IV Serie 1962 Fascicolo IV (ottobre-dicembre) · recentemente ricomposta con un kouros frammentario...
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LIBRI RICEVUTI
ANTIKE PLASTIK, Herausgegeben im Auftrage des Deutschen Archae%gischen Institutes von W. H. SCHUCHHARDT, Lieferung I, Berlin, Verlag Gebr. Mann, 1962.
I! primo volume della nuova collezione "Antike PIastik" diretta da W . H. Schuchhardt contiene cinque studi su differenti opere - alcune praticamente inedite, altre riprese per un'analisi più approfondita - dovuti a Helga von Heintze, Ervin Bielefeld, John Boardman, Felix Eckstein e allo stesso Schuchhardt.
La von Heintze presenta tre statue-ritratto della villa Doria Pamphili di Roma che attribuisce, se non alla stessa mano, certamente alla stessa fabbrica, e che data all'età di Gallieno, più precisamente tra il 255 e il 265 d. C. Rappresentano un togato, un cacciatore col cane e un personaggio con spada. L'interesse della prima statua, sopratutto per il fatto di essere una delle poche conservate con la sua testa, e quindi ben databile, è giustamente sottolineato dall'A. in un interessante excursus sullo sviluppo delle rappresentazioni di toga ti. Le altre due rientrano invece nella serie delle copie di originali greci con testaritratto, che mostrano un interesse plastico ormai svuotato per i corpi, ridotti a puri sostegni del ritratto stesso. Anche le due statue Pamphili, pur dimostrando una solida costruzione ed un'esecuzione piuttosto accurata, non vengono meno tuttavia a una certa convenzionalità accademica, che farebbe esitare a seguire l'A. nel considerare, per es., la n. 2 una copia eccezionalmente fedele del Doriforo di Policleto, migliore e più vicina all'originale del Doriforo di Napoli. Lo stesso adattamento dello schema a rappresentare un cacciatore mostra del resto che l'assoluta fedeltà al modello non era neppure nelle intenzioni dell'artista. La n. 3 risalirebbe a un 'altra statua policletea, o a una variante o commistione di due tipi, e certo doveva essere già nel repertorio dei copisti perchè si ritrova nella statua vaticana di M acrino, che darebbe anche l'esatta posizione della mano della statua Pamphili . La statua di Ottone del Louvre ha invece secondo me proporzioni più lisippee che policletee. La somiglianza fisionomica e la differenza d'età fra il ritratto del togato e gli altri due, suggeriscono alla v. H. un ' interessante identificazione con Fulvio Macri ano e i suoi due figli, eletti imperatori in Oriente nel 260, confermata dai confronti con i profili dei due giovani sulle monete.
I! secondo e il terzo articolo sono collega ti sia dalla somiglianza dei soggetti esaminati - due bronzetti romani - sia dal fatto che lo Schuchhardt, autore del secondo (forse favorito dalla sua posizione di editore del volume) prende a confronto anche l'altro bronzetto giungendo a conclusioni non sempre concordanti con quelle date in seguito dal Bielefeld. La prima statuetta, il Mercurio da Thalwil del Schweizerisches Landesmuseum di Zurigo (alto 22 cm., con tracce di antica doratura) mostra il dio stante, con il petaso alato, i calzari e un mantello drappeggiato sulla spalla sinistra. I! Furtwaengler aveva già avvicinato il bronzetto alle repliche del tipo del Diomede, attribuendolo a Kresilas i per lo S. si tratterebbe di una delle due repliche più fedeli, nonostante il cambia-
mento di soggetto e il rimpicciolimento, l 'altra essendo una statua di marmo attualmente dispersa, di cui resta solo il calco della parte superiore a Dresda. Questo tipo viene riavvicinato dall'A. all'atleta Cirene-Perinto e al gruppo della testa Riccardij tuttavia di fronte al torso possente della statua di Cirene il bronzetto, secondo me, si presenta alquanto indefinito, e sembrerebbe derivare da un archetipo più tardo. L 'assai suggestivo confronto della veduta laterale con quella del Doriforo lo riporterebbe meglio nella corrente policletea, nella quale possono aver giocato adattamenti e liberi riecheggiamenti da altre statue, sopratutto per quanto riguarda le teste . Interessante l'accostamento, per la