.

In che modo?David Fässler: Offrendo regolarmente

un ventaglio di prestazioni. Oltre ai rile-vamenti statistici e salariali, SIA-Service organizza corsi e diverse altre opportuni-tà di scambio, da cui nascono numerosi contatti. Una delle formule di maggiore successo è l’«Erfa», che sta per Erfahrung-saustausch (scambio di esperienze). Una volta all’anno invitiamo in sede un relato-re a parlare di temi specifici, in presenza di una decina di membri affiliati come ditta SIA.

Manteniamo volutamente piccolo il gruppo di presenti, in modo che i parteci-

panti si sentano a loro agio e possano porre le proprie domande. Un’altra buona occasione di contatto è il Dîner SIA an-nuale, con circa un centinaio di invitati.

Non sono state mai mosse critiche sul fatto che, facendo una distinzione tra affilia-zione come membro individuale e come dit-ta, la SIA separi i membri in due categorie?

Mike Siering: Non mi sono mai giunti commenti al riguardo, penso che l’idea e le motivazioni di un’ampliata offerta di servizi siano sempre state concepite co-me plausibili.

La quota per affiliarsi come ditta è molto più elevata?

Mike Siering: Le quote sono calcolate in base alla somma salariale soggetta all’AVS. Per ogni ditta è diverso. Più lo studio è grande e più collaboratori vi la-vorano, tanto più elevata sarà anche la quota di affiliazione.

Le prestazioni di SIA-Service potrebbero essere adattate e offerte anche ai membri individuali?

David Fässler: Alcuni di questi servizi sono già stati adattati, pensiamo ai corsi di gestione aziendale proposti da SIA-Form. Comunque, penso che invece di uniformare i servizi, dovremmo mettere maggiormente a fuoco lo status delle dit-te affiliate.

Mike Siering: I vantaggi che apporta un’affiliazione come ditta dovrebbero ri-saltare in modo chiaro. Ecco perché an-che in futuro è importante che vi siano delle offerte rivolte espressamente alle ditte affiliate, come le conferenze specia-listiche sull’attuale situazione congiun-turale nel settore.

Attraverso le offerte di benchmarking e i corsi di gestione è stato possibile promuo-vere tra i membri uno spirito più imprendi-toriale?

Mike Siering: Sì, ritengo di sì. Se penso ai partecipanti ai miei corsi, persone che

si accingono ad assumere la mansione di quadri, resto a bocca aperta nel vedere con quale entusiasmo affrontino oggi i temi legati alla gestione aziendale. Per la maggior parte degli architetti e degli in-gegneri il «management» ha perso quel suo connotato negativo, ormai fa parte del tutto. Dieci anni fa, le cose stavano di-versamente.

David Fässler: L’aumentato interesse è confermato anche dal crescente nume-ro di partecipanti ai sondaggi. Quest’an-no hanno partecipato al rilevamento sta-tistico ben 300 studi, quasi un centinaio in più di due anni fa. Ciò dimostra che sempre più ditte accordano un’importan-za crescente al fatto di saper gestire uno studio anche dal punto di vista aziendale e finanziario. È il più bel risultato che po-tessimo ottenere.

Che cosa avete in progetto per il futuro prossimo?

Mike Siering: Sperimentare nuove vie, senza paura del cambiamento. Forse un giorno riusciremo a stabilire un rapporto più stretto, quasi familiare, tra la SIA e le ditte affiliate, fino a formare una vera e propria comunità di progettisti.

1 Fanno parte del team SIA-Service, in seno all’Ufficio amministrativo: Elisa Tirendi, David

Fässler e Henrietta Krüger (da sinistra a destra). 2 Mike Siering, ing. arch. dipl. RWTH/SIA, ing.

econ. dipl., presso la SIA dal 2005, responsabile servizio Comunicazione e vicedirettore SIA.

