Leopardi e Schopenhauer a confronto

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Leopardi & Schopenhauer Geni a confronto Progetto di Maria Rachele Cesarano a.s. 2015/2016

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Chi é Giacomo Leopardi ?• Il conte Giacomo Leopardi è stato un poeta, filosofo, scrittore, filologo e glottologo italiano.

È ritenuto il maggior poeta dell'Ottocento italiano e una delle più importanti figure della letteratura mondiale, nonché una delle principali del romanticismo letterario;la profondità della sua riflessione sull'esistenza e sulla condizione umana – di ispirazione sensista e materialista – ne fa anche un filosofo di notevole spessore.

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Chi è Arthur Schopenhauer ?

• Arthur Schopenhauer è stato un filosofo e aforista tedesco, uno dei maggiori pensatori del XIX secolo, nonché di tutta la

filosofia occidentale moderna.

Il suo pensiero, articolato in precisi ragionamenti e caustici aforismi, recupera alcuni elementi dell'illuminismo, della

filosofia di Platone, del romanticismo e del kantismo, fondendoli con la suggestione esercitata dalle dottrine

orientali, specialmente quella buddhista e induista.

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Leopardi e Schopenhauer

• Giacomo Leopardi e Arthur Schopenhauer attraverso il loro pensiero mostrano quale sia la vera natura del mondo e il

conseguente disagio dell'umanità; entrambi, infatti, esprimono il vero significato della vita.

• La loro esistenza è racchiusa in un pessimismo, che li pone fuori dal loro secolo, da cui scaturiranno in seguito i temi del dolore, del piacere, della noia, del suicidio. Il loro intento è quello di mostrare

la realtà per quella che è, smascherando la più grande delle illusioni: la felicità.

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Schopenhauer e Leopardi • I due autori sono uniti da un pessimismo cosmico, per il

quale ogni creatura è destinata a soffrire e ancor più l’uomo, perché capace di consapevolezza.

Infatti per Schopenhauer volere significa desiderare, e il desiderare porta ad uno stato di tensione, per la mancanza di ciò che vorremmo avere. Il desiderio risulta quindi per definizione, assenza, vuoto, dolore.

Tale posizione può essere confrontata con La teoria del piace Leopardiana.

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Schopenhauer: Il Desiderio

Per Schopenhauer l'uomo è «la piú alta oggettivazione della volontà», è il piú infelice degli esseri, perché consapevole della sua condizione di perenne bisogno e (poiché il bisogno genera

dolore) del proprio dolore.

“ L'uomo è il piú bisognoso di tutti gli esseri; egli è in tutto e per tutto un volere, un abbisognare reso concreto, il concretamento di mille

bisogni. Con questi egli sta sulla terra, abbandonato a se stesso, incerto di tutto fuorché delle proprie miserie e delle proprie

necessità. Volere e aspirare è tutta la (sua) essenza, simile davvero a una sete inestinguibile. Ma la base di ogni volere è bisogno, mancanza, ossia dolore a cui l'uomo è legato per natura sin

dall'origine.”

(Il mondo come volontà e rappresentazione)

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Leopardi: La Teoria del Piacere

• Partendo dalla riflessione sull'infelicità,Leopardi elabora la "Teoria del Piacere" che diventa il cardine del suo pensiero: secondo questa teoria, "l'amor proprio" porta l'individuo ad una richiesta di piacere infinito per intensità e per estensione; poiché questa richiesta non potrà mai essere soddisfatta interamente, l'individuo, anche nel momento di maggior piacere, continuerà a sentire l'assillo del desiderio non colmato.

Questo assillo è di per sè patimento, sicché l'individuo, anche quando non soffre di mali materiali, è in stato di sofferenza per la sua stessa richiesta inappagata.