posizione della figura e delle braccia, con il bronzetto di Hartford presentato in questo stesso volume dal Bielefeld. I! bronzetto, che rappresenta un guerriero nudo, col volto barbato e l'elmo corinzio, è stato convincentemente interpretato dal B. come la replica di un ritratto di stratega della fine del V sec., non meglio identificabile data la non decisiva somiglianza con alcuno dei ritratti noti. Lo S. vuole riportare invece anche questo bronzetto a Kresilas, facendolo risalire alla famosa statua di Periclej non potendo però datare l'originale del bronzetto prima del 420, pensa che si possa trattare della statua di un vicino seguace che abbia ripreso il tipo della statua di Kresilas al tempo della pace di Nicia, o addirittura che la stessa statua di Kresilas si debba ritenere innalzata dopo la morte di Pericle.
A J. Boardman si deve la prima esauriente pubblicazione di due torsi femminili di Chios, caratterizzati dal particolare rendimento stilizzato delle pieghe del chitone con sole linee incise. Entrambi acefali, i due torsi, che conservano sulle spalle la parte inferiore della capigliatura trattata a grosse trecce a perla, appartengono a due korai di proporzioni un quarto maggiori del vero, opera certamente della stessa bottega e probabilmente della stessa mano di artista chiota. Qualche dettaglio secondario e la posizione delle braccia differenziano le due korai, più insolita quella della prima (n. 225) dove le mani scompaiono al disotto delle trecce che ricadono sul petto. I! gesto, che appare voluto e probabilmente, proprio per il confronto fatto dall' A. con delle statuette dell'Heraion, deve avere un significato rituale, mi sembra però più vicino al tradizionale atteggiamento della Astarte con le mani sui seni (anche se in questo caso esse poggiano un po' più in alto), che non all'assai diverso gesto della adorante con le braccia alzate (dove per di più le palme sono in fuori). I confronti con opere samie o di influenza sa mia, e l'inquadramento nella serie delle korai ioniche del VI sec. fanno giustamente propendere il B. per l'abbassamento della datazione al 580-570, nonostante un certo arcaismo nella rigidezza della pesante acconciatura, sopratutto per l'avanzato modellato naturalistico del corpo e in particolare delle braccia, ben visibile nella foto di tre quarti.
Sempre in ambiente ionico ci riporta l'ampia trattazione che F. Eckstein dedica alla bella testa di kouros di Istanbul, recentemente ricomposta con un kouros frammentario di Samos (Bu/1. Corro He/I. , LXXXVI, 1962, tav. XXXI) .
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Oltre che la fin troppo abbondante e de ttagliata descrizione, ci danno una migliore idea del valore di questo pezzo, grande quasi due volte il vero, le numerose belle fotografie dovute a E. M. Czakò che la mostrano per la prima vol ta in tutte le vedute. L 'A. ha giustamente osservato che l'inclinazione esatta della testa non è quella, troppo rigida e dura, dell'attuale esposizione, ma deve essere più inclinata in avanti. Dimostrata infondata la notizia della provenienza da Rodi, lo E. attribuisce la testa a Samos, in seguito al confronto con tutto un gruppo di teste simili per tipo somatico fondamentale e per rendimento stilistico, alcune delle quali sono caratterizzate da una tipica pettinatura che già la Richter (Kouroi 2 , pago 92) aveva osservato ed attribuito ad una moda locale ionica. Aggiungerei che questa pettinatura con due bande di capelli partenti dalle tempie e terminanti subito dietro l'orecchio, sovrapposte alla normale acconciatura a trecce ondulate o periate, è quella tra l'altro dell'unica testa conservata di .. Branchida "' dell'altra testa frammentaria di Didyma, e di quella, pure da Didyma, a Londra. Ad essa potrebbe corrispondere una pettinatura femminile dove si nota lo stesso gusto per ciocche o trecce riportate al di sopra della massa della capigliatura, di cui esistono due esempi : una testa di Mileto a Berlino (n. 1634) e una, probabilmente della stessa provenienza, al Museo Archeologico di Firenze (di prossima pubblicazione).