3 David Fässler, avvocato, M.B.A./SIA, presso la SIA dal 2010, nel settore SIA-Service dal

2011, dal 2014 in veste di responsabile.

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Pari diritti nei mandati complessi

Ivo VasellaComunicazione, responsabile Progetti ed [email protected]

Oggi la complessità dei mandati richiede anche nuovi metodi di pro-gettazione – ne parliamo con Marti-na Voser, architetto paesaggista e membro giurato di «Sguardi».

Signora Voser, questa è stata la prima edizione di «Umsicht – Regards – Sguardi» che l’ha vista coinvolta in veste di mem-bro della giuria. Che cosa contraddistin-gue la procedura di valutazione di questo riconoscimento rispetto ad altri in cui ha partecipato come membro giurato?

La giuria era composta da tredici membri, tutti specialisti. È stato entusia-smante trovarsi a far parte di un’unione di competenze così ampie e diversifica-te. Tale interdisciplinarità rispecchia la complessità dei progetti presentati. Cre-do che tale diversificazione sia una con-dizione imprescindibile, visti gli impe-gnativi criteri posti dal riconoscimento. Mi è rimasto impresso il sopralluogo ef-fettuato insieme a un altro membro giu-rato. Visitando le opere in loco è stato possibile chiedere informazioni agli au-tori, discutere e verificare con occhio cri-tico i dettagli. Tenuto conto dell’ampio ventaglio di progetti presentati, davvero molto diversi tra loro, forse ci sarebbe voluto ancora un po’ più spazio di di-scussione. Ad ogni modo l’intera proce-dura è stata incredibilmente appassio-nante e arricchente.

In Svizzera i premi conferiti in ambito architettonico ed edilizio non sono pochi. Sono davvero necessari così tanti ricono-scimenti e distinzioni?

La nostra società, il contesto in cui vi-viamo e lavoriamo, e di conseguenza anche il nostro operato in veste di pro-gettisti, è sottoposto a costanti cambia-menti. Proprio per questo sono convin-ta che sia necessario un premio come «Sguardi». Per me si tratta del riconosci-mento più ambito che si possa ricevere perché contraddistingue i progetti lun-gimiranti, capaci di soddisfare tutti gli aspetti contemplati dal costruire, sul piano sociale, culturale, tecnico ed eco-nomico. «Sguardi» risponde alla com-plessità che caratterizza oggi i diver-si mandati. A volte mi chiedo se i «premi di stampo classico», conferiti essenzial-mente all’opera in quanto tale, non siano ormai superati. Forse sono necessari an-

che questi, per me tuttavia non danno sufficienti risposte, non spiegano in quale direzione debba evolvere il conte-sto in cui viviamo.

Signora Voser, lei è architetto paesaggi-sta, ha uno studio a Zurigo, inoltre insegna all’Accademia di architettura di Mendri-sio. Che ruolo riveste l’architettura del pa-esaggio nell’ambito del riconoscimento «Sguardi»?

Il tema del paesaggio, e non solo dell’architettura del paesaggio, era pre-sente in molti progetti presentati, il che attesta, con grande evidenza, quanto sia attuale e di rilievo questo tema, anche in riferimento alla nostra identità, tenuto conto degli sviluppi a cui assistiamo a li-vello di pianificazione territoriale e di ur-banistica. Numerosi articoli e pubbli-cazioni dimostrano che attualmente si interessano all’argomento anche molte altre discipline. Quel che non approvo è che spesso il paesaggio si riduca a una sorta di immagine idealizzata. Soprat-tutto in Svizzera infatti abbiamo sempre a che fare con un paesaggio antropizza-to e costruito, caratterizzato da una lun-ga tradizione in materia di infrastruttu-re, mobilità ecc.

Per trovare soluzioni valide è indispensa-bile lavorare in un team interdisciplinare?