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• Sia per Schopenhauer, sia per Leopardi l’uomo insegue il piacere infinito ma non lo raggiunge mai:

"Di tal natura sono gli sforzi e i desideri umani che ci fanno brillare innanzi la loro realizzazione come fosse il fine ultimo della

volontà, ma non appena vengono soddisfatti cambiano fisionomia[..] Vengono sempre messi da parte come illusioni

svanite" (Il mondo come volontà e rappresentazione, 1818)

“La felicità è possibile a chi la desidera perchè il desiderio è senza limiti necessariamente, perché la felicità assoluta è indefinita e non ha

limiti [..] e la felicità ed il piacere è sempre futuro, [..] esiste solo nel desiderio del vivente e nella speranza o aspettativa che ne segue"

(Zibaldone, 1821)

Leopardi e Schopenhauer

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Le Differenze Schopenhauer e Leopardi

• Mentre per Leopardi ciò che circonda l’uomo è reale, tanto da sostenere che l’unica scappatoia è crearsi illusioni, per Schopenhauer nulla è reale, tutto è frutto della nostra immaginazione.

• Per Schopenhauer la scienza, intesa come conoscenza razionale, non è altro che un modo per guardare le cose rimanendo nella parte superficiale della realtà; Per Leopardi la scienza, intesa come conoscenza razionale, è l’unico strumento per prendere

coscienza della propria situazione, cercando di rendere la propria vita più dignitosa possibile;

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Le Differenze Schopenhauer e Leopardi• Il suicidio è visto per Leopardi come atto di viltà che

costringe i superstiti ad un dolore maggiore rispetto a quello già tipico nella propria esistenza; Schopenhauer definisce

l’atto del suicidio non risolutore e non vile; l’uomo insoddisfatto delle condizioni che gli sono state destinate

può liberarsi dal male solo attraverso l'arte, la giustizia, la pietà e l'ascesi.

Leopardi Dialogo di Plotino e di Porfirio

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Dialogo composto nel 1827 e pubblicato solo nell’edizione delle Operette del 1845 curata da Ranieri.

Leopardi affronta il tema del suicidio, immaginando che Plotino e Porfirio, due filosofi neoplatonici vissuti tra il II e III secolo d. C. dibattano sulla legittimità di porre fine volontariamente ai propri giorni.

Porfirio, stanco e annoiato della vita, rivela a Plotino l’intenzione di uccidersi. Plotino adduce all’amico una serie di ragioni per convincerlo a recedere dal suo funesto proposito, ragioni che

si rivelano tutte fallaci nell’argomentazione di Porfirio. Solo l’ultima tiene: il saggio non può disinteressarsi del

dolore che con il procacciarsi volontariamente la morte arrecherebbe alle persone che lo amano. Il vincolo d’amore tra

gli uomini è l’unica difesa da opporre all’infelicità della vita.

Dialogo di Plotino e di Porfirio

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• L’influenza delle sentenze pessimistiche del pensiero orientale (“esistere è soffrire”), di Platone (“è meglio non essere nati piuttosto che vivere”) e della tradizione biblico-cristiana (“la vita è valle di lacrime”) inducono Schopenhauer alla teorizzazione della forma più radicale di pessimismo mai formulata nella storia del pensiero occidentale. Egli stesso però, rifiutato il suicidio come fuga da questo universo doloroso, individua un percorso salvifico che conduca l’uomo alla liberazione dal dolore.

Le vie di liberazione dal dolore

L’Arte

L’Etica della pietà

L’Ascesi

Il Pessimismo di Schopenhauer

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Il pensiero di Giacomo Leopardi è legato al Pessimismo. Gli studiosi hanno distinto tre fasi del pessimismo leopardiano:

Pessimismo individuale: relativo al periodo della sua adolescenza durante il quale Leopardi pensa che la vita sia malvagia con lui;

Pessimismo storico: nasce dalla malinconia per le epoche passate, che secondo Leopardi sono state migliori di quelle presenti. Durante questa fase la natura è vista da Leopardi come un bene perché è in grado di fornire all'uomo una lieve illusione di felicità;

Pessimismo cosmico: durante questa fase Leopardi cambia la sua visione della natura; improvvisamente la vede come la causa di tutti i mali dell'essere umano. Nel periodo del pessimismo cosmico Leopardi sostiene che l'uomo è destinato a soffrire per tutta la vita.