Tornando al gruppo di teste esaminato dallo E., potrebbe anche essere femminile, e non appartenente ad un kouros, quella proveniente forse da Alicarnasso (figg. 17-19) che ha una acconciatura simile, più semplificata, e che è datata nell' ultimo quarto del VI secolo. Non mi è chiara inoltre la difficoltà che impedisce allo E. di considerare la testa frammentaria di Didyma, sopra citata, come appartenente probabilmente ad una delle molte statue acefale di Branchidi, nonostante la somiglianza tipologica e stilistica da lui stesso sottolineata. Se è per la mancanza dietro la testa di tracce dell'attacco alla spalliera del trono, come nella statua B. 271, si ricorderà che nella maggior parte delle altre statue la spalliera è più bassa, in alcuni casi tanto bassa che pure le spalle emergono lavorate a tutto tondo; la testa quindi doveva ergersi completamente libera.
Per l'attribuzione della testa di Istanbul a Samos concorrono decisamente i confronti con due frammenti di capigliatura e sopra tutto con una testa di kouros ora al Museo di Vathy (fig. 22) - che, pur nella semplificazione di alcuni elementi, non riterrei necessariamente più recente - purtroppo mal giudicabile stilisticamente per le sue cattive condizioni, ma che tipologicamente è senza dubbio molto vicina a quella di Istanbul. Le tipiche trecce .. a rombi II di quest'ultima hanno fornito l'anello di congiunzione per il collegamento con i frammenti di kouros colossale trovati a Samos, confermando così definitivamente l'attribuzione a questo centro.
I cinque articoli sono accompagnati da una ricca serie di tavole separate (ricca forse fino a rasentare in qualche caso lo spreco), che insieme alle figure nel testo, quasi tutte belle e nitide, offrono una abbondante e maneggevole documentazione dei pezzi in esame. C. LAVIOSA
E. NAsH, Bildlexicon z ur topographie des antiken Rom (Deutsches Archaeologisches Institut), Tiibingen, Verlag Ernst Wasmuth, 1962.
I due bei volumi pubblicati dal Nash, Direttore della Fototeca di Architettura e Topografia dell'Italia Antica sono un dizionario fotografico dei monumenti e dei ruderi della Roma antica che comprende sia quelli visibili, e magari integrati nella città moderna, sia, attraverso fotografie di piante e di disegni, quelli che ora si trovano sotto case o strade o che, venuti in luce nel passato, sono poi andati distrutti. La maggior parte delle fotografie è stata fatta espressamente per questi volumi dalla Fototeca; le altre, soprattutto quelle che si riferiscono a vecchi scavi e monumenti scomparsi, appartengono agli archivi delle varie Soprintendenze o della X Ripartizione del Comune di Roma, o agli archivi fotografici dell'Istituto Germanico e della Scuola Britannica; alcune infine sono di altri Istituti o di ditte specializzate. Per ognuna, l'indicazione della fonte con numero di negativa testimonia l'encomiabilissimo sforzo dell' Autore di rendere il suo volume l'ideale per una rapida e completa informazione. A questo scopo concorre anche la bibliografia, che segue un breve inquadramento topo grafico e storico premesso ad ogni monumento e che è aggiornata dal 1929 ad oggi, mentre per il periodo precedente è citato solo l' essenziale, facendo riferimento a quella contenuta nel Platner- Ashby, "Topographical Dictionary of Ancient Rome "' del quale il N. conserva anche la divisione topografica. Le illustrazioni poi non si limitano alla sola architettura, ma in genere completano la documentazione con una o più vedute della decorazione scultorea o pittorica e con riproduzioni di statue, rilievi, iscrizioni conservate nell 'edificio o da esso provenienti, sicché i due volumi finiscono per dare un panorama assai interessante dell'arte romana in Roma. A questo proposito si potrebbe forse desiderare nella bibliografia un'immediata distinzione tra le relazioni di scavo, gli studi topo grafici o architettonici, e quelli che si riferiscono invece alle singole statue, al gruppo di rilievi ecc. Per esempio, dove si parla del tempio di Nettuno, tra via S. Salvatore in Campo e via degli Specchi, sarebbe stato utile forse tener distinta in qualche modo la bibliografia relativa specificamente ai problemi dell' Ara di Domizio Enobarbo.