Sì, ne sono convinta. I progetti davve-ro lungimiranti, accorti e coerenti pos-sono nascere soltanto dal lavoro di squadra. È importante anche l’interazio-ne tra progettisti, committenti e autorità responsabili. Comunque, da ultimo, il successo dipende strettamente dalle singole personalità coinvolte, che credo-no nel progetto e portano avanti le pro-prie convinzioni.

Considerata la complessità e anche la lunga durata degli odierni mandati, ri-tengo indispensabile un lavoro tra pari, un partenariato tra specialisti con pari diritti. È avvincente quando nel corso di un progetto vi è un passaggio di testi-mone. Chi ha potere decisionale, ma an-che i progettisti, deve oggi essere pron-to a rompere gli schemi e a interrogarsi in modo critico sul proprio ruolo e i me-todi finora impiegati. Questo aspetto an-drebbe trasmesso già durante la forma-zione, ma forse qui deve passare ancora un po’ di acqua sotto i ponti.

In che direzione potrebbe evolvere il ri-conoscimento «Sguardi» nei prossimi anni?

Probabilmente i criteri fissati nell’am-bito del riconoscimento avranno biso-gno della morbidezza necessaria per po-tersi adattare allo sviluppo della società. I problemi attuali richiedono anche nuo-ve dinamiche di collaborazione, diverse da progetto a progetto. Un’opera d’ec-

cellenza insignita del premio «Sguar-di» nasce quasi sempre da procedure e approcci straordinari. Poi sarà il tempo a dire se le procedure scelte siano anche vincenti.

Martina Voser ha studiato architettura al PF di Zurigo, in seguito si è specializzata in architettura del paesaggio e urbanistica. È titolare dello studio mavo Landschaften, dove lavora a fianco di un team interdisciplinare. Dal 2009, Martina Voser insegna architettura del paesaggio all’Accademia di architettura di Mendrisio (USI) ed è membro di varie commissioni e giurie. La signora Voser vive e lavora a Zurigo e Mendrisio. Foto Beat Schweizer

┌SvizzeraEnergia lancia nuove messe

a concorsoSvizzeraEnergia lancia nuove messe a concorso di progetti nel settore «energia negli edifici». In aggiunta agli strumenti esistenti (legislazione, incentivi, ricerca e sviluppo, informazione e consulenza ecc.), SvizzeraEnergia vuole contribuire all’ottimizza-zione e all’applicazione delle tecnologie avveniristiche, offrendo un sostegno diretto ai progetti innovativi. Nell’opuscolo per i promotori dei progetti sono riportate tutte le informazioni necessarie.I membri SIA attivi in ambiti affini al settore dell’energia possono partecipare ai bandi lanciati da SvizzeraEnergia e assicurarsi così, con un po’ di fortuna, un sostegno finanziario per attuare il proprio progetto.

Info-I: Per maggior informazioni consultare: www.svizzeraenergia.ch/page/it-ch/Nuove-messe-a-concorso-nel-settore-energia-negli-edifici