Il Pessimismo di Leopardi

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«Chi può mettere per esempio un tedesco accanto a Leopardi?»

Friedrich Wilhelm Nietzsche

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Francesco De Sanctis: Leopardi & Schopenhauer

• Le affinità tra Leopardi e Schopenhauer sono state analizzate anche in un saggio, ad opera del critico De Sanctis, il quale, dopo essersi avvicinato apertamente e con passione al Leopardi, spiega come le proposte di Schopenhauer si rivelino aride e meno costruttive rispetto a quelle di Leopardi.

• De Sanctis scrisse un saggio che si intitola proprio:

Schopenhauer e Leopardi (1858)

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Trama dell’opera• L'opera è un dialogo tra due amici che discutono sulla

filosofia di Schopenhauer. Uno di essi (il signor D.) è il De Sanctis stesso e sta scrivendo un

articolo su Schopenhauer per la Rivista Contemporanea. L'altro (il signor A.) è una persona che odia la filosofia, specialmente quella idealistica; è convinto che la teologia e la filosofia siano destinate a sparire innanzi al progresso delle scienze naturali, come sono sparite l'astrologia e la magia, e che, in luogo di almanaccare e stillarsi il cervello, in luogo di spiegare un mistero con altri misteri più tenebrosi, teologici o filosofici, è meglio dire non la so.

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• Nel corso del dialoghetto, viene esposta la filosofia di Schopenhauer: si parla del mondo come volontà e rappresentazione, del Wille (volontà di vivere) e dei patimenti che causa all'uomo. E anche dei tre modi per superare il dolore: l'arte, l'etica e l'ascesi. Inoltre Schopenhauer viene paragonato a Leopardi. Scrive il De Sanctis:

« Leopardi e Schopenhauer sono una cosa. Quasi nello stesso tempo l'uno creava la metafisica e l'altro la poesia del dolore. Leopardi vedeva il mondo così, e non sapeva il perché. [...] Il

perché l'ha trovato Schopenhauer con la scoperta del Wille. »

Schopenhauer e Leopardi

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• Nella parte finale dell'opera la filosofia di Schopenhauer viene liquidata mentre il significato progressivo del nichilismo leopardiano viene rivalutato.

Ernst Otto Lindner (traduttore dei Canti di Leopardi per la Vossische Zeitung) fece leggere a Schopenhauer l'articolo del De Sanctis. E a Schopenhauer il dialogo piacque molto nonostante le invettive alla fine contro di lui che lasciò correre:

« Ho letto quel dialogo due volte attentamente, e debbo stupire nel riconoscere in qual grado questo italiano si sia

impossessato della mia filosofia. »

A Schopenhauer piacque vedersi accostato a Leopardi, che considerava un «fratello spirituale italiano».

Schopenhauer e Leopardi

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• "Che cosa è la vita? Il viaggio di uno zoppo e infermo che con un gravissimo carico in sul dosso per montagne ertissime e luoghi sommamente aspri, faticosi e difficili, alla neve, al gelo, alla pioggia, al vento, all'ardore del sole, cammina senza mai riposarsi dì e notte uno spazio di molte giornate per arrivare a un cotal precipizio o un fosso, e quivi inevitabilmente cadere".

Giacomo Leopardi

• "L'esistenza umana ha certo come suo ultimo scopo il dolore: ove così non fosse, dovremmo dire che le manca la ragione d'essere al mondo. Ed invero, come ammettere che l'infinito dolore scaturente dalla miseria, di cui è intessuta la trama d'ogni vita quaggiù, non sia se non una mera accidentalità, e non piuttosto ne costituisca la finalità? Ogni singolo malanno, preso in sé, si presenta innegabilmente come fatto d'eccezione, ma in linea generale è regola la sventura".

Arthur Schopenhauer

L’Esistenza Umana