Ma si tratta di osservazioni secondarie rispetto all ' utilità dell'opera, che dimostra una volta di più come una o diverse belle fotografie possano e debbano al giorno d'oggi sostituire pagine e pagine di inutile descrizione, limitando l'informazione scritta a quello che non si vede o non si capisce a prima vista. Assai utili inoltre le molte e chiare piantine riferite alla topografia attuale della città e - per afferrare l ' insieme del monumento - quelle tratte dalla Forma Urbis, nonchè le belle riproduzioni di piante e disegni antichi.
I monumenti sono ordinati in 286 voci alfabetiche, pure seguendo il Platner-Ashby. È da tenere presente, per chi consulta i volumi, che i templi sono introdotti sotto i nomi delle divinità a cui sono dedicati, mentre i teatri appaiono sotto "theatrum II seguito dal nome del fondatore, gli acquedotti sotto ti acqua " ' ecc. Nell'indice in fondo al II volume i templi sono invece tutti elencati sotto
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"Tempel" facilitando cosi la ricerca. riguarda le iscrizioni, con riferimento loro prima pubblicazione.
Un indice a sè al Corpus o alla
Concludendo, si tratta di un'opera strettamente scientifica che pur essendo basata sulla splendida illustrazione fotografica non ha niente a che fare con i libri divulgativi di sole fotografie con generiche didascalie e prefazioni, ora tanto diffusi. C. LAVIOSA
PR. POUNCEY-J. A. GERE, Italian Drawings ... in the British Museum-Raphael a. his Circle, London 1962.
Il catalogo in 2 volumi - uno di testo, uno di tavole -dei disegni di Raffaello e della sua cerchia esistenti presso il British Museum, è il terzo della serie relativa alla preziosa raccolta di disegni italiani del grande museo londinese: segue quelli del Popham-Pouncey (The Fourteenth a. Fifteenth Centuries, 1950) e dello Wilde (Michelangelo a. his Studio, 1953), e non v'ha dubbio che debba considerarsi tra i più importanti e concreti contributi della più recente letteratura critica agli :studi su Raffaello e l'ambiente a lui più vicino.
Accanto al corpus dei disegni del .maestro - in numero di 38, tra i quali famosi quelli per lo • Sposalizio' di Brera, la • Deposizione' Borghese, la • Strage degli Innocenti', la • Disputa', la • Trasfigurazione' - 23 di~egni "da" composizioni di Raffaello, che, per essere alcune di tali composizioni del tutto ignote altrimenti, presentano grande interesse per la individuazione delle fonti raffaellesche presso quanti più o meno esplicitamente vi attinsero. È il caso del disegno 56 per una' Disputa tra i dottori " o del disegno 68 - • Dormizione e Incoronazione della Vergine' - attribuito dagli autori al Penni e del quale si coglie, ad es., più di un riflesso anche nel pittore del grande affresco di Trevignano, già attribuito a Perin del Vaga e per il quale si propone, in altra parte di questa rivista, il nome di Pellegrino da Modena.