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COM

UNIC

ATI

Deontologia riferita ai rap-porti con gli Enti pubblici

Giancarlo RéIngegnere

Il Consiglio dell’OTIA mi invita a com-mentare il problema della deontologia da parte degli ingegneri, riferita ai rap-porti con gli Enti pubblici. Come premes-sa ricorderò che il problema si pone, in ugual misura sia per ingegneri sia per architetti e che il Codice deontologico dell’OTIA ne parla diffusamente all’art. 7. Vale dunque la pena ricordare questo ar-ticolo che si riferisce ai rapporti con gli Enti pubblici. Il punto 7.2 afferma che «eventuali legami di parentela o amicizia di ingegneri o architetti con membri di pubbliche amministrazioni non posso-no essere utilizzati per trarne profitto, di-rettamente o indirettamente, nell’eserci-zio dell’attività professionale». Il punto 7.3 afferma inoltre: «Ingegneri o architet-ti che rivestano cariche pubbliche non possono trarre vantaggi, direttamente o indirettamente, per se stessi o per altri». Il punto 7.4 afferma infine: «Ingegneri ed architetti che svolgono compiti di consu-lenza per un Ente pubblico, in forma oc-casionale o continuativa, non possono assumere incarichi professionali che sia-no o siano stati oggetto della loro consu-lenza. Il divieto si estende ai colleghi che con il consulente abbiano in atto rappor-ti di collaborazione». Il capitolo 7 del Co-dice deontologico dà dunque già chiare indicazioni ai nostri professionisti su co-me si deve agire nei confronti degli Enti pubblici. Ciò malgrado occorre ammet-tere che, in un piccolo Cantone come il nostro, non è sempre facile osservare scrupolosamente le disposizioni citate al capitolo 7. I legami di parentela e di amicizia, politica e no, sono infatti diffusi e perciò si richiede, al professionista della costruzione, una grande attenzione. L’En-te pubblico – Confederazione, Cantone, Comuni, Consorzi ecc. – è inoltre è inoltre in grado di affidare mandati di progetta-zione allo scopo di realizzare le infra-strutture necessarie alla popolazione. Ovviamente questi mandati pubblici so-no interessanti per i progettisti perché, attraverso gli stessi, possono ottenere una visibilità superiore a quella che, di solito, si ottiene con i mandati privati. Si aggiunga che, nel nostro sistema di mili-zia, ingegneri, architetti, impresari e altri professionisti della costruzione sono spesso eletti come sindaci, municipali,

Codice deontologico, non dimenti-chiamolo in un cassetto

Nicola NembriniGià presidente OTIA

Si chiude con questa edizione l’inizia-tiva di presentazione del codice deonto-logico degli ingegneri e degli architetti, voluta dal consiglio dell’Ordine.

Iniziata nel 2015 con il primo testo in-troduttivo e arricchita da 9 contributi di professionisti, che nei vari articoli di Archi hanno saputo evidenziare e arricchire gli aspetti più importanti di questo codi-ce etico e morale, questa iniziativa giun-ge ora al termine con la speranza che quanto prodotto possa aver fatto riflette-re ingegneri e architetti su quanta im-portanza, oltre all’aspetto puramente tecnico e commerciale, rivestano le pro-fessioni che rappresentiamo.

Nei vari articoli sono stati approfondi-ti il tema del rispetto delle leggi, le nor-me sulla concorrenza, il modo di agire secondo coscienza, il senso del dovere, il diritto d’autore, l’agire come prestano-me, le relazioni con il committente, le modalità di comportamento per gli ap-palti, le relazioni con l’ente pubblico e al-tri argomenti predominanti delle nostre professioni. In tutti i contributi si è potu-to però evincere come la deontologia sia al di sopra di ogni regola, e formi una ca-ratteristica che deve accomunare tutti i professionisti, un insieme di regole che è difficile da scrivere e può essere anche interpretato erroneamente: ognuno in-fatti, nel proprio agire e in maniera sog-gettiva, è solitamente sempre convinto di essere nel giusto al 100%, e anche ignorando una particolare legge è con-vinto che il proprio modo di agire sia cor-retto e che non intacchi la morale o il buon comportamento.

Come per le leggi, dove l’ignoranza non è ammessa quando esse vengono infrante, lo stesso deve valere per il codi-ce deontologico. L’invito quindi è quello di non tenere il libricino che raccoglie il codice etico che OTIA ha distribuito a tutti i propri associati, in un cassetto: te-niamolo di fianco al nostro PC, o di fian-co al telefono, e ricordiamoci ogni tanto di aprire una pagina a caso, leggiamone un paragrafo e chiediamoci se stiamo la-vorando in osservanza di questo nostro codice. Se lo stiamo facendo, oltre a otti-mi professionisti, saremo anche delle ot-time persone.

granconsiglieri, consiglieri comunali. Si trovano perciò nella condizione di poter attribuire lavori di progettazione e di co-struzione: questa facoltà impone dun-que una grande attenzione per rispetta-re le norme deontologiche dell’OTIA. Architetti e ingegneri agiscono poi an-che come consulenti o come pianificato-ri e, in tale veste, possono influenzare le scelte di un Esecutivo. Il sistema di mili-zia, indispensabile in un microcosmo come il nostro Cantone, dà inoltre visi-bilità a coloro che occupano una carica pubblica. Se quest’ultimi sono ingegne-ri, architetti o altri professionisti della co-struzione, possono trovarsi nella condi-zione di dover decidere su progetti di cui, nella loro attività privata, sono re-sponsabili. Ho elencato alcuni casi che possono verificarsi nell’esercizio della professione allo scopo di mettere in risal-to che il rispetto del Codice deontologico dell’OTIA richiede grande attenzione da parte di ingegneri e architetti. Quali so-no i rimedi alle situazioni descritte? In-nanzitutto la tensione morale da parte del professionista che deve essere co-sciente della necessità di rispettare il Codice deontologico dell’OTIA. Inoltre l’Ente pubblico deve ricorrere sempre, quando attribuisce mandati, al concor-so pubblico (salvo casi eccezionali). Il concorso ha il vantaggio di mettere tutti i concorrenti nella stessa condizione di partenza e di favorire l’affermarsi di gio-vani professionisti che, altrimenti, avreb-bero poche possibilità di mettersi in evidenza. La SIA e l’OTIA auspicano da sempre che gli Enti pubblici attribui-scano i mandati attraverso concorsi pub-blici. Cito infine, tra i possibili rimedi, la necessità della massima trasparenza: l’in-gegnere, l’architetto o l’impresario, che si trova ad esercitare una carica pubblica, deve sempre astenersi, segnalando il suo coinvolgimento, quando si tratta di attribuire un mandato per un progetto in cui risulta coinvolto. Considerazioni analoghe valgono anche quando l’ar-chitetto o l’ingegnere si trova a dover de-cidere, quale rappresentante di un Ente pubblico, su di un progetto privato di cui è responsabile. In questi casi si richiede addirittura di non partecipare alla di-scussione, e non solo al voto, e di lasciare la sala. Non è sempre facile rispettare il Codice deontologico dell’OTIA ma è in-dispensabile farlo per salvaguardare la credibilità delle nostre istituzioni.

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┌ Servizio ai lettoriAvete la possibilità di ordinare i libri recensiti all’indirizzo [email protected] (Buchstämpfli, Berna), indicando il titolo dell’opera, il vostro nome e cognome,l’indirizzo di fatturazione e quello di consegna. Riceverete quanto richiesto entro 3/5 giorni lavorativi con la fattura e la cedola di versa-mento. Buchstämpfli fattura un importo forfettario di Fr. 8.50 per invio + imballaggio.

LIBR

ILibri Mercedes Daguerre

Antonio De RossiLa costruzione delle AlpiIl Novecento e il modernismo alpino(1917-2017)Donzelli, Roma 2016

Come dimostra con lucidità questo vo-lume, la percezione stessa del paesaggio alpino è una costruzione culturale che ha implicato l’interazione tra la trasformazio-ne fisica del territorio – tramite la proget-tualità e il lavoro umano – e la costituzione di uno specifico immaginario collettivo. Le Alpi vanno dunque concepite non solo come una realtà geografica ma anche co-me un «universo mentale», ambito privile-giato per la narrazione di paesaggi straor-dinari e luogo deputato per l’elaborazione di nuove concezioni del rapporto tra uo-mo e natura. Notevole contributo a una storia sans frontières che si colloca a ca-vallo di varie discipline, la ricerca di Anto-nio De Rossi su La costruzione delle Alpi, iniziata con la precedente pubblicazione Immagini e scenari del pittoresco alpino (1773-1914), si completa ora con un nuovo