Giulio Romano, Giovan Francesco Penni, Perin del Vaga, Giovanni da Udine, Polidoro da Caravaggio - la équipe romana più strettamente legata al maestro (alla quale va affiancato il Peruzzi) - si presentano ciascuno con una serie di disegni nutrita e di alta qualità. Molti e difficili - come sa bene chiunque si sia pur brevemente accostato allo studio dei "raffaelleschi 11 specie negli anni di più stretta collaborazione - i problemi affrontati dagli a u tori: e si deve alla loro vasta e profonda conoscenza di questo ambiente artistico - oltre che alla sicura capacità di lettura critica delle tecniche disegnative - se argomenti fino ad oggi per molti lati oscuri e controversi trovano soluzione. Ciò avviene, ad esempio, per quanto riguarda Giov. Fr. Penni, personalità pressochè inafferabile prima d'ora tra quanti lavorarono nella Loggia, e che è grande merito del Pouncey aver ricostruito in termini del tutto persuasivi attraverso la sottile indagine critica di un gruppo di disegni prima d'ora attribuiti in modo vario e disorientante; o per il Peruzzi, nei cui confronti il Pouncey aveva già portato contributi fondamentali riconoscendogli, ad esempio, il ciclo di pitture nello" studio II del Palazzo della Cancelleria. Nè certo di minor interesse la serie di disegni di Perin del Vaga, o quella di Polidoro, due pittori
" raffaelleschi II dei quali si va oggi sempre più avvertendo l'importanza e il peso anche nei confronti degli sviluppi della pittura cinquecentesca.
Non ultimi certo - anche se tali per " posizione" tra i disegni presentati - i contributi a Michelangiolo e a Sebastiano del Piombo: al primo viene riconosciuto uno studio per la • Flagellazione' in S. Pietro in Montorio dipinta da Sebastiano, al secondo un gruppo di 5 disegni databili circa tra il '20 e il '30; nel periodo cioè" romano" e pertanto, come avvertono anche gli autori nella prefazione, non disdicevoli ad essere inclusi in un catalogo dedicato a quell'ambiente artistico dei primi decenni del '500. Nè la stretta coerenza della eccellente trattazione viene turbata dalla inclusione di disegni di Timoteo Viti e di Girolamo Genga, per più vincoli legato il primo a Raffaello e il secondo al Viti.
Un catalogo esemplare per serietà ed impegno critico, e un prezioso mezzo di studio, grazie anche all'ottima serie di riproduzioni che illustra tutti i disegni trattati nel testo, a meno non siano copie di minimo o nullo interesse.
M. V. BRUGNOLI
L FALDI, Gli affreschi del Palazzo Farnese di Caprarola, a cura della Associazione fra le Casse di Risparmio Italiane, 1962.
Il ricchissimo complesso di affreschi che decora la dimora farnesiana di Caprarola, costituisce senza dubbio il più importante monumento della pittura italiana del secondo '500 nel Lazio; celebratissimi al loro tempo, gli affreschi farnesiani hanno poi trovato una fortuna relativa presso la letteratura artistica di questi ultimi decenni, coinvolti in parte in quel disinteresse per la più tarda " maniera II che ha spesso indotto a tutto riassumere sotto la generica etichetta di "Zuccari e scuola". Anche se non sono mancate ricerche accurate ed attente a distinguere alcune delle personalità che collaborarono all'opera grandiosa di decorazione, prima d'oggi - se pure non può non meravigliare - non esisteva uno studio complessivo, coordinatore dei parziali risultati già raggiunti e che insieme si riproponesse il difficile tema tenendo conto delle più recenti" aperture" critiche sull'intricato mondo pittorico del secondo '500.