Antonio De Rossi La costruzione delle Alpi. Immagini e scenari del pittoresco alpino (1773-1914)Donzelli, Roma 2014

Diego Giovanoli Costruirono la Bregaglia Denkmalpflege, Bündner Monatsblatt, Chur 2014

Nott CaviezelArmando Ruinelli + PartnerDe aedibus, Quart Verlag, Lucerna 2016

AA.VV.,Reklamekunst und ReiseträumeAnton Reckziegel und die Frühzeit des TourismusplakatesAlpinen Museum der Schweiz, Scheidegger & Spiess, Zürich 2016

capitolo dedicato al modernismo alpino (1917-2017). Entrambi i libri disegnano una complessa raffigurazione che – esau-stivamente documentata con un ricco ap-parato iconografico – indaga l’arco alpino nel suo emergere come soggetto storico autonomo – sia dal punto di vista mate-riale sia da quello simbolico – individuan-do le sue trasformazioni e le sue rappresen-tazioni in una fase temporale che dal Settecento ai primi anni del XX secolo (momento in cui le società urbane euro-pee scoprono le Alpi e si afferma il concet-to di «pittoresco alpino») arriva alle proble-matiche della contemporaneità. Due particolari fenomeni scandiscono il di-venire dello spazio montano durante il Novecento: la diffusione del turismo con i processi di urbanizzazione e il rinnovo in-frastrutturale a esso legati (l’invenzione delle stazioni invernali caratterizzate dall’architettura moderna alpina, stretta-mente connesse al consumo sciistico e automobilistico del territorio così come all’imporsi di nuovi dispositivi salutistici che condizionano l’organizzazione del tempo libero) e lo spopolamento (con il conseguente abbandono delle aree valli-ve e la scomparsa di modi di abitare tradi-zionali), assieme ai tentativi di individua-re nuove possibilità di progettualità e di sviluppo. Si focalizza in questo modo il manifestarsi di un’inedita «civilizzazione di alta quota» – pratiche e immagini di quello che l’autore definisce come moder-nismo alpino, saldamente correlato alle dinamiche di urbanizzazione della pianu-ra e che sembra porsi in questo scenario estremo come una specifica declinazio-ne della modernità. Sarà invece alla fine degli anni Settanta che il processo regi-strerà una fase critica discendente, porta-trice di radicali correzioni con l’emergere di una nuova coscienza ecologica asso-ciata a una rinnovata idea della monta-gna che solleva la questione della patri-monializzazione. Attraverso un articolato percorso storico-geografico, emergono

quindi tre paradigmi teoricamente con-trapposti (a quello del «pittoresco alpino» del primo volume, si sovrappongono il «modernismo alpino» novecentesco e l’o-dierna stagione «patrimonialista»). Tutta-via – come rileva l’autore – non solo essi si compenetrano, ma la loro contrapposizio-ne non impedisce una continuità celata: quella per cui dall’Ottocento ad oggi ogni paradigma è stato «portatore di un dover essere della montagna che si traduceva in modelli, quasi sempre di matrice urba-na, cui il territorio alpino doveva aderire e soggiacere». Pregio di questa ricerca è quello di muoversi sempre su piani inter-pretativi diversi, rivelandone le contrad-dizioni e mettendo in discussione stereo-tipi e semplificazioni. Si riescono così a intravvedere sguardi comuni che supera-no le singole e fittizie visioni nazionali, disegnando un profilo europeo di lunga durata che trova riscontro nell’attuale progetto di una macroregione alpina.

Infine, la bellissima fotografia di co-pertina di Charlotte Perriand di spalle, «vera eroina e icona della modernità tra le Alpi, nell’atto di dominare le montagne innevate della Savoia», risulta eloquente espressione del paradigma modernista trionfante, in cui il progettista «diviene demiurgo, inventore e edificatore di pae-saggi, Weltbaumeister – costruttore del mondo». Essa si pone come dramma-tico contraltare dell’ultima illustrazio-ne del volume, in cui due scure figure ritraggono con i loro cellulari il desolan-te vuoto lasciato dalla scomparsa di un ghiacciaio alpino.