Quanto mai opportuna appare quindi l'iniziativa, assunta dalla Associazione fra le Casse di Risparmio Italiane, di dedicare agli affreschi di Palazzo Farnese questo volume affidandolo ad Italo Faldi, che di problemi inerenti alla tarda maniera, specie in ambito romano e laziale, è studioso acuto, al quale dobbiamo precedenti saggi tra i più chiarificatori di questo periodo ancora oscuro per più di un aspetto.
Nella trattazione che precede la parte illustrativa -24 grandi tavole a colori, scelte accuratamente onde esemplificare nel modo migliore il fastoso complesso -alle notizie storiche documentate e precise segue l'esame critico, teso a recuperare e mettere a punto attraverso una lettura attentissima delle opere quelle personalità di artisti che i documenti ci informano aver partecipato all'impresa. Accanto a Taddeo, poi a Federico Zuccari, il parmense Bertoja, il fiammingo Spranger, Giovanni de' Vecchi e
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Raffaellino da Reggio, cui fece seguito buon ultimo l'apparatore fiorentino Antonio Tempesta, uno dei protagonisti tra i decoratori dei palazzi laziali sullo scorcio del secolo.
È ancora merito dell 'autore aver trattato il non facile argomento in una esposizione nitidissima, rigorosa nel proporre i problemi e nell'avanzare nuove ipotesi attributive, alle quali va riconosciuto anche il pregio di stimolare validamente ulteriori ricerche. M. V. BRUGNOLI
R. BOSSAGLIA, I fratelli Galliari pittori, Ceschina, Milano 1962.
Questo volume è il frutto degli studi condotti dall'A. sulla attività pittorica dei Galliari, studi dei quali aveva già dato interessanti saggi anticipatori in articoli comparsi su Arte Lombarda. I Galliari - i tre fratelli Bernardino, Fabrizio e Giovanni Antonio; i figli di Fabrizio, Giovanni e Giuseppino; il figlio di Giovanni Antonio, Gaspare -sono un tipico esempio di quelle dinastie di pittori tanto note nel loro complesso quanto poco studiate e definite nei particolari. Nel caso dei Galliari poi la fama da essi ottenuta come scenografi, in una lunga operosità che spazia dal quarto decennio alla fine del XVIII secolo, ha oscurato alquanto la conoscenza della loro, pur interessante e varia, attività di frescanti e di pittori, rimasta confinata nel campo dell'erudizione locale. È quindi grande merito dell'A. l'aver ripreso l'argomento illustrandolo criticamente ed inquadrandolo in un panorama storico, artistico e culturale assai ampio. L'A. ha dovuto superare notevoli difficoltà: la maggiore era senza dubbio la distinzione delle varie mani dei componenti la famiglia, problema arduo in quanto i Galliari operavano in stretta collaborazione nelle pitture come nelle scene (per queste però la questione era già stata chiarita). Altro non piccolo problema era la datazione di molte opere non documentate, in relazione al cammino stilistico percorso dagli artisti. Vi era infine da tenere presente il rapporto con la pittura teatrale, senza tuttavia lasciarsene troppo influenzare dato che esso non si risolve sempre in un puntuale parallelismo. Con molta sottigliezza e capacità induttiva l'A. ha dipanato così intricata matassa, giungendo a risultati convincenti soprattutto per quanto riguarda la distinzione delle varie personalità, e spingendo nel contempo a fondo la ricerca sia delle fonti cui attinsero, sia dell'ambiente cui si collegarono i Galliari.
Dalle principali opere esaminate e discusse - gli affreschi nella villa Verri a Biassono, nella villa Pecori Giraldi a Grumello del Monte, nella villa Crivelli a Castellazzo di Bollate, nella villa Bettoni a Bogliaco, e nel Castello Visconti a Brignano - alle molte decorazioni minori in vari luoghi della Lombardia, del Piemonte e della Savoia; dalle pitture di cavalletto alle documentazioni di opere perdute (eminente tra esse il soffitto del salone nell'Accademia Filarmonica a Torino), il ritratto dei Galliari si precisa, delineato con simpatia ma anche con equità dall 'A. che vede in loro artisti non certo di primissimo piano e tuttavia significativi.
(1251°37) Istituto Poligrafico dello Stato P. V.
Seguire la storia dei Galliari è anche un poco seguire le vicende del gusto barocchetto tra Lombardia e Piemonte, osservare poi il progressivo infiltrarsi in esso di venature classiciste e assistere, verso la fine del secolo, all'affermarsi di queste ultime. In così largo arco di tempo i Galliari hanno avuto rapporti più o meno diretti con numerosi artisti, che hanno contribuito a formare il loro linguaggio e il loro mondo culturale: l'A. li ha esaminati con molta diligenza, dal primo generico influsso di G. B. Tiepolo, visto a Milano, ai più importanti frutti attinti dall'opera del Crosato, alle possibili relazioni col Beaumont e con altri artisti presenti a Torino (Giaquinto, De Mura) nonchè con pittori lombardi od operanti in Lombardia, come il Legnanino, Ferdinando Porta e il bolognese Dal Sole. Tale studio è stato, come si è detto, condotto ampiamente ma non giunge sempre a confronti decisivi. Nel caso del Crosato i rapporti sono convincenti, ed erano del resto già noti; nel caso del De Mura invece, la sovraporta nel Palazzo Reale di Torino (riprodotta senza indicazione di soggetto, ma rappresentante' Alessandro alla tenda di Dario ') non può aver ispirato a Bernardino Galliari la figura di Bacco nel sipario del Teatro Regio, dipinto nel 1756, in quanto giunse a Torino (è documentato) soltanto nel 1768. Felice è l'accenno al Seyter, ma avrebbe meritato maggior sviluppo coll'indicare la puntuale derivazione del 'Carro del sole', frescato dai Galliari a Castellazzo, dall'analogo soggetto nella Galleria del Daniele nel Palazzo Reale di Torino. Per quanto riguarda le parti architettoniche, se era più che giusto mettete in risalto certe memorie juvarriane, sarebbe forse stato utile citare anche il di Robilant, col quale i Galliari ebb.ero quotidiani e cordiali rapporti per più di un ventennio.
È ben vero che i confronti, nel caso dei Galliari, possono portare anche troppo lontano: Bernardino sopra ttu tto era facile agli imprestiti, ma utilizzava poi le molte citazioni per ottenere effetti assai diversi da quelli del modello, con straordinaria disinvoltura ; sicchè molte volte le analogie apparenti non indicano una partecipazione spirituale o una affinità di pensieri e di sentimenti, ma solo una culturale derivazione. Questo è stato assai bene inteso dall' A., che ha anche visto esattamente i limiti del rapporto tra pittura teatrale e non teatrale, nel suo complesso. In alcuni punti si sarebbe potuto fare qualche ulteriore precisazione: ad esempio l'album con disegni di gusto gotico nell' Accademia di Brera a Milano reca, sì, l'indicazione" Invenzioni di Giovanni Galliari "' ma i fogli che vi sono raccolti sono di varie mani e di diversi periodi.
Completa il libro una abbondante documentazione fotografica, con riproduzioni in nero e a colori, che avrebbero richiesto però una presentazione ed una resa tecnica più brillanti, non soltanto per appagare l'occhio del lettore ma per portare la parte illustrativa in ogni suo particolare all'altezza del resto del volume, concepito oltre che come un saggio critico come un funzionale strumento di lavoro.
Esso comprende infatti una ricca bibliografia, indici minuziosi e completi, elenchi accurati ed esaurienti, che testimoniano dello scrupolo e del serio impegno dell' A., evidenti d'altronde in ogni parte del testo. M. VIALE FERRERO
Direttore responsabile: BRUNO MOLA]OLI
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