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1 2017 Archi rivista svizzera di architettura, ingegneria e urbanistica Fondata nel 1998, esce sei volte all’anno. ISSN 1422-5417 tiratura REMP diffusa: 2918 copie, di cui 2759 vendute via Cantonale 15, 6900 Lugano tel. +41 91 921 44 55 [email protected] www.espazium.ch Direttore Alberto Caruso AC

Coordinamento editoriale Stefano Milan SM

Assistenti al coordinamento Mercedes Daguerre MD Teresa Volponi TV

Redazione Debora Bonanomi DB Andrea Casiraghi ANC Laura Ceriolo LC Piero Conconi PC Gabriele Neri GN Manuel Lüscher ML Andrea Pedrazzini AP Andrea Roscetti AR Enrico Sassi ES Stefano Tibiletti ST Graziella Zannone Milan GZM

Redazione online Valeria Crescenzi VC

Redazione comunicati SIA Frank Peter Jäger, frank.jä[email protected] Impaginazione Silvana Alliata Corrispondenti Andrea Bassi, Ginevra Francesco Collotti, Milano Jacques Gubler, Basilea Ruggero Tropeano, Zurigo Daniel Walser, Coira Traduzioni italiano-tedesco Alexandra Geese Correzione bozze Fabio Cani Consiglio editoriale Tonatiuh Ambrosetti, fotografo, Losanna Nicola Baserga, arch. ETHZ, Muralto Jacqueline Burkhardt, storica dell’architettura, Zurigo Marco Della Torre, arch. POLIMI, Milano-Como Franco Gervasoni, ing. ETH, Bellinzona Nicola Nembrini, ing. STS, Locarno Nathalie Rossetti, arch. ETHZ, Zollikon Armando Ruinelli, arch., Soglio Nicola Soldini, storico dell’architettura, Novazzano Editore espazium – Edizioni per la cultura della costruzione Staffelstrasse 12, 8045 Zurigo tel. 044 380 21 55, fax 044 380 21 57 Martin Heller, presidente Katharina Schober, direttrice Hedi Knöpfel, assistente

Abbonamenti e arretrati Stämpfli Publikationen AG, Berna tel. 031 300 62 57, fax 031 300 63 90 [email protected] Abbonamento annuale (6 numeri) Svizzera Fr. 135.– / Estero Fr. 140.–, Euro 119.50, Studenti Svizzera Fr. 67.50 Numeri singoli 24.– Abbonamenti soci SIA: SIA, Zurigo tel. 044 283 15 15, fax 044 283 15 16 [email protected]

Organo ufficiale SIA Società svizzera ingegneri e architetti, www.sia.ch OTIA Ordine ticinese ingegneri e architetti, www.otia.ch Associazioni garanti SIA Società svizzera ingegneri e architetti www.sia.ch FAS Federazione architetti svizzeri www.architekten-bsa.ch USIC Unione svizzera ingegneri consulenti www.usic-engineers.ch Fondation Acube, www.epflalumni.ch/fr/

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ORSI Concorsi

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Nodo di interscambio dei trasporti pubblici e valorizzazione urbanistica del comparto Muralto-Stazione FFSMuraltoSettembre 2016

Il collegio esperti ha suggerito di sviluppare il concetto urbanistico e trasportistico proposto dal progetto del Team Mario Botta ArchitettoMario Botta Architetto, Mendrisio

I team che hanno partecipato al concorso: Team GP Gellera TropeanoARGE Gellera & Tropeano, Muralto

Team EMA/CPZEMA architectes associés, Ginevra – Conte Pianetti Zanetta architetti, Carabbia

Team Michele Arnaboldi architettiMichele Arnaboldi architetti, Locarno